Omelia nella Messa per la chiusura della fase diocesana
della Causa di Canonizzazione del Servo di Dio, Card. Gilberto Angelo Agustoni
e del giubileo di vita religiosa di alcune “Figlie di S. Maria di Leuca”
Basilica di Leuca, Leuca 1° giugno 2025.

Rev. da Madre Generale, suor Ilaria Nicolardi,
care sorelle che festeggiate il giubileo di vita religiosa,
cari sacerdoti e fedeli, 
ci uniamo anche noi all’immenso coro degli angeli e dei santi che festeggiano l’Ascensione di Gesù al cielo. Al loro canto di lode associamo la nostra gioia per la solenne chiusura della fase diocesana della causa di canonizzazione del Servo di Dio, cardinale Gilberto Angelo Agustoni, e per il giubileo di vita religiosa di alcune suore “Figlie di Santa Maria di Leuca”. 

Ascendere con Cristo al cielo

L’esistenza di Gesù è compresa fra due misteri che si rapportano reciprocamente: l’Incarnazione e l’Ascensione. Li unisce una “logica” divina: soltanto colui che è disceso dal cielo può fare ritorno al Padre (cfr. Gv 16, 28). Infatti «nessuno è mai salito al cielo fuorché il figlio dell’uomo che è disceso dal cielo» (Gv 3, 13). Al movimento kenòtico, dall’alto verso il basso, corrisponde il movimento glorioso, dal basso verso l’alto. Tra tutti i mysteria carnis Christi, l’Ascensione rappresenta una gemma preziosissima perché svela il senso di tutta l’azione salvifica di Cristo: venendo dal cielo in questo mondo, ha inaugurato l’intima compagnia di Dio con l’uomo in una forma umile che velava la sua gloria; salendo al cielo, rende per tutti eterna e gloriosa la divina compagnia. 

Al centro di questi due misteri c’è la risurrezione di Gesù. Essa è l’inizio della sua glorificazione e pone le ultime condizioni per l’effusione dello Spirito. Il linguaggio neotestamentario si serve di tre verbi per esprimere il suo contenuto: eghéirein che vuol dire “risvegliare” dalla morte, simbolicamente intesa come un sonno; anístemi, nel suo significato di “levarsi, sorgere, stare in piedi”; hypsoún che in italiano si dovrebbe tradurre con i verbi “innalzare, elevare, esaltare” (cfr. Gv 3,14; 8,22; 12, 32). 

I testi sacri non si limitano ad affermare che Cristo è passato dalla condizione di “morto e sepolto” a quella di “vivente”, ma integrano il tema con affermazioni riguardanti l’esaltazione celeste (cfr. At 5,31; Fil 2,9) e l’intronizzazione alla destra di Dio (cfr. Mc 16, 19; At 2,23; 1Pt 3,21; Col 3, 1; Eb 1,3), in forza della quale Cristo sottomette a sé le potenze celesti (cfr. Col 2,15; Ef 2,20-23; Eb 2,8s) e tutti i nemici, compresa la morte (cfr. 1Cor 15,24-27). Egli è «Innalzato» (cfr. At 2,33) alla gloria (cfr. Gv 7,39; 12,23; 17,1.3.24; 1Tm 3,16; Eb 2,9) in quanto Cristo (cfr. At 2,36), Figlio di Dio (cfr. Rm 1,4) e Kyrios (cfr. Fil 2,9) rivestito di potenza (cfr. Mt 28,18s) per «sedere alla destra del Padre» (Mc 16,19; Ef 1,17-23).

L’Ascensione non vuol dire andare in una zona lontana del cosmo, ma indica la vicinanza permanente di Cristo risorto in mezzo ai suoi discepoli. Il Signore e Maestro non è “andato via”, ma, in virtù dello stesso potere di Dio, rimane per sempre presente nella sua Chiesa. Il suo “salire al cielo”, in realtà, è il suo costante “venire” verso di noi. Il Cristo glorioso non si trova più in un singolo posto del mondo, ma è presente accanto a tutti, in tutta la storia e in tutti i luoghi. 

