Omelia nella Messa per l’ammissione all’ordine del diaconato e del presbiterato di Emanuele Preite, chiesa S. Giovanni Bosco, Ugento, 27 dicembre 2024.

Caro Emanuele, 

come possiamo tracciare l’identikit di un giovane che intende seguire Gesù più da vicino? Prendendo in considerazione due personaggi biblici, Nicodemo e l’apostolo Paolo, è possibile delineare i tratti fondamentali del discepolo di Gesù. C’è qualcosa che li accomuna: Nicodemo era «un capo dei Giudei», (Gv 3,1), Paolo «fariseo quanto alla legge» (Fil 13,5: cfr. At 23,6; 26,5); da oppositori di Cristo, entrambi si avvicinano a lui e diventano suoi discepoli. In loro, potrai intravedere qualcosa della tua vita e della tua vocazione. 

Nicodemo, un ammiratore divenuto discepolo

I tre passaggi che caratterizzano il rapporto tra Nicodemo e Gesù si svolgono secondo un ritmo temporale ben preciso: prima di notte, poi di giorno, infine nel pomeriggio. Questo percorso ha un valore simbolico: si passa dall’oscurità alla luce, dalla distanza alla sequela secondo un chiaro orientamento pasquale.

 Il primo incontro, infatti, avviene durante la prima festa di Pasqua (cfr. Gv 3, 1-21), il secondo sei mesi dopo la seconda Pasqua, quella del pane nel deserto, durante la festa delle Capanne (cfr. Gv 7, 45-51), l’ultimo incontro durante la terza Pasqua (cfr. Gv 19, 39-42). Si tratta sempre di un incontro che accade in una cornice pasquale. Come Cristo, anche Nicodemo deve vivere la sua Pasqua, cioè la sua morte spirituale e la sua rinascita nello Spirito. Questa indicazione ha un valore per tutti i discepoli di Cristo e dunque, anche per te.

Fin dall’inizio Nicodemo si presenta come un ammiratore di Gesù (cfr. Gv 2, 23). L’ha visto e incontrato dall’esterno e ha provato un sentimento di approvazione, di simpatia, di attrazione. Sente dentro di sé una forte spinta ad andare da Gesù, anche se non ne conosce bene il motivo. Certo, per non farsi vedere, il primo incontro avviene di notte (cfr. Gv 3); in una notte pasquale. Nicodemo è un visitatore notturno, vuole rimanere in incognito, non vuole compromettersi. È un maestro, un capo, un grande rabbì, probabilmente un uomo maturo, ricco, con una posizione sociale importante che cerca di vedere senza essere visto. Anche se ha paura, tuttavia prende l’iniziativa. È lui che va da Gesù, gli si accosta, gli si avvicina, lo va a cercare. Sa che Gesù è un maestro venuto da Dio. Gli è però ancora sconosciuta la vera identità di Cristo. Nondimeno c’è qualcosa che lo attira e suscita in lui stima e benevolenza. 

Gesù però lo redarguisce e lo esorta: «Non ti meravigliare» (Gv 3,7). Il messaggio di Cristo è paradossale, ma non bisogna scandalizzarsi. È necessario, invece, ragionare secondo lo Spirito, lasciarsi guidare dal soffio e dal respiro di Dio. Lo Spirito si sente, ma non si riesce a dominarlo. Non si sa da dove viene e dove va. Si avverte, ma non si può afferrarlo. Si riconosce la presenza dagli effetti che produce, ma la sua persona rimane misteriosa e oscura, come la notte. La sua presenza segna una nuova generazione, una nuova nascita. È la rinascita nello Spirito! Come una madre concepisce il figlio, così lo Spirito cambia radicalmente la persona. La trasformazione avviene senza che la persona possa comprenderne la modalità.

Così è la vita dell’uomo. Quando si fa buio, il male si nasconde e la casa sembra pulita. Quando invece si apre la finestra ed entra la luce, si vede la polvere che copre ogni cosa. Cristo è la luce che illumina la nostra vita. Lui sa cosa c’è nel cuore dell’uomo. E allora sorge la domanda: Cosa è meglio: rimanere al buio e non vedere il male o aprire la finestra, far entrare la luce e vedere il disordine e la sporcizia da togliere e da rimuovere?  È meglio tenere Cristo fuori dalla propria anima e rimanere al buio pensando di essere buoni o è più saggio lasciarsi illuminare da Cristo e seguirlo in un processo di conversione del cuore? Egli non viene per giudicare, ma per salvare e far vivere. La sua luce, tuttavia, denuncia il male e guarisce con una forza purificatrice. 

Un anno e mezzo dopo, Nicodemo realizza un nuovo incontro con Gesù. È la festa delle Capanne (cfr. Gv 7), una ricorrenza che cade in autunno, sei mesi dopo la Pasqua. Gesù entra nel tempio e annuncia la sua dottrina. Il suo insegnamento suscita la meraviglia e la discussione tra i Giudei. Qualcuno propone di metterlo a morte. Nicodemo, invece, invita a tener conto della legge che prevede di ascoltare prima di giudicare (cfr. Gv7, 50-51). È l’inizio di un cambiamento. C’è però ancora un lungo cammino da percorrere per diventare imitatore e non fermarsi ad essere ammiratore[1]. La sua ammirazione è ancora un sentimento superficiale e la sua adesione non è profonda, convinta, matura. È necessario un cammino di formazione. Anche tu, caro Emanuele, stai compiendo un cammino di discernimento vocazionale che dura da alcuni anni. 

Il terzo incontro di Nicodemo con Gesù avviene nel pomeriggio di un giorno molto importante: è, infatti, la vigilia della Pasqua (cfr. Gv 19, 39-40). Ora Nicodemo scioglie tutti i suoi dubbi, si compromette, perde la faccia; lui, un capo dei Giudei, la vigilia di Pasqua va al Calvario e tocca il cadavere di Cristo morto. Si rende così impuro e, contaminandosi, non può mangiare la pasqua. Per aderire a Gesù, per accogliere il suo corpo morto, va contro le regole della purità e, insieme con Giuseppe d’Arimatea, dà a Gesù una sepoltura da re. La mirra e l’aloe sono unguenti molto preziosi. Cento libbre costavano una cifra enorme. È il riconoscimento della regalità di Cristo. 

Ora Nicodemo esce allo scoperto. È diventato un’altra persona. È rinato di nuovo e dall’alto (cfr. Gv3,3.7. Finalmente, Nicodemo comprende e accoglie il mistero. Alla vigilia della terza Pasqua, mentre sotterra un morto, rinasce nello Spirito Santo. Muore il vecchio, risorge il nuovo. Ora è un discepolo, anzi un santo[2]. La sua persona diventa figura del cammino di fede del credente. Egli deve imparare a superare le resistenze interiori e gli ostacoli esteriori. In teoria, sappiamo che il cambiamento è possibile, in pratica spesso ci fermiamo davanti alla prima difficoltà. In realtà, a nessuno è preclusa la possibilità di rinascere nello Spirito e di affezionarsi a Gesù.

San Paolo, un persecutore divenuto apostolo delle genti e servo di Cristo 

Tre sono anche passaggi dell’esperienza di Paolo con Gesù. Da accanito persecutore, egli si trasforma in un cieco alla ricerca della luce vera, fino a diventare servo di Cristo e l’apostolo delle genti. 

Paolo non era un ammiratore di Gesù come Nicodemo, ma uno zelante persecutore. Lo zelo fu la passione che lo consumò per l’intera vita. Da fariseo zelante, si dedicò all’osservanza integrale della legge, pur sentendone tutta la difficoltà per la sua attuazione pratica. Non poteva tollerare che un’assurda setta identificasse il Messia in un uomo che pretendeva di identificarsi con Jahvè e che la legge considerava maledetto perché appeso al legno (cfr. Gal 3,14; Dt 21,22-23). 

La violenza della sua opposizione appare in tutta la sua tragicità dalle parole che si trovano in Atti: «Si scatenò una violenta persecuzione contro la comunità di Gerusalemme […]. Saulo intanto infieriva contro la Chiesa: entrava nelle case, trascinava fuori uomini e donne e li faceva mettere in prigione» (At 8, 1-3). Lo stesso Paolo ricorda la sua attività persecutoria nel suo colloquio a Cesarea con il re Agrippa: «Avendone ricevuta l’autorizzazione dai capi dei sacerdoti, io rinchiusi nelle prigioni molti santi; e, quand’erano messi a morte, io davo il mio voto. E spesso, in tutte le sinagoghe, punendoli, li costringevo a bestemmiare; e, infuriato oltremodo contro di loro, li perseguitavo fin nelle città straniere» (At 26, 9-11). Molte le sue esplicite dichiarazioni: «Ho perseguitato la chiesa di Dio» (1Cor 15,9) dirà ai Corinti. Ai Galati ammetterà: «Quand’ero nel giudaismo […] perseguitavo a oltranza la chiesa di Dio, e la devastavo» (Gal 1,13). Ai Filippesi dichiarerà: «Quanto allo zelo, persecutore della Chiesa» (Fil 3,6). E a Timoteo confesserà: «Prima ero un bestemmiatore, un persecutore e un violento» (1Tm 1,13).

Inaspettatamente l’incontro con Gesù risorto sulla via di Damasco realizzò un radicale cambiamento e maturò il secondo passaggio. Il persecutore rimase accecato da colui che perseguitava, abbagliato dalla sua luce (cfr. At 9, 3). Brancolava nel buio, ma nel cuore abitava una grande luce che lo avrebbe portato ad essere un ardente «testimone davanti a tutti gli uomini» (At 22,15). Cristo stesso lo aveva cercato e gli aveva indicato la strada da seguire. La luce lo rese cieco, ma la voce gli offrì un nuovo punto di vista. Gli occhi non vedevano più, ma nel buio si aprì una nuova strada e la sua vita non fu più quella di prima. Il più noto dei persecutori diventò così icona dell’annunciatore del Vangelo. I tre giorni della sua cecità furono il suo “sepolcro” dal quale uscì e trovò una nuova missioneessere apostolo delle genti[3].

Dopo aver ricuperato la vista, Paolo trascorse tre anni nel deserto dell’Arabia, istruito da Gesù stesso. Fu il suo “seminario”! In quel luogo solitario e in assoluto raccoglimento, pose ordine nei suoi pensieri e meditò più a fondo sul dono ricevuto. La sua autosufficienza si tramutò in umiltà. Il fariseo fanatico e persecutore dei cristiani scomparve e nacque il gigante della fede che avrebbe abbagliato la Chiesa. 

Si realizzò così il terzo passaggioessere servo di Cristo. Diverse parole greche hanno il significato di servo: diaconos era il servo che amministrava i beni del padrone; therapon era l’assistente; oiketes era il servo domestico; misthios era un servo ad ore. Paolo non usa nessuna di queste parole. Utilizza invece la parola doulos, che letteralmente significa schiavo. Indicava cioè la relazione con il padrone; una relazione tale che solo la morte poteva sciogliere. Doulos era un servo legato e identificato con il suo padrone. Il termine doidossignifica legare. Lo schiavo era un uomo legato strettamente al suo padrone. In un certo senso si può dire che era incatenato! Di solito, gli schiavi venivano segnati con un marchio ben visibile, simile ad uno stigma, che li identificava con il loro padrone. L’identità dello schiavo dipendeva dalla persona a cui apparteneva. Era questa l’immagine a cui si ispirava l’apostolo Paolo. Era consapevole di non appartenere più a sé stesso perché comprato con il prezzo del sangue di Gesù.

L’essere servo includeva anche la dimensione del ministero. Paolo sottolinea l’idea dell’ufficio di amministratore e di servizio: «Ognuno ci stimi come dei ministri di Cristo e amministratori dei misteri di Dio» (1Cor 4,1); «amministratori della multiforme grazia di Dio (1Pt 4,10) ai quali si chiede solo di essere fedeli al padrone, responsabili nel prendersi cura dei suoi beni, svolgendo con diligenza il compito assegnato.

D’altra parte, tra gli aspetti negativi dell’istituzione della schiavitù, c’era anche un grande vantaggio. Lo schiavo non aveva nessuna preoccupazione riguardo ai suoi bisogni materiali. I suoi vestiti, il cibo, le cure mediche, l’alloggio, tutto era fornito dal padrone. Quando Paolo si definiva “schiavo di Gesù”, realizzava un senso di appagamento, perché sapeva di poter confidare in Cristo per tutti i suoi bisogni. Nei versetti conclusivi della lettera ai Filippesi rassicura i cristiani del suo tempo con queste parole: «Il mio Dio supplirà a tutti i vostri bisogni, secondo le sue ricchezze in gloria in Cristo Gesù» (Fil 4,19).

Confidando in Cristo, anche tu, caro Emanuele, riceverai quanto è necessario per la tua vita. Preparati pertanto a essere servo di Cristo. Egli si prenderà cura di te. Non ti farà mancare mai niente. Affida a lui la tua persona e la tua libertà. Il tuo Signore, non la tua libertà, sia la cosa più importante. Essere schiavo di Gesù Cristo ti darà la libertà di realizzare il potenziale che Dio ha messo dentro di te. Non soffocherà la tua persona, ma ti farà libero. Così la tua esistenza sarà piena di felicità.


[1] «Signore Gesù Cristo, Tu non sei venuto al mondo per essere servito e quindi neppure per farti ammirare o adorare nell’ammirazione. Tu eri la via e la vita, Tu hai chiesto solo “imitatori”. Risvegliaci, dunque, se ci siamo lasciati prendere dal torpore di questa seduzione, salvaci dall’errore di volerti ammirare o adorare nell’ammirazione invece di seguirti e assomigliare a Te» (S. Kierkegaard, Esercizio del cristianesimo, cura di C. Fabro, Studium, Roma 1971, p. 290).

[2] Nicodemo è ritenuto santo dalla Chiesa cattolica e dalla Chiesa ortodossa; viene festeggiato il 4 agosto. Gli viene attribuito un vangelo apocrifo, Il Vangelo di Nicodemo, scritto in greco e risalente orientativamente al II secolo, in cui si parla della deposizione di Gesù e in cui sembra essere rivista la figura e la posizione di Ponzio Pilato, tanto da far considerare tale scritto parte del cosiddetto “Ciclo di Pilato”.

[3] Benedetto XVI, Paolo. L’apostolo delle genti, San Paolo, Cinisello Balsamo 2008.

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