Omelia nella Messa per il cinquantesimo anniversario di ordinazione sacerdotale
di don Francesco Cazzato
chiesa sant’Andrea Apostolo, Presicce-Acquarica, 6 ottobre 2024. 

Caro don Francesco,
cosa rappresentano i tuoi cinquant’anni di sacerdozio se non la testimonianza dell’amore di Dio nei tuoi riguardi e la sua fedeltà al suo dono di grazia? Nel libro che hai preparato per questo evento hai richiamato, in estrema sintesi, i punti salenti del tuo ministero. Tra l’altro hai anche pubblicato due immaginette. Quella del 25°di ordinazione sacerdotale riporta una bella preghiera di san Gregorio Nazianzeno. Le sue parole mi sembrano la tua risposta al Signore: «Se non fossi tuo, Cristo mio, mi sentirei creatura finita»[1]. Per questo a me piace pensare che per te celebrare cinquant’anni di sacerdozio, sia l’ora del canto di ringraziamento e del rinnovato impegno pastorale.

L’ora del canto di ringraziamento e di un rinnovato impegno pastorale

Innanzitutto, è l’ora del rendimento di grazie. Il ringraziamento è il canto più ovvio, più naturale, più genuino, più vero, più doveroso perché nel sacerdozio c’è un mistero così profondamente e resistentemente bello, che la opacità della nostra miseria non riesce ad oscurare e a rendere sterile. È il tempo per fare memoria e stupirsi, ricordare e meravigliarsi della bontà e della misericordia di Dio. Certo il tempo passa, si snoda secondo un ritmo che non possiamo controllare. In un certo senso ci insegue e ci scavalca. Non possiamo fermarlo. Rimane sempre giovane, mentre noi avanziamo in età e diventiamo più deboli e fragili.Ma davanti al Signore un giorno è come mille anni e mille anni come un giorno solo (2Pt 3, 8). Davanti al Signore non esiste il tempo come misura delle cose. C’è solo il passato che si manifesta come storia e il futuro che si annuncia come promessa. La grandezza del sacerdozio, pertanto, non sta nel numero degli anni in cui viene esercitato, ma nel dono che è stato elargito. E di questo dono non si finisce mai di elevare al Signore l’inno di ringraziamento. 

Questa ricorrenza segna anche il momento di un canto speciale. È, infatti, il tempo che tiene insieme la raccolta e la semina. Gli anni trascorsi non si sono dileguati invano. Contengono tesori di incalcolabile bellezza. Incontri, relazioni, avvenimenti talvolta nascosti, talvolta più appariscenti. A te è capitato non solo di avere come educatore don Tonino Bello, ma anche di collaborare più strettamente con lui nel servizio che, sia pure per un breve arco di tempo, hai esercitato a favore della formazione dei ragazzi del Seminario di Ugento. 

Quanto è accaduto, però, non può rimanere sepolto nella memoria come un ricordo nostalgico del tempo passato. Il dono ricevuto è un’energia spirituale che spinge a continuare, anche se con modalità differenti, a svolgere il ministero per l’edificazione della Chiesa. Seminare e raccogliere, raccogliere e continuare a seminare è la regola suprema della vita e del ministero sacerdotale. Un prete non va mai in vacanza. C’è sempre davanti a lui lo sterminato campo dell’annuncio del vangelo. Lo confermano le parole della seconda immaginetta, quella che ricorda il tuo ministero di parroco a Barbarano del Capo e a Presicce:«Se tu progetti per un anno, / semina grano. / Se tu progetti per dieci anni, / pianta un albero. / Se tu progetti per cento anni, / diffondi il bene /. Seminando grano / raccoglierai una volta. / Piantando un albero, / raccoglierai dieci volte. / Diffondendo il bene, raccoglierai per l’eternità»[2].

Se volessimo raccogliere gli aspetti che hanno caratterizzato il tuo ministero e che ancora possono renderlo fecondo, potremmo indicarne tre: il recupero della memoria storica, la valorizzazione delle opere d’arte, l’impegno nel ministero della predicazione.

Il recupero della memoria storica

La tua particolare sensibilità per la ricerca storca ti ha spinto a produrre scritti per conservare la memoria di chiese, monumenti, persone e avvenimenti che hanno caratterizzato la vita ecclesiale, sociale e civile del Basso Salento. Lo hai sempre fatto con molta acribia e dovizia di particolari, cercando di evitare i luoghi comuni o riproporre letture parziali e superficiali degli avvenimenti storici. La tua è stata una ricerca solidamente fondata sui documenti e i reperti che la tradizione ha fatto giungere fino a noi. Hai profuso il tuo impegno non per una semplice ricerca accademica, ma per una valorizzazione della vita della comunità, mosso dall’amore al nostro territorio e alle sue bellezze, soprattutto quelle più nascoste e meno evidenti e conosciute per l’inevitabile oblio del tempo.

Sei sempre stato consapevole che l’oblio del passato rappresenta un decadimento del pensiero e dell’umanità e che, al contrario, recuperare le tradizioni e conoscere la storia costituisce uno strumento fondamentale per la comprensione del presente. Nulla si può costruire o ricostruire facendo finta di partire da una tabula rasa o nell’illusione che la storia possa fare dei salti, dimenticando che essa, invece, procede, sia pure attraverso accelerazioni e decelerazioni, in una ineliminabile continuità che nessuno può ignorare o cancellare. Dire “continuità” significa cercare nei fatti di ieri le radici di quelli di oggi, cioè risvegliando la coscienza storica che può aiutarci a comprendere non solo l’oggi, ma anche a progettare ragionevolmente il domani.

La storia, remota o recente, può darci la capacità di cogliere segni, analogie, somiglianze con eventi già accaduti. Lavorare sulla memoria significa estenderne i confini e costruire sulla storia le basi del futuro. Questo è tanto più necessario nel nostro tempo nel quale la maggior parte dei giovani vive nel presente senza un rapporto organico con il passato. Si tratta di un aspetto che, negli ultimi decenni del Novecento, è tornato alla ribalta in modo quasi drammatico. La “rivoluzione informatica”, vissuta da moltissimi giovani “in contemporanea” e intensamente, ha imposto un nuovo tipo di memoria, basata su gigantesche “banche dati” elettroniche. Esse hanno sostituito il precedente tipo di memoria storica. 

I giovani sono portati a dilatare il “presente” in modo quasi totalizzante, avendo imparato a percepire la realtà soprattutto attraverso cinema e TV e ora attraverso internet, strumenti che parlano direttamente all’inconscio, sfumano o confondono il confine tra reale e virtuale. La loro memoria è, il più delle volte, occasionale, frammentata, involontaria. Somigliano a un gregge che vaga senza meta. Così scriveva Nietzsche già a metà dell’Ottocento: «Osserva il gregge che pascola davanti a te: non sa che cosa sia ieri, che cosa sia oggi: salta intorno, mangia, digerisce, salta di nuovo. È così dal mattino alla sera e giorno dopo giorno, legato brevemente con il suo piacere ed il suo dispiacere, attaccato cioè al piolo dell’attimo e perciò né triste né annoiato»[3].

Non diversamente pensa lo storico inglese E. Hobsbawm, secondo il quale «la distruzione del passato, o meglio la distruzione dei meccanismi sociali che connettono l’esperienza dei contemporanei a quello delle generazioni precedenti, è uno dei fenomeni più tipici e insieme più strani degli ultimi anni del Novecento. La maggior parte dei giovani alla fine del secolo è cresciuta in una sorta di presente permanente, nel quale manca ogni rapporto organico con il passato storico del tempo in cui essi vivono»[4].

Bisognerà, dunque tornare, in modo critico e problematico, alla ricerca storica e in una dimensione più complessa che in passato, per confrontare e ricomporre memorie storiche diverse, sapendo in partenza, che oggi, per vedere più cose e più lontano, bisognerà salire sulle “spalle dei giganti”, di coloro che hanno dato un sostanziale contributo allo sviluppo sociale e culturale. 

La valorizzazione delle opere d’arte 

Un secondo aspetto del tuo impegno pastorale ha riguardato la valorizzazione delle opere d’arte nella convinzione che l’arte sacra e le sue istanze sono una risposta al bisogno di Dio profondamente radicato in ogni uomo. Il linguaggio della bellezza, infatti, messo a servizio della fede, è capace di raggiungere il cuore di tutti e di far conoscere il mistero di Cristo, rappresentato nelle opere d’arte. L’uomo avverte il bisogno di andare oltre ciò che vede e trova nell’arte la finestra spalancata sull’ultimo orizzonte, una sorta di feritoia che aiuta a scorgere, con gli occhi della mente e del cuore, la bellezza e la verità al di là della realtà quotidiana. 

