Omelia nella Messa per l’istituzione di don Giuseppe Indino come Priore della Delegazione di Lecce dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme
Chiesa santa Croce – Lecce, 5 luglio 2025.
Cari fratelli e sorelle,
l’incarico di Priore, assunto da don Giuseppe Indino, è finalizzato non alla sua persona, ma a sostenere la vostra particolare vocazione e missione: essere cavalieri e dame della fede custodita nel santo Sepolcro di Gerusalemme. Quattro sono, dunque, gli aspetti che egli dovrà curare a vostro servizio: evidenziare il valore religioso e la centralità di Gerusalemme; illustrare il significato misterico e mistico del santo sepolcro; sostenere la vostra professione di fede in Cristo morto e risorto; richiamare il vostro servizio all’interno dell’Ordine equestre del santo Sepolcro di Gerusalemme.
Gerusalemme, la città santa per le tre religioni monoteiste
Gerusalemme è la città santa per le tre grandi religioni monoteiste: ebraismo, cristianesimo e islamismo. Innanzitutto per gli ebrei. Conquistata intorno al 1000 a.C. dal re Davide, in essa il suo successore, Salomone, fece edificare il Tempio: l’unico luogo, in tutto Israele, dove era consentito rendere culto a Yahwéh. Il Tempio di Gerusalemme, dove si custodiva l’Arca dell’Alleanza, era considerato il luogo della dimora di Dio in mezzo al suo popolo, il segno concreto della sua presenza.
Anche i musulmani definiscono Gerusalemme Al Quds (il nobile luogo sacro). Fino al VII secolo, l’Islam aveva due città sante, La Mecca (dove è custodita la Pietra nera) e Medina (dove si trova il sepolcro di Maometto). A partire dal VII secolo, però, iniziò a farsi strada una nuova interpretazione della XVII sura del Corano, che identificava nella roccia del Monte Moriah, nel cuore di Gerusalemme, il luogo nel quale Maometto avrebbe iniziato il proprio “viaggio mistico” verso il cielo, per giungere fino ad Allah. In corrispondenza di quel luogo, nel 691 fu edificata la Cupola della Roccia (o Moschea di Omar) e, successivamente, la grande Moschea di al-Aqsa (cioè “la distante, la lontana”, perché fu la moschea più lontana da La Mecca ad accogliere Maometto). Questi monumenti sorgono nell’area detta monte del Tempio o spianata delle moschee (in arabo al-Haram ashSharif, cioè “nobile recinto o giardino sacro”), dove un tempo sorgeva il Tempio ebraico, tanto che uno dei muri di contenimento della spianata è proprio il muro del pianto, sacro agli Ebrei.
Se ci riferiamo alla tradizione cristiana, Gerusalemme è il centro della storia della salvezza e immagine futura e definitiva del regno di Dio. Nell’opera lucana, la centralità di Gerusalemme è evidente già dalle ricorrenze terminologiche: 31 volte si fa riferimento a Gerusalemme nel Vangelo di Luca e 59 negli Atti. Il Vangelo si apre a Gerusalemme, con l’apparizione dell’angelo a Zaccaria, e termina a Gerusalemme, dove i discepoli contemplano l’ascensione e glorificazione del Risorto. Al centro della narrazione evangelica, in Luca 9,51, Gerusalemme ritorna ancora come mèta del viaggio di Gesù. Il suo destino è portare a compimento la missione dei profeti a Gerusalemme.
Nell’Apocalisse, Gerusalemme è la sposa e la città che scende dall’alto (cfr. Ap 21, 2). È La meta finale del cammino della storia della salvezza. È il luogo storico ed escatologico! Tutto ha inizio da Gerusalemme e tutto confluisce in quella città. Il brano, proclamato nella prima lettura, è la conclusione del libro della consolazione del profeta Isaia: «Ecco ̶ annuncia il Signore per bocca del profeta ̶ io farò scorrere verso di essa, come un fiume, la pace; come un torrente in piena, la gloria delle genti. Voi sarete allattati e portati in braccio, e sulle ginocchia sarete accarezzati. Come una madre consola un figlio, così io vi consolerò; a Gerusalemme sarete consolati» (Is 66, 12-13). Oltre che città e sposa, Gerusalemme è anche madre. Essa ci consola e ci chiede di diventare operatori di pace.