San Cirillo di Gerusalemme scrive: «Due sono anche le sue discese nella storia. Una prima volta è venuto in modo oscuro e silenzioso […] una seconda volta verrà nel futuro […] davanti agli occhi di tutti»[1]. Gli fa eco san Bernardo di Chiaravalle che, in una visione integrativa, afferma: «Conosciamo una triplice venuta del Signore […] la terza è in mezzo tra le altre (adventus medius) […]. Nella prima venuta egli venne nella carne e nella debolezza; in questa intermedia viene nello spirito e nella potenza; nell’ultima verrà nella gloria e nella maestà»[2]

Mentre ascende al cielo, Gesù benedice i suoi discepoli (cfr. Lc 24,50). Benedicendo se ne va e nella benedizione egli rimane. Si esprime così il rapporto duraturo di Gesù con i suoi discepoli e con il mondo. Nell’andarsene, ci solleva al di sopra di noi stessi e ci apre al mondo di Dio. L’umanità assunta con lui nella gloria, entra trionfalmente nella dimora di luce. Le sue mani benedicenti restano stese su questo mondo come un rifugio protettivo e, allo stesso tempo, come un gesto di apertura affinché la terra possa riempirsi di cielo. 

Il Cristo, seduto alla destra del Padre, è la via aperta per ascendere e avere accesso all’incontro con il Padre: «Io vado a prepararvi un posto; quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, ritornerò e vi prenderò con me» (Gv 14, 3). Allora il Figlio consegnerà il mondo al Padre e Dio sarà tutto in tutti (cfr. 1Cor 15,20-28). Ogni lacrima sarà asciugata e la vittoria dell’amore sarà l’ultima parola della storia del mondo. Gesù stesso afferma: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14,23). 

Vivete la comunione dei santi

Nel tempo intermedio, a noi è chiesto di essere vigilanti, cioè disponibili a non rinchiuderci nel tempo presente disperdendoci tra le cose tangibili, ma ad alzare lo sguardo e a tenerlo fisso verso le cose di lassù, per imparare il giusto criterio di agire in questo mondo. Dobbiamo vivere nel mondo in attesa del ritorno di Cristo. Il cammino di santità a cui siamo chiamati consiste nel «mantenere e perfezionare con la nostra vita la santità ricevuta»[3].  

Nei primi secoli del cristianesimo, i membri della Chiesa non esitarono a chiamarsi santi (cfr. 2Cor11,12; Rm 15, 26-31; Ef 3,5; 4,12). La Chiesa stessa era considerata come «comunione dei santi». Papa Leone XIV, nella sua prima omelia dopo l’elezione, ha detto che in Cristo, Dio «ci ha mostrato così un modello di umanità santa che tutti possiamo imitare, insieme alla promessa di un destino eterno che invece supera ogni nostro limite e capacità»[4].

Nell’assemblea eucaristica, “i santi” partecipano alle “cose sante”. C’è una reciprocità tra comunione con Cristo e comunione fraterna: l’esperienza della comunione fraterna ci conduce alla comunione con Cristo e la comunione con lui ci apre alla comunione fraterna. La comunione dei santi inoltre va al di là della vita terrena, va oltre la morte e dura per sempre. Un legame profondo e indissolubile si instaura tra noi pellegrini sulla terra e coloro che hanno varcato la soglia del cielo e sono entrati nella gloria.

 Vivete, dunque, care sorelle, la “comunione dei santi” insieme al Servo di Dio Gilberto Agustoni, alla beata Madre Elisa Martinez e alla venerabile Teresa Lanfranco. Per voi l’espressione “comunione dei santi” si rende visibile attraverso i loro volti e acquista un significato concreto perché conoscete le parole che vi hanno trasmesso, i gesti che hanno compiuto, i rapporti che hanno instaurato. La comunione spirituale è anche consonanza di ideali a cui tutti aspirate, di affetti che hanno legato le vostre persone, di progetti che, negli anni, vi hanno coinvolto, di sacrifici che avete affrontato insieme e avete offerto al Signore. Stringetevi a loro in un vincolo d’amore fraterno.

La vostra sia una spiritualità verticale, incarnata nel mondo

La vostra spiritualità abbia una direzione verticale e sia incarnata nella storia. Il Servo di Dio Gilberto Agustoni, insieme alla beata Madre Elisa Martinez e alla venerabile Teresa Lanfranco, formano l’ideale di santità che Dio ha pensato per la vostra famiglia spirituale: un cammino da fare insieme, un comune itinerario di sequela Christi, pur nella differenza dei doni e dei carismi. Per questo il cardinale Agustoni, nell’omelia della Messa per il quarantesimo anniversario di ordinazione sacerdotale, si rivolgeva alla vostra comunità con queste parole: «Voi avete nel mio sacerdozio un posto privilegiato, non concesso da me, ma destinato da Dio stesso con la nostra vocazione; dico nostra: la vostra e la mia, che nel suo amore sono state da lui date per ricordarci, per unire insieme un sacrificio a Dio gradito»[5]. Il cardinale intendeva ribadire il legane profondo tra la sua persona e la vostra famiglia spirituale. Insieme a lui, siete chiamate a percorrere lo stesso cammino di santità, guardando a Cristo, modello e maestro di vita.

