Omelia nella Messa del 60 anniversario di sacerdozio di don Pompilio Cazzato
Chiesa Presentazione V. Maria – Specchia, 4 luglio 2025. 

Caro don Pompilio, 
cari sacerdoti e fedeli,
un noto proverbio recita «Non c’è due senza tre». In questo caso, l’espressione proverbiale si riferisce al fatto che, dopo due celebrazioni e due omelie, che hanno riguardato la persona e il ministero di don Pompilio in due differenti occasioni, questa sera viviamo un’altra celebrazione per i suoi 60 di sacerdozio. 

Nel 2011, nell’omelia al termine del suo ministero di parroco a Montesano, avevo parlato di lui come un prete senza aggettivi[1]. Con questa definizione, avevo inteso elogiare la sua persona perché, in contrasto con la cultura contemporanea, don Pompilio non aveva vissuto il suo ministero con gesti eclatanti tanto da essere citato dai giornali e dalle televisioni, ma aveva fatto del suo sacerdozio un amorevole e fedele servizio al popolo di Dio. La sua spiritualità era caratterizzata dall’essere a disposizione di tutti per amore a Cristo. La sua, avevo detto in quella occasione, era la spiritualità di «un ministro che si mette a totale servizio del suo popolo, senza fare preferenze, amando tutti, piccoli, grandi, vicini e lontani. Il sacerdote deve manifestare lo stesso l’atteggiamento di Dio nei riguardi degli uomini: non fare preferenza per nessuno, accogliere tutti e a tutti donare il proprio tempo, elargire i frutti delle proprie fatiche ministeriali, fare del bene senza chiedere il contraccambio. Il sacerdote è anche questo: il servo di tutti» […] in una totale dedizione, senza risparmio di energia, senza pensare a sé stesso, senza pensare in primo luogo alle sue esigenze personali, ma a quelle della comunità»[2].

Nel 2015, celebrando il cinquantesimo anniversario del suo sacerdozio, avevo sinteticamente richiamato i molteplici incarichi e compiti assunti durante il suo ministero pastorale: «Prefetto d’ordine e insegnante nel seminario di Ugento, mansionario e canonico del Capitolo della Cattedrale, segretario e tesoriere dell’Ufficio amministrativo diocesano, docente di introduzione alla Sacra Scrittura, parroco a Patù dove hai costruito la nuova Chiesa e parroco a Montesano dove hai realizzato l’Oratorio parrocchiale»[3].

Avevo anche espresso ammirazione per il suo stile sacerdotale con queste parole: «Ammiriamo il tuo desiderio di conformarti a Cristo, di uniformarti ai suoi sentimenti, di assimilarti al suo infinito amore per misurarne l’altezza, la lunghezza e la profondità. Nella tua vita semplice e umile riconosciamo lo sforzo di procedere lungo la via della perfezione della vita cristiana […]. Celebrando il tuo giubileo sacerdotale, ci confermiamo nella convinzione che il Signore ha in riserbo per te e per noi “una rinnovata gioia pasquale” (Colletta), quel gaudio che ci consente di pregustare anticipatamente il frutto della “cara gioia, sovra la quale ogni virtù si fonda”»[4].

In questa celebrazione, vorrei mettere in evidenza due altre qualità del sacerdozio di don Pompilio. Innanzitutto, il tuo silenzio orante. La preziosità di un prete non si misura dalla quantità di opere realizzate, ma dalla sua capacità di rimanere in un silenzio orante. Nella nostra società siamo abituati all’estroversione, pensiamo meno a riposare nel Signore e a rimanere in un silenzio orante

È importante invece avere questa caratteristica. Per non confondere il silenzio con il mutismo, o con l’isolamento è necessario aggiungere alla parola silenzio l’aggettivo specificativo “orante”. Si tratta di un silenzio che sgorga dalla e nella preghiera e non ha nulla a che fare con la semplice passività. Nella bolla di canonizzazione di santa Chiara d’Assisi, papa Alessandro IV affermò che la santa «si custodiva dentro e si diffondeva fuori […] taceva, ma la sua fama gridava»[5]. Il suo esempio ci conferma che il silenzio orante non solo può veicolare la testimonianza evangelica, ma sa anche donarle pregnanza di contenuto, generando il felice ossimoro del “silenzio che grida”.

Che il silenzio sia un elemento essenziale della vita cristiana e un cardine del cammino di evangelizzazione, lo ha ricordato più volte Benedetto XVI. Nella visita alla certosa di Serra San Bruno, il 9 ottobre 2011, aveva affermato che «le città sono quasi sempre rumorose: raramente in esse c’è silenzio, perché un rumore di fondo rimane sempre, in alcune zone anche di notte. […] Alcune persone non sono più capaci di rimanere a lungo in silenzio e in solitudine». Occorre, invece, esporsi «alla solitudine e al silenzio per non vivere di altro che dell’essenziale, e proprio nel vivere dell’essenziale trovare anche una profonda comunione con i fratelli, con ogni uomo»[6].

Inoltre, nel messaggio per la 46a giornata mondiale delle comunicazioni sociali (24 gennaio 2012) celebrata sul tema Silenzio e Parola: cammino di evangelizzazione, aveva sottolineato che «nel silenzio parlano la gioia, le preoccupazioni, la sofferenza, che proprio in esso trovano una forma di espressione particolarmente intensa. Dal silenzio, dunque, deriva una comunicazione ancora più esigente, che chiama in causa la sensibilità e quella capacità di ascolto che spesso rivela la misura e la natura dei legami».

Il secondo aspetto che voglio sottolineare è l’esempio che don Pompilio ci offre di vivere anche la vecchiaia come tempo della benedizione di Dio. Nella prima lettura abbiamo ascoltato queste parole: «Abramo era ormai vecchio, avanti negli anni, e il Signore lo aveva benedetto in tutto» (Gen 24, 1). Penso che possiamo riferire queste parole a don Pompilio. Mi piace allora, in questa circostanza, far risuonare le parole che Papa Francesco inviò, nel messaggio del 16 settembre 2021, ai sacerdoti lombardi anziani e malati. Ad essi egli rivolse queste consolanti parole: «State vivendo una stagione, la vecchiaia, che non è una malattia, ma il privilegio di assomigliare Gesù che soffre» Voi, sottolineò il Papa, siete «protagonisti attivi nelle comunità», «portatori di sogni carichi cli memoria e per questo importantissimi per le giovani generazioni». «Da voi viene la linfa per fiorire nella vita cristiana e nel ministero». Queste esortazioni richiamano le parole di Gesù, riprese dal canto al vangelo della liturgia odierna: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro, dice il Signore» (Mt 11, 28).

Grazie, don Pompilio per questa ulteriore testimonianza di vita che ci offri nel tempo della tua vecchiaia. Ringraziamo il Signore per il tuo silenzioso e fecondo ministero pastorale e, insieme, ti formuliamo i migliori auguri per il sessantesimo anniversario della tua ordinazione sacerdotale. 


[1] V. Angiuli, Un prete senza aggettivi, omelia nella Messa di ringraziamento per il ministero di parroco di don Pompilio, Montesano Salentino, 2 settembre 2011, in Id., Vi ho chiamato amici. La vocazione e il ministero sacerdotale. Omelie. Decimo anniversario del ministro episcopale (2010-2020) a cura di Stefano Ancora, VivereIn, Monopoli 2020, pp. 614-618.

[2] Ibidem, p.616.

[3] Id., Cinquant’anni di sacerdozio: tempo di ringraziamento, di stupore e offertaomelia nel 50° di sacerdozio di don Pompilio Cazzato Parrocchia “Presentazione V. Maria” Specchia, 5 luglio 2015, in ibidem, pp. 448-453, qui p. 448.

[4] Ibidem, pp. 452-5453; per la citazione vedi Dante, Paradiso, XXIV, 88. 

[5] BolsC 4,13-14: FF 3284.

[6]Benedetto XVI, Omelia nella celebrazione dei vespri, chiesa della Certosa di Serra San Bruno, domenica, 9 ottobre 2011.

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