Omelia nella festa della Presentazione di Gesù al tempio
Chiesa Presentazione della Vergine Maria, Specchia 2 febbraio 2025.

Cari fratelli e sorelle,
questa domenica è un giorno particolarmente importante per Specchia perché ricorre la festa della Presentazione della Vergine Maria, titolare di questa comunità parrocchiale[1]. Dopo il Concilio Vaticano II, la festa ha assunto un’impronta cristologica in riferimento al mistero della Presentazione di Gesù al tempio (cfr. Lc 2,21-38).

Il mistero della Presentazione di Gesù al tempio 

In obbedienza alla Legge, Giuseppe e Maria portano Gesù al tempio per essere consacrato al Signore. Simeone e Anna, due anziani profeti, riconoscono in lui il Messia atteso che viene nel mondo come «luce per illuminare le genti» (Lc 2,32). Dopo aver preso il Bambino tra le braccia, Simeone canta il Nunc dimittis. È un canto colmo di dolce abbandono e di profonda fiducia; il canto di un uomo che sa di essere giunto al tramonto della vita, ma a un tramonto di luce. Per questo, fin dal quinto secolo, il cantico di Simeone è diventato il canto della Chiesa al sopraggiungere della notte. Simeone è come una sentinella che ha vegliato a lungo e che finalmente, proprio alla fine della vita, vede spuntare la luce della redenzione. Nella sua lunga esistenza, non solo non ha perso la speranza, ma l’ha rafforzata con il passare del tempo.

Mentre stringe il Messia tra le braccia, quale segno di contraddizione e di svelamento dei segreti dei cuori, Simeone intravede l’ombra della croce e annuncia a Maria che una spada trapasserà il suo cuore di Madre. L’episodio è, dunque, caratterizzato da un momento di gioia e, nello stesso tempo, da un grande turbamento. Anche gli avvenimenti della nostra vita sono un intreccio di gioie e di amarezze, di intensa letizia e di improvvise tristezze. 

Simeone sembra rivolgere un triplice invito anche a noi. Ci suggerisce di riflettere sulla nostra capacità di riconoscere la presenza di Dio nelle persone e negli eventi della storia. Nonostante tutte le difficoltà, ci esorta ad affidarci al Signore e ad essere aperti al suo progetto d’amore. Infine, ci sprona a vivere con fede e speranza, anche quando le circostanze sembrano problematiche, incerte e dolorose.

In questa festa liturgica, siamo chiamati a considerare quattro aspetti: essere luceandare incontro all’altroperdonare per essere perdonaticomunicare con verità le ragioni che rendono bella la vita.

Quattro atteggiamenti per risvegliare la speranza che non delude

La festa della Candelora si caratterizza per il rito della processione e dell’accensione delle candele. Èun gesto significativo e rivelativo. Suggerisce di scostare il velo che nasconde la luce perché risplenda in tutto il suo luminoso fulgore. Non siamo chiamati a spargere una coltre di fumo che rende opaca ogni cosa, ma a far risplendere la bellezza della vita. 

Comprendiamo così il valore simbolico dell’accensione delle candele. L’abate Guerrico d’Igny scrive: «Venite a prendervi la luce, venite ad accendervi i vostri ceri, voglio dire queste lampade che il Signore vuole che teniate nelle mani. “Guardate a lui e sarete raggianti” (Sal 33, 6). Non tanto per portare in mano delle fiaccole, quanto per essere voi stessi fiaccole che brillano dentro e fuori, per il bene vostro e per quello degli altri: […]. Gesù accenderà la vostra fede, farà brillare il vostro esempio, vi suggerirà la parola giusta, infiammerà la vostra preghiera, purificherà la vostra intenzione»[2]

È questo il primo messaggio della festa odierna: lasciarci illuminare da Cristo per essere luce per gli altri! Nessuno brilla di luce propria. Camminiamo tutti a fari spenti cioè siamo tutti peccatori. Dovremmo tutti batterci il petto e guardare la trave che è nel nostro occhio, prima di pensare alla pagliuzza che è nell’occhio del fratello (cfr. Mt 7,3-5). Nella vita quotidiana, dovremmo risplendere di luce con le parole e le opere, gli atteggiamenti e i pensieri, i gesti e i sentimenti. Durante la veglia pasquale la luce, passando da una candela all’altra, si moltiplica creando un ambiente luminoso. Allo stesso modo, i credenti in Cristo dovrebbero gareggiare nella stima reciproca (cfr. Rm 12,10) e diventare un fascio di luce per sé e per la società in cui vivono. 

Il secondo messaggio consiste nel fatto che la Candelora è la festa dell’incontro tra Dio e l’umanità e tra uomo e uomo. Festa dell’incontro, non dello scontro; festa del desiderio di creare ponti, non di costruire muri; festa della volontà di stabilire un dialogo, non un disaccordo; festa per privilegiare non la cultura del conflitto, ma quella della convivenza pacifica che crea armonia e condivisione. 

Le «cose di maggior valore» (τιμιώτερα)[3], quelle per cui vale la pena di vivere e di morire[4], vanno attese insieme, vanno cercate insieme, vanno costruite insieme. Un paese che vuole avere un futuro deve fondarsi sull’incontro tra gli anziani e i giovani. I primi porteