Mappa delle due serate su “Esseri intelligenti” a Leuca
Prima serata, 27 luglio 2024
Narratore – Introduzione al percorso attraverso la domanda: che significa essere intelligenti? E più oggettivamente che cos’è e come agisce un essere dotato di intelligenza? Non possiamo solo attribuire o “attaccare” la funzione intelligente ad un essere, senza cercare di capire in che modo l’intelligenza costituisca o può costituire la “natura” o l’azione propria di quell’essere.
Ci sono dunque dei caratteri costitutivi dell’essere intelligenti? Come sappiamo, questa qualifica è stata, e soprattutto oggi è riconosciuta come la caratteristica di tutta una serie di esseri, non solo spirituali ma anche semplicemente viventi, e ancor più di dispositivi né spirituali né viventi, come le macchine. Dalle intelligenze che muovono i cieli alle anime coscienti incarnate nei corpi, alle anime che muovono dall’interno la crescita degli enti di natura come le piante e gli animali, movimento cellulare e neuronale e ambientale, fino a quello spirito (chiamiamolo ancora così) artificiale che è il codice puramente algoritmico che fa girare i cieli della rete nel mondo virtuale.
Il percorso che vogliamo tentare in queste due serate vuol essere del tutto spregiudicato: non l’abbiamo pensato per dimostrare una tesi già acquisita in partenza – sarebbe ideologia, non filosofia! –, sebbene tutti i partecipanti a questo dialogo hanno certo (e meno male!) delle convinzioni acquisite dall’esperienza e dalla riflessione su di sé e sul mondo. Ma limitarsi a ribadire un giudizio, già pronto sin dall’inizio, sarebbe quanto meno noioso e porterebbe al massimo a inscenare un gioco di ruolo tra diverse posizioni dialetticamente contrapposte. Un percorso spregiudicato, dicevo, nel senso che vorremmo mettere alla prova quelle convinzioni, capire in che modo esse sono alternative o possono integrarsi, e se vi sono dei punti di irriducibilità nei diversi usi dell’intelligenza.
Ma è bene non anticipare troppo, lasciando aperto lo spazio per il confronto, per la scoperta e – perché no? – per la sorpresa. Una sola avvertenza vorrei proporre all’inizio a tutti, e innanzitutto alle persone che sono state invitate a intervenire: quando si parla dell’intelligenza non è come quando parliamo di un tema o di un fenomeno che ci stia semplicemente davanti, un “oggetto” da approcciare, misurare, definire, Possiamo farlo, certo, e lo dobbiamo anche. Ma resta il fatto non indifferente che parlando dell’intelligenza noi stessi, i parlanti, al tempo stesso usiamo l’intelligenza (o almeno, così si spera!). Come succede per ogni aspetto della vita degli “io” che siamo, che ciascuno di noi è, il discorso è sempre alla terza persona ma inevitabilmente anche ala prima persona.
Allora proviamo a tenere insieme, in qualche maniera, e senza ingenerare confusioni o sovrapposizioni, i due tipi di discorso. Questo ci permetterà di parlare della intelligenza o meglio dei diversi “esseri intelligenti” tenendo conto dell’esperienza che noi stessi facciamo nell’essere intelligenti; e viceversa nel confrontare, incrociare e verificare la nostra intelligenza “umana” con le intelligenze diverse dalle nostre.
Nel suo Discorso sul metodo (1637) Descartes aveva sottolineato che il buon senso (intelligenza, ingegno naturale, bona mens) non può essere insegnato, come un precetto o una dottrina, ma solo scoperto in prima persona, come una competenza personale acquisita sulla base di un’applicazione diretta: «Il mio scopo qui non è di insegnare il metodo che ciascuno deve seguire per ben condurre la propria ragione (raison), ma solamente di far vedere in quale maniera ho cercato di condurre la mia» (AT VI, 4). La considerazione del funzionamento universale dell’intelligenza può essere compiuta solo in prima persona.
Ma come scriverà John Locke all’inizio del suo Essay Concerning Human Understanding (1690), «L’intelligenza come l’occhio ci fa vedere tutte le altre cose, ma non si accorge di sé stessa. C’è bisogno di molta arte e molte cure per metterla a una certa distanza e farla suo proprio oggetto. Ma questo è anche fonte di molta gioia e di molta utilità» (Introduzione, § 1).
