La Commemorazione dei fedeli defunti già attestata da Agostino e diffusa nei monasteri dal VII sec., viene fissata al 2 novembre nel sec. X, per volontà dell’abate del monastero benedettino di Cluny in Francia. Le parole di Gesù nel vangelo di Giovanni rivelano il suo potere di dare la vita piena, la risurrezione nell’ultimo giorno. E ricordano la condizione necessaria per ricever questa vita: vedere il Figlio e credere in Lui. La missione di Gesù consiste tutta nel comunicare la vita di Dio ai figli che il Padre affida al Figlio. La speranza del cristiano consiste tutta nella sua appartenenza a Cristo: Egli è la vita piena, e in Lui il cristiano ha accesso alla vita. Gesù non distingue tra vita sulla terra e vita dopo la morte: parla della vita di Dio, che il credente riceve già nella sua vita sulla terra e che continua fino alla risurrezione nell’ultimo giorno. Questa è la speranza cristiana fondata su un amore grande che ha portato Cristo a morire per l’uomo, come dice l’apostolo Paolo ai Romani, a salvarlo con il suo sangue e quel Cristo che è morto ora è vivo e la morte non ha più potere su di Lui. Risuonano le parole centrali della Prima Lettura tratta dal Libro di Giobbe. Siamo al centro del libro, nel bel mezzo di un dramma assoluto. Giobbe grida la sua fede, chiara, cristallina, magnifica, apparentemente assurda. Una confessione di fede straordinaria, senza ombre, senza condizioni e senza condizionali. Giobbe, sommerso dalle parole vane dei suoi amici, non vede ancora alcun segnale di presenza da parte di Dio, nessuna risposta alle sue urla, nessuna consolazione al suo dolore. Eppure, malgrado il buio più totale, Giobbe irrompe in una confessione di fede che risuona in tutta la sua purezza. Quindi non è la dissoluzione nella polvere il destino finale dell’uomo, bensì, attraversata la tenebra della morte, la visione di Dio.

Don Tiziano Galati
Responsabile dell’Apostolato Biblico
Ufficio Catechistico

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