Messaggio per la giornata del Seminario minore diocesano, 8 dicembre 2024.

Carissimo giovane,
carissima comunità diocesana,

alle porte del nuovo anno 2025, ci disponiamo a vivere il Giubileo, il cui titolo sarà “Pellegrini di speranza”. Sarà un anno molto intenso. Per questo desidero invitarvi, ancora una volta, a valutare il dono prezioso della chiamata del Signore e prendere parte al suo progetto d’amore, nella prospettiva della virtù teologale della speranza. Proprio perché il rapporto tra il tema della vocazione e la virtù della speranza non è molto consueto, è indispensabile soffermarsi a considerare il valore e il peso che la parola speranza porta con sé.

Vivere è sperare

Se la vita è vocazione, la speranza è il cuore della vita. L’uomo non può vivere senza sperare! Homo viator, spe erectus: è la speranza che tiene l’uomo in posizione eretta e lo rende capace di futuro. Ogni uomo è per definizione un essere di speranza. Esiste in lui un’inquietudine strutturale che conduce la sua libertà verso un desiderio di pienezza, di compimento e di trascendenza.  

Il pellegrinaggio giubilare è uno dei segni che testimonia la necessità di vivere nella speranza. L’immagine del pellegrinaggio ci permette di riflettere sulla nostra esistenza perché ci aiuta a capire che abbiamo veramente bisogno di una verità e di una speranza che non deluda. Se da una parte la sua rappresentazione appartiene alla natura stessa della Chiesa, dall’altra è anche icona della vita di ogni persona, credente o non credente. La sua importanza si è fatta più pressante nel nostro tempo, soprattutto perché le nuove generazioni appaiono erranti e spaesate e molto spesso vivono senza un ideale e una meta da raggiungere. Sembrano dei viandanti senza un preciso riferimento valoriale da perseguire. Il pellegrino, invece, ha un traguardo e una destinazione davanti a sé. Cerca incessantemente il senso della vita e la direzione più giusta per il suo cammino. 

La speranza cristiana

Il cammino vocazionale e la peregrinazione esistenziale si rafforzano in virtù della fede in Cristo Risorto. In lui, ogni uomo può trovare la sua speranza e gridare con gioia al mondo: «Cristo, mia speranza, è risorto»[1]. Egli è il senso ultimo che illumina tutta la realtà e le relazioni interpersonali. La speranza cristiana diventa così un potente serbatoio di energie spirituali e un elemento dinamizzante. Senza la fede in Cristo morto e risorto, la speranza diventa fragile e si affievolisce. In realtà, chi confida in Cristo si proietta nel futuro e non cede alla disperazione, perché è sorretto dal suo amore. Per questo sant’Agostino ribadisce: «Solo la speranza ci fa propriamente cristiani»[2]. La speranza cristiana vive della logica pasquale, promuove la gioia della fraternità e guida al dono della vita fino al martirio. Nella risurrezione di Cristo, la speranza della vita eterna trova la sua misteriosa, concretissima e convincente narrazione. Appare così credibile ciò che ancora Agostino scrive: «La nostra vita, adesso, è speranza, poi sarà eternità»[3].

Sperare è camminare, anzi è volare

Vivere è procedere e avanzare. E come la vocazione matura attraverso un itinerario e un percorso da compiere, così la speranza è sinonimo di cammino. Non a caso Isidoro di Siviglia individua l’etimologia di spesin pes (piede), collegando la speranza al sentiero da percorre[4]. Ma c’è di più. Per san Bonaventura, sperare non è solo camminare, ma è volare, collocarsi tra l’oggi e l’eschaton, orientati verso la pienezza che avverrà nell’incontro con il Risorto. Si comprende così che la vocazione e la speranza hanno lo stesso dinamismo che consente di progredire nel cammino e di spiccare il volo. I due temi, accomunati tra di loro, indicano una direzione e un orientamento e rafforzano il gusto di alzare il capo, tenere lo sguardo rivolto in avanti e verso l’alto, scrutando l’orizzonte ultimo della propria vita.

In questa prospettiva, appare evidente che il cristiano possiede una «speranza migliore» (Eb 7,19)rispetto a quella del non credente. È, infatti, una delle tre virtù teologali, cioè è il dono dello Spirito che abilita il credente a ricercare il Sommo Bene, la comunione con Dio. Il dono spirituale, infuso nel suo cuore, diventa come un “abito” di cui egli si riveste per condurre la vita verso la sua pienezza. 

Testimoniare la speranza e pregare per le vocazioni 

La forza per continuare a sperare e il segreto per realizzare la propria vocazione sono racchiusi nella preghiera. Secondo san Tommaso d’Aquino, la preghiera è la lingua della speranza, la speranza in atto. Allo stesso modo, la preghiera è l’energia spirituale che genera e favorisce il sorgere della vocazione. D’altra parte, se è vero che chi spera prega e chi prega è un uomo di speranza, è altrettanto vero che chi prega consolida e irrobustisce la sua vocazione. E se, ancora con san Tommaso, affermiamo che la preghiera è l’interprete della speranzadovremmo ribadire che la vocazione si sostiene con la preghiera. Senza la preghiera la speranza si svilisce e la vocazione si affievolisce. D’altra parte, non basta pregare, ma bisogna perseverare nella preghiera. Perciò esorto tutti a una continua preghiera per le vocazioni. Il Signore ci renda tutti testimoni di speranza e mandi nuove vocazioni alla nostra Chiesa particolare.  

La speranza – ci ricorda san Paolo – «non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Rm 5, 5). Il cristiano è, dunque, chiamato a «dare ragione della speranza che è in lui» (cfr. 1Pt 3, 15) e ad essere nel mondo un testimone credibile della risurrezione di Cristo. Nella “società dell’incertezza e della liquidità” (Z. Bauman), nell’epoca posta sotto il segno della “fine” (della modernità, delle ideologie, della cristianità), nel periodo della frantumazione del tempo, in cui anche le poche speranze che si aprono faticosamente un varco nella storia sono irrimediabilmente di breve durata, esposte a improvvisa smentita, suona ormai in modo drammatico la domanda di Kant: «Che cosa possiamo sperare?». A questo interrogativo potremmo rispondere dicendo che l’oggetto della speranza è la felicità, «la vita in senso pieno, un sempre nuovo immergersi nella vastità dell’essere, mentre siamo semplicemente sopraffatti dalla gioia»[5].

Con questi sentimenti, rinnovo a tutti la mia esortazione a vivere come “pellegrini di speranza” per divenire grembo materno e generativo in modo da favorire nei giovani la conoscenza della bellezza del Vangelo e sostenerli in una risposta generosa alla parola del Signore che invita a seguirlo più da vicino. 

Mentre invoco la protezione della Vergine de finibus terrae, vi saluto e invoco su di voi la benedizione del Signore. 


[1] Sequenza pasquale.

[2] Agostino, La città di Dio 6,9,5.

[3] Id., Commento ai Salmi 103,4,17.

[4] Isidoro di Siviglia, Etimologiae, VIII, 2,3.

[5] Benedetto XVI, Spe salvi, 11.

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