Marienza Benedetto (Università di Bari) – Intelligenza dei cieli, intelligenza degli angeli
Andrea Le Moli (Università di Palermo) – Intelligenza vegetale, intelligenza animale
Igor Agostini (Università del Salento) – L’intelligenza senza corpo
Maria Cristina Fornari (Università del Salento) – L’intelligenza del corpo e della volontà
Giusi Strummiello (Università di Bari) – L’intelligenza del cuore
Seconda serata, 28 luglio 2024
Narratore – L’intelligenza si può “misurare”? Normalmente si identifica l’intelligenza come qualcosa che risulta misurabile attraverso dei test. Intelligenza sarebbe ciò di cui possiamo esibire un quoziente. Dalla psicologia alla computer science, l’intelligenza coincide con una prestazione. Pensiamo ad esempio a queste locuzioni riguardanti l’intelligenza, che si possono adattare sia agli individui umani che alle macchine: x è molto rapido/a nel calcolare; x ha una grande memoria; x è molto abile a trovare soluzioni adeguate; x apprende con molta facilità, anche dai suoi errori; x è capace di orientarsi bene anche in ambienti sconosciuti ecc.
La questione che vorremmo affrontare insieme è se l’intelligenza sia qualcosa di adeguatamente misurabile o se in essa siano presenti fattori che per la loro stessa natura o costituzione non ricadono in una misura. O più radicalmente se non siano l’indice di un fenomeno di “apertura”, per sé immisurabile o incommensurabile.
Sta di fatto che da quando Alfred Binet, tra il XIX e il XX secolo, ha testato il Quoziente di Intelligenza ne è passata di acqua sotto i ponti, ed è cresciuta l’insofferenza verso questa idea di poter misurare l’intelligenza, arrivando poi a ribaltare la questione e a proporre una proliferazione di tipi diversi di intelligenza, non riportabili ad un canone unico, tanto meno univocamente misurabili. Basti citare, come esempio, i sette (se non di più) tipi di intelligenza di cui parla Howard Gardner (1983): intelligenza linguistica, musicale, logico-matematica, spaziale, corporeo-cinestetica, intra-personale e inter-personale. Oppure la teoria “triarchica” dell’intelligenza proposta negli stessi anni da Robert Sternberg, il quale distingue un’intelligenza analitica, una pratica e una creativa. O la proposta di una “intelligenza emotiva” avanzata negli anni Novanta da Daniel Goleman.
Tuttavia se da un lato l’intelligenza diventa plurivoca e se (come abbiamo già visto ieri) l’intelligenza umana si scopre evolutivamente contigua a quella vegetale e animale, dall’altro lato si cerca un filo conduttore che possa assicurare un minimo di continuità nelle differenze. Prendiamo ancora a prestito la definizione di Howard Gardner, che funge un po’ da canone per molti: «un’intelligenza è la capacità di risolvere problemi, o di creare prodotti, che sono apprezzati all’interno di uno o più contesti culturali».
Successivamente (siamo nel 2007) dobbiamo a Shane Legg e Marcus Hutter la proposta di stabilire come significato universale di “intelligenza”, quello di un’abilità nel raggiungere determinati obiettivi in ambienti diversi, sulla base della capacità di apprendimento e di adattamento. In altri termini, la capacità di risolvere problemi. Ed è importante sottolineare il fatto che tale definizione ambisce ad essere universale perché lega esplicitamente in continuità l’àmbito psicologico e l’àmbito informatico.
Fino a invertire la rotta: pensiamo a Stuart Russell e Peter Norwig che nel 2020 partono da un significato “artificiale” di intelligenza come paradigma per definire qualsiasi tipo di intelligenza. In sintesi, l’intelligenza è formalizzabile come la capacità di “fare la cosa giusta” nel proprio ambiente: la “acting rationally” di “agenti intelligenti”. Questa “rational agency” può essere sintetizzata così: sentire, capire, valutare, agire, conseguendo un buon punteggio nella performance finale. Insomma, agire in modo da ottenere un buon risultato.
Proviamo allora anche in questo caso a mettere in questione l’approccio. Si è soliti pensare che l’intelligenza artificiale, il più impressionante prodotto performante dell’intelligenza naturale, debba ormai servire da modello per interpretare, a ritroso, anche l’intelligenza degli umani e dei viventi in generale. Non solo la vita ma anche la coscienza sarebbe così codificabile in senso algoritmico. Ma questa lettura retroattiva permette di rendere conto, calcolandole, di tutte le capacità dell’intelligenza naturale? Se l’intelligenza è apertura al mondo, alla natura e agli altri esseri, fin dove può arrivare – intus legere, inter legere – la sua freccia?
Francesco Marrone (Università di Bari) – L’intelligenza e/è il mondo
Mario Carparelli (Università del Salento) – L’intelligenza dei luoghi
Antonio Lombardi (Università di Bari) – La “rete” dell’intelligenza
Antonio Carnevale (Università di Bari) – L’intelligenza degli algoritmi
Mons. Vito Angiuli (Vescovo di Ugento – Santa Maria di Leuca) – L’intelligenza della fede
clic qui per l’articolo sul sito della Diocesi di Ugento – S. Maria di Leuca