In questa prospettiva, l’impegno a tutelare e valorizzare il patrimonio artistico è di fondamentale importanza per preservare la storia e la cultura di un paese e di una comunità ecclesiale. L’arte cristiana, infatti, non ha funzione puramente decorativa o estrinseca alla fede, ma ha un valore teologico, in quanto, a suo modo, comunica un messaggio religioso. Esiste un’intima simbiosi fra religione, spiritualità, cultura e arte. Soprattutto nel nostro tempo, assetato di bellezza, l’arte ha una indispensabile funzione evangelizzatrice: annuncia la fede a chi ancora non crede, richiama il mistero a chi ha cessato di credere e manifesta un oltre a chi desidera credere. 

L’impegno nel ministero della predicazione della parola

Il terzo impegno, che ha caratterizzato il tuo ministero, è stato la tua disponibilità alla predicazione, nella consapevolezza che oggi è assolutamente necessario ripresentare la persona e il mistero di Cristo. Egli, nuovo Adamo, «rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l’uomo all’uomo e gli rende nota la sua altissima vocazione»[5].

Sotto questo profilo, Papa Francesco ha riconosciuto che il segreto per una fruttuosa predicazione consiste nella capacità del predicatore di avere chiaro il contenuto da annunciare e nel saper utilizzare categorie facilmente comprensibili all’uditorio (cfr. Rm 10,14-17). Nella predicazione bisogna curare con attenzione il contenuto delle parole e proporre le verità di fede e i suoi risvolti esistenziali con uno stile amabile, positivo, che non allontani le persone, ma le ferisca nell’intimo della loro anima (cfr. At 2,37), faccia ardere il cuore (cfr. Lc 24,32) e susciti in loro il desiderio di una conversione più profonda. 

Questo stile comunicativo si addice soprattutto alla predicazione all’interno della liturgia. L’omelia, infatti, ha un carattere quasi sacramentale perché la fede «viene dall’ascolto e l’ascolto riguarda la parola di Cristo» (Rm 10,17). Pertanto, se la proclamazione liturgica della Parola di Dio rappresenta il dialogo di Dio con il suo popolo, l’omelia ha il compito di far risuonare nuovamente la voce del Signore e di esortare i fedeli a riprendere il dialogo con lui. 

L’omelia deve essere una conversazione familiare, una sorta di “esortazione materna”[6]. Essa deve mirare a insegnare, a correggere, a orientare, a sostenere il cammino di fede dei fedeli, con una tonalità espressiva che trasmetta coraggio, forza, impulso ad operare il bene. Il predicatore deve favorire e coltivare la sua vicinanza cordiale al popolo di Dio con «il calore del suo tono di voce, la mansuetudine dello stile delle sue frasi, la gioia dei suoi gesti»[7]. Per questo occorre che egli sia non solo in ascolto di Dio, ma anche «in ascolto del popolo, per scoprire quello che i fedeli hanno bisogno di sentirsi dire. Un predicatore è un contemplativo della Parola ed anche un contemplativo del popolo»[8]. La sua omelia sarà efficace se saprà «contenere “un’idea, un sentimento, un’immagine”»[9]. Ciò richiede una della preparazione remota, prossima e immediata[10].

Caro don Francesco, richiamando queste fondamentali linee del tuo ministero vissuto in questi cinquant’anni, ringrazia il Signore che ti ha donato la grazia per essere fedele al dono ricevuto. Chiedigli di continuare ad assisterti per il futuro. Da parte nostra, formuliamo l’augurio con le parole del ritornello del salmo responsoriale: «Ti benedica il Signore tutti i giorni della tua vita» e porti a compimento l’opera che ha iniziato e promosso con la tua persona per il bene del popolo di Dio.


[1] F. Cazzato, Teresa “serva di Dio”, prima principessa de’ Liguori di Presicce 1703-1724, settembre 2024, p. 53.

[2] Ivi.

[3] F. Nietzsche, Considerazioni inattuali. Sull’utilità e il danno della storia per la vita, 1884.

[4] E. J. Hobsbawm, Il secolo breve, 1914-1991: l’era dei grandi cataclismi, Rizzoli, Milano, 1995.

[5]  Gaudium et spes, n. 22

[6] Francesco, Evangeli gaudium, 139.

[7] Ivi, 140.

[8] Ivi, 154.

[9] Ivi, 157. 

[10] Ivi, 145-148.

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