Ricordo a tutte e, in particolare, alle suore che oggi celebrano il giubileo di vita consacrata, che i vostri fondatori rappresentano i vostri modelli di vita, i compagni di viaggio, il fratello e le sorelle maggiori su cui potete sempre contare. Essi vi sostengono e, con la loro presenza silenziosa, non mancano di correggervi e di ammonirvi. Sono amici sinceri, di cui potete fidarvi, perché desiderano il vostro bene. Nella loro vita trovate un esempio, nella loro preghiera un aiuto, nella loro vicinanza un segno di fraterna amicizia. Li avete conosciuti quando erano in vita, ora li venerate mentre sono in cielo.

Il dono carismatico che Dio ha concesso a loro torni a beneficio di tutti. Il carisma ha una forza attrattiva. Gli evangelisti spesso mettono in risalto il fascino che esercitava la persona, i gesti e l’insegnamento di Gesù[6]. Chi possiede un carisma ha la capacità di esercitare un forte ascendente sulle altre persone. Per la sua personalità irresistibile e l’insieme dei doni spirituali diventa una guida per tutti.

Il vostro carisma ha una duplice dimensione. È ancorato al cielo ed è esercitato su questa terra. Come gli apostoli, siete chiamate a tenere lo sguardo fisso su Cristo asceso alla destra del Padre. Rivolgete lo sguardo verso l’alto per imparare a vedere la realtà dall’alto. Il vostro cammino di fede non si riduca a un insieme di pratiche religiose o a un abito esteriore, ma diventi un fuoco che vi brucia dentro e vi fa diventare persone che cercano il volto del Signore e testimoni del suo Vangelo. Guardando in alto, non vi fermerete davanti alle difficoltà, avrete la forza di superare gli ostacoli e sarete ricolme della gioia di vivere la fraternità.

 Lo sguardo al cielo non vi esime dal considerare le realtà temporali prestando attenzione soprattutto ai più piccoli e ai più deboli ricordando le parole di Gesù «quello che avete fatto ai più piccoli dei miei fratelli l’avete fatto a me» (Mt 25, 40.45). È il comando evangelico da cui ha preso origine la vostra famiglia spirituale. Facendo eco a madre Elisa, il cardinale Agustoni sottolinea: la nostra identità «si riconosce dall’amore del prossimo alla maniera di Gesù. È quindi un’esigenza non imposta dall’esterno, ma che nasce impellente dal di dentro: nella mente e nel cuore di chi capisce che cosa significa essere seguace di Gesù. Non è una bandiera, una coccarda: è il distintivo inventato da Gesù per riconoscere i seguaci. Neppure l’abito religioso che pure è sacro, vale niente se manca il distintivo che richiede Gesù; l’amore dei fratelli secondo il comandamento nuovo»[7].

Oggi incomincia un nuovo cammino per la vostra famiglia spirituale. Per il Servo di Dio, cardinale Gilberto Agustoni consisterà nell’accertamento, da parte della Chiesa, delle sue virtù eroiche. Per voi e, soprattutto per le sorelle che celebrano il giubileo di vita religiosa, inizia un’altra tappa della vita. A tutte le età c’è sempre qualcosa da donare a Dio e ai fratelli. La Vergine di Leuca, di cui portate il nome, vi benedica e vi protegga. 


[1] Cirillo di Gerusalemme, Catechesi, XV,1-3. 

[2] Bernardo di Chiaravalle, In Adventu Domini, serm. III,4. V,1.

[3] Lumen gentium, 40.

[4] Leone XIV, Omelia, Cappella Sistina, Città del Vaticano, venerdì, 9 maggio 2025.

[5] G. A. Agustoni, Omelia del 27 aprile 1986, in S. A Lattanzio, Pastore secondo il cuore di Cristo. Biografia del cardinale Gilberto Angelo Agustoni, Editrice Rotas, Barletta 2024, p. 83.

[6] Cfr. F. de Lasala, Il fascino di Gesù, Lateran University Press, Roma 2010.

[7] G. A. Agustoni, Omelia del 13 maggio 2001, In S. A Lattanzio, Pastore secondo il cuore di Cristo, cit. p. 92.

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