Il santo Sepolcro di Gerusalemme
Nel cuore di Gerusalemme c’è il santo Sepolcro. Il giudaismo, nel libro dei Giubilei (II secolo prima di Cristo), riprendendo la tradizione greca secondo la quale il Tempio di Delfi era considerato come l’ombelico del mondo (omphalos kosmou), aveva applicato questo simbolo alla città di Gerusalemme. Se l’oracolo di Delfi ormai tace, la voce del Risorto si diffonde in tutta la terra a partire al santo Sepolcro, posto nel cuore della città santa. È il centro del centro del mondo. Non è più sufficiente, secondo l’antico oracolo, conoscere sé stessi (Gnothi seauton), ma è necessario annunciare e testimoniare, in un mondo globalizzato, la fede nel Risorto.
Gli ortodossi chiamano la basilica Anastasis, la risurrezione. I latini invece parlano del Santo Sepolcro. Sono i due elementi complementari del kerigma primitivo: Cristo, morto e risorto. Da quel luogo di morte e di vita, egli chiama tutti a uscire dalle proprie tombe. L’iconografia illustra in modo mirabile questo tema: Cristo scende negli inferi, afferra Adamo ed Eva per le mani e li fa uscire dai loro sepolcri. Fin dalle origini, i primi cristiani ritenevano che la tomba del primo Adamo era da ricercare sotto il Calvario. Entrando nella basilica, a destra, sulla parete di roccia si vede una fenditura verticale che venne a crearsi nel momento della morte di Gesù. Da quella fenditura, il sangue di Gesù colò sul cranio di Adamo, simbolo di tutta l’umanità redenta da Gesù. Per questo, intorno alla croce di Gesù, l’evangelista Giovanni mette quattro uomini, i soldati pagani che si dividono le vesti di Gesù (cfr. Gv 19,23), e quattro donne ebree (cfr. Gv 19, 25). La salvezza di Cristo raggiunge tutti gli uomini e le donne, appartenenti all’ebraismo o al paganesimo. L’universalità della salvezza è rappresentata dalla croce cosmica che indica i quattro punti cardinali. La croce, detta di Gerusalemme, che voi portate come stemma sui vostri mantelli, riprende questa iconografia.
Il vanto del cristiano: nisi in cruce Domini
Il vanto cristiano è tutto nella croce di Cristo. «Nisi in cruce Domini», esclama l’apostolo Paolo nel brano della Lettera ai Galati che abbiamo ascoltato in questa celebrazione eucaristica. La croce, infatti, è il simbolo riassuntivo del mistero pasquale. Significa la passione e la morte, ma anche la risurrezione e l’esaltazione. Per questo, dopo il ritrovamento della vera croce (circa nel 326 d.C.) sant’Elena, madre dell’imperatore Costantino, la fece venerare e costruì la basilica del santo Sepolcro sul luogo del ritrovamento.
Sant’Andrea di Creta illustra il valore della glorificazione con queste parole: «La croce è gloria di Cristo, esaltazione di Cristo. La croce è il calice prezioso e inestimabile che raccoglie tutte le sofferenze di Cristo, è la sintesi completa della sua passione. Per convincerti che la croce è la gloria di Cristo, senti quello che egli dice: “Ora il figlio dell’uomo è stato glorificato e anche Dio è stato glorificato in lui, e lo glorificherà subito” (Gv 13, 31-32). E di nuovo: “Glorificami, Padre, con quella gloria che avevo presso di te prima che il mondo fosse” (Gv 17, 5). E ancora: “Padre glorifica il tuo nome. Venne dunque una voce dal cielo: L’ho glorificato e di nuovo lo glorificherò” (Gv 12, 28), per indicare quella glorificazione che fu conseguita allora sulla croce. Che poi la croce sia anche esaltazione di Cristo, ascolta ciò che egli stesso dice: “Quando sarò esaltato, allora attirerò tutti a me” (cfr. Gv 12, 32). Vedi dunque che la croce è gloria ed esaltazione di Cristo»[1].
La croce di Gerusalemme o Pentacroce, che voi cavalieri del santo Sepolcro portate sul vostro mantello, è simbolo delle cinque piaghe di Gesù e della sua opera redentrice. Fu utilizzata durante il regno di Gerusalemme e diventò lo stemma del sigillo della Custodia di Terra Santa (1600). Furono, infatti, i francescani a trasmettere la croce di Gerusalemme ai cavalieri.
Il cavaliere della fede: tra follia e santità
Cari cavalieri e dame, la croce di Cristo sia anche il vostro vanto. Fate vostre le parole dell’apostolo Paolo: «Fratelli, quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo» (Gal 6, 14). In questo modo voi adempirete la vostra missione: essere cavalieri e dame della fede custodita nel santo sepolcro di Gerusalemme!
