Omelia nella Messa di ordinazione sacerdotale di fra Alfonso Cosi
Chiesa Natività, Tricase, 5 settembre 2024.

Caro fra Alfonso, 
è giunta l’ora, tanto attesa e desirata, della tua ordinazione sacerdotale. Hai compiuto un lungo percorso di discernimento vocazionale e, finalmente, sei giunto a comprendere che il Signore ti chiama a servirlo come suo ministro nella grande famiglia francescana. Celebrando la liturgia di ordinazione in questa Chiesa parrocchiale, carica di ricordi personali e familiari e culla della tua vita di fede, rinsaldi il tuo legame spirituale con questa comunità ecclesiale. 

Nel clima di preghiera personale e comunitaria, invito la tua persona e l’intera assemblea a considerare il sacerdozio in una triplice direzione: guardando verso l’alto, in riferimento al sacerdozio eterno di Cristo; ripercorrendo, con la memoria, il tuo cammino vocazionale; ricercando, nella profondità della tua anima, il fondamento che tutto sostiene. 

Cristo è sacerdote in quanto figlio e fratello 

Caro fra Alfonso, ti accingi a ricevere l‘ordinazione sacerdotale, dono perfetto che rende perfetta la tua umanità. La Lettera di Giacomo conferma che «ogni buon regalo e ogni dono perfetto vengono dall’alto e discendono dal Padre» (Gc 1,17). Tutto è grazia, tutto è dono. Di ogni dono dobbiamo rendere grazie al Signore. Per questo san Francesco ammoniva i suoi frati con queste parole: «Restituiamo al Signore Dio altissimo e sommo tutti i beni e riconosciamo che tutti i beni sono suoi e di tutti rendiamogli grazie, perché procedono tutti da lui»[1].

Riferendo a Cristo il titolo archierèus (sommo sacerdote), la lettera agli Ebrei[2] indica il pieno adempimento in lui del sacerdozio considerandolo nella prospettiva della filiazione e in quella complementare della fraternità. Cristo è il grande e perfetto mediatore tra Dio e gli uomini, figlio primogenito e fratello maggiore. In quanto primogenito, la benedizione del Padre passa attraverso di lui e raggiunge tutti gli uomini. In tal modo, Cristo assume la forma di capo della Chiesa. In quanto fratello, il suo sacerdozio si esprime in un servizio agli uomini.

Anche tu, caro fra Alfonso, sei chiamato a testimoniare la paternità a immagine di Cristo capo e la fraternità in quanto “figlio nel Figlio”. Sorgono così spontanei due sentimenti: la gratitudine e la meraviglia. La gratitudine ti aiuta a comprendere che tutto ha una sua logica e che essa si sintetizza nelle parole dell’apostolo Paolo: «Tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio» (1Cor 3, 22-23). La meraviglia sorge dal constatare l’umiltà di Dio che si rende presente nel mondo attraverso il ministero sacerdotale: «Ogni giorno – scrive san Francesco – egli si umilia (Fil 2,8), come quando dalle sedi regali (Sap 18,15) scese nel grembo della Vergine; ogni giorno viene a noi in umili apparenze; ogni giorno discende dal seno del Padre (Gv 1,18; 6,38) sull’altare nelle mani del sacerdote»[3]. Al colmo dello stupore, il poverello di Assisi esclama: «Tutta l’umanità trepidi, l’universo intero tremi e il cielo esulti, quando sull’altare, nella mano del sacerdote, si rende presente Cristo, il Figlio del Dio vivo. O ammirabile altezza e degnazione stupenda! O umiltà sublime! O sublimità umile, che il Signore dell’universo, Dio e Figlio di Dio, così si umili da nascondersi, per la nostra salvezza, sotto poca apparenza di pane!»[4].

La dimensione storica e francescana del tuo sacerdozio

L’origine eterna del sacerdozio di Cristo si manifesterà nella realtà storica della tua vita. Anzi, si è manifestata già negli anni del tuo discernimento vocazionale quando ti sei messo alla scuola di san Francesco, per seguire le sue orme e vivere il suo carisma. Il brano evangelico richiama, in qualche modo, la storia della tua chiamata. 

La scena si svolge lungo il lago di Genesaret, luogo della vita quotidiana di Simone e degli altri apostoli e simbolo della ferialità della tua esistenza. Cristo è entrato nella tua vita in modo quasi inavvertito. Tutto è nato dalla sua iniziativa e dal suo sguardo. Ti ha aspettato. Era lì dove tu non eri ancora giunto. Era all’opera, prima che tu ne avessi consapevolezza. In seguito, lo hai riconosciuto e hai deciso di seguirlo. 

La relazione con il Signore non si è costruita in un attimo, ma si è approfondita nel tempo. Ha richiesto una lenta e graduale germinazione, una crescita per gradi. Talvolta è stata segnata da percorsi tortuosi e non lineari. La sua grazia è stata il vero filo rosso che ha tenuto insieme le molteplici risposte che hai dato lungo il corso del tempo. Annodate attorno a questo pilastro, esse hanno formato la tua identità di discepolo. In un certo senso, sei stato invitato a “stare al gioco”. Non si è trattato, però, di “un gioco a buon mercato”, dove tutto accade in maniera ovvia e scontata. È stato un appello alla tua libertà, e con essa alla possibilità dell’incomprensione, della disattenzione e, perfino, del rifiuto.     