La figura del “cavaliere della fede” è il punto culminante di Timore e tremore, una significativa opera di S. Kierkegaard. In essa, il filosofo danese celebra Abramo come il “cavaliere della fede”, un uomo che compie un “salto nell’assurdo”, credendo che Dio gli restituirà Isacco nonostante l’evidenza contraria. Kierkegaard lo contrappone al “cavaliere della rassegnazione”, che accetta la perdita senza speranza di recupero, rinunciando al mondo con stoica accettazione. Il cavaliere della fede, invece, vive una contraddizione radicale: rinuncia a tutto, ma crede fermamente che tutto gli sarà restituito, non per logica, ma per un atto di fiducia assoluta. Il cavaliere della fede è un uomo che vive nel finito, ma è radicato nell’infinito. Abramo incarna questa dualità: sale sul monte Moriah con il cuore spezzato, ma con una serenità che sfiora la follia. Egli ha fede in Dio, nonostante tutto. Questa tensione tra l’ideale e il reale rende il “cavaliere della fede” una figura universale, un simbolo della lotta tra la finitezza dell’uomo e l’infinito di Dio.
Compito del Priore è confermare i fratelli nella fede (cfr. Lc 22, 32)
Ma cos’è la fede? La Lettera agli Ebrei ci consegna questa bellissima definizione: «La fede è sostanza delle cose che si sperano e argomento di quelle che non si vedono” (Eb 11,1). È come una porta che si apre e ci permette di entrare nel mistero di Dio ed è come una radice da cui tutto prende vita.
Nel concetto di fede risuona l’idea della fiducia e della persuasione. Il costitutivo fondamentale della fede prima ancora dell’atto di credere è un atteggiamento di fondo di assoluto abbandono. La fede teologale proviene direttamente da Dio, dal quale viene infusa, e ciò che si crede è anche il motivo in forza del quale si crede. Sant’Agostino afferma: «Tu vedi qualcosa per giungere a credere in qualcosa d’altro, e da ciò che vedi puoi credere ciò che non vedi. Non essere ingrato a colui che ti ha dato di vedere perché tu possa credere ciò che non puoi vedere. Nel corpo Dio ti ha dato gli occhi, nell’intimo un principio intellettivo. Risveglia la razionalità della mente, richiama l’attenzione di chi inabita i tuoi occhi interiori, si serva delle proprie finestre, affondi lo sguardo nella creazione divina. Si trova infatti nell’intimo quello che può vedere attraverso lo sguardo. […] Non sono gli occhi a vedere, ma uno che vede per mezzo degli occhi. Rendilo attento, ìncitalo. Non ti si nega infatti. Dio ti creò animale ragionevole, ti dette il dominio sulle bestie, ti formò a sua immagine. […] Cerca in alto l’orizzonte della ragione, fa’ valere gli occhi dell’uomo che sei, guarda il cielo e la terra, gli splendori del firmamento, la fertilità della terra, il volare degli uccelli, il nuotare dei pesci, la vitalità dei semi, il succedersi regolare delle stagioni. Volgi l’attenzione al creato e pensa al Creatore. Ammira le cose che vedi e tendi a ciò che non vedi. A motivo di codeste cose che vedi, credi in colui che non vedi»[2].
Il brano del Vangelo ci spalanca il mistero della storia attraversata dal male. «Vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore. Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni e sopra tutta la potenza del nemico: nulla potrà danneggiarvi. Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli» (Lc 10, 20). All’apparenza sembra che il male domini nel mondo. Sembra che la storia sia guidata del “principe di questo mondo”. In realtà egli è già stato sconfitto e, silenziosamente, si fa strada nel mondo il regno di Dio.
Il compito del Priore è di confermarvi in questa fede (cfr. Lc 22, 32). Il vostro impegno personale è di rimanere fedeli al vangelo immedesimandovi sempre più nel mistero del Sepolcro di Cristo, di cui siete cavalieri e dame. Siete chiamati, simbolicamente, a entrare in questo Sepolcro e a trovare in esso la ragione stessa della vostra vita e della vostra morte. Vi siano di guida e di conforto le parole di un antico scrittore ecclesiastico: «Venne in questo sepolcro chi dall’eternità creò il mondo. Avvicinati a questa tomba, fai presto, affinché tu diventi il mio tempio»[3].
[1] Andrea di Creta, Discorso sull’esaltazione della santa croce, PG 97, 1022-1023.
[2] Agostino, Discorso 126, 2
[3] Theodoricus, De locis sanctis, cap. VI.
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