In questo gioco delle parti, hai compreso di trovarti di fronte al “maestro”. Anzi di fronte al “tuo” maestro. Il Signore, infatti, non parla all’umanità in generale, parla in modo personale. Indirizza la sua parola in modo specifico e circostanziato. Dalla parola rivolta alle folle, egli passa al tono intimo e confidenziale. La voce è diretta, ed è inequivocabilmente indirizzata al singolo. È una suadente mozione interiore e, nello stesso tempo, un comando che non può essere disatteso. Insomma, a un certo punto della tua vita, egli ti ha incontrato, ti ha afferrato con le sue mani e ti ha gridato con voce potente: «Seguimi!». È un imperativo che non ammette repliche, obiezioni, ritardi. Quando si ascolta questa voce non è più possibile accampare scuse o proporre altri rinvii. Bisogna decidere, mettendo da parte ogni dubbio e ogni tentennamento. Non c’è altra possibilità se non obbedire a questa parola. 

Sacerdote in una comunità di fratelli

In realtà, la chiamata non era rivolta solo a istaurare una relazione personale con il Signore, ma anche a far parte di una fraternità. Sei entrato in una comunità di fratelli verso i quali hai assunto l’obbligo di mettere a loro servizio tutti i tuoi doni. I seguaci di san Francesco, anche quando accedono al sacerdozio, non sono chiamati a vivere da singoli individui, ma da persone unite in una fraternità. Il poverello di Assisi, infatti, li esorta a nutrire il proprio «fratello, come la madre ama e nutre il proprio figlio, in quelle cose in cui Dio gli darà grazia»[5]Come fratelli donati gli uni agli altri e dotati dal Signore di doni diversi, i discepoli di Francesco sono chiamati ad accogliersi vicendevolmente e a diventare «un cuor solo e un’anima sola» (cfr. At 4,32). Devono amarsi con affetto sincero, portando i difetti e i pesi gli uni degli altri, esercitandosi incessantemente nell’amore di Dio. Andando incontro con spirito fraterno a tutte le creature, offrono continuamente a Dio, fonte di ogni bene, la lode della creazione. Promuovono autentiche relazioni fraterne tra gli uomini, affinché il mondo viva come un’unica famiglia sotto lo sguardo del Creatore.

Innamorati di Cristo, seguono il Signore crocifisso lungo la via della povertà. Essa si esprime nell’umiltà del cuore, nella radicale espropriazione di sé e nella condivisione con i poveri e i deboli. In questa prospettiva, insistente è l’esortazione di san Francesco: «I frati non si approprino di nulla, né casa, né luogo, né alcun’altra cosa. E come pellegrini e forestieri in questo mondo, servendo al Signore in povertà e umiltà, vadano per l’elemosina con fiducia, e non si devono vergognare, perché il Signore per noi si è fatto povero in questo mondo»[6]Il loro primo apostolato – continua il poverello di Assisi – non consiste nel compiere opere grandi, ma vivere nel mondo la vita evangelica in verità, semplicità e letizia predicando «con le opere»[7], più che con le parole.

Ricerca del fondamento che tutto sostiene

Mettendo in pratica questo insegnamento, caro fra Alfonso, sarà la tua vita a parlare. Per questo occorrerà passare dall’ammirazione per la chiamata alla concreta determinazione di metterti realmente alla sequela di Cristo. I passaggi sono chiari: dall’ascolto della voce alla contemplazione del volto, dall’imitazione del suo esempio alla sequela della sua persona. 

Seguendo Cristo scoprirai le dimensioni più profonde della tua anima. Ti riconoscerai così peccatore davanti a lui (cfr. Lc 5,8). La vera conoscenza di te ti aiuterà ad avere una maggiore conoscenza di lui. Talvolta, pur essendo da molto tempo alla sua sequela, ti sembrerà di non conoscerlo ancora a fondo. Il rapporto con Cristo e con te stesso avviene spesso attraverso una crisi. Proprio allora dovrai ascoltare il suo comando: «Duc in altum» (Lc 5,4). Dovrai prendere il largo e andare più in profondità nella conoscenza del Signore e della tua persona.

Cristo non ti colpevolizzerà per i tuoi vuoti, ma ti chiederà di fidarti della sua parola. In quella circostanza, non devi perdere tempo a roderti il fegato per le tue inadempienze. Dovrai invece accogliere il suo invito a guardare l’orizzonte più lontano. Insomma dovrai avere meno sensi di colpa e più umiltà e sincerità. Così la “notte dello spirito” passerà, si allenterà l’amarezza di constatare che le reti sono vuote. Eviterai di lasciarti ipnotizzare dai tuoi fallimenti e dai vuoti della tua anima. Tenendo fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della fede (cfr. Eb 12,2) ti affiderai ogni giorno alla sua parola e riprenderai il largo in ossequio all’ammonimento di san Francesco ai suoi frati: «Badate alla vostra dignità, fratelli sacerdoti, e siate santi perché egli è santo»[8].

Sia questo il tuo desiderio più profondo. Certamente è il nostro augurio più sincero. 


[1] Francesco, Regola non bollata, cap XVII, Dei predicatori, FF  49, 17.

[2] Cfr. A. Vanhoye, Gesù Cristo. Il mediatore nella Lettera agli ebrei, Assisi, Cittadella, 2007; Id., L’epistola agli ebrei, “un sacerdozio diverso”, Edizioni Dehoniane, Bologna 2010; J. RATZINGER, La fraternità cristiana, Queriniana, Brescia 2005.

[3] Francesco, I ammonizione, del corpo del Signore, FF 145.

[4] Id., Lettera a tutto l’Ordine, cap. II, Della santa Messa, FF 221, 26-27.

[5] Id., Regola non Bollata, FF 32.

[6] Id., Regola Bollata, FF 90.

[7] Id., Regola non Bollata, FF 46.

[8] Id., Lettera a tutto l’Ordine, cap. II, Della santa Messa, FF 220, 23.

clic qui per l’articolo sul sito della Diocesi di Ugento – S. Maria di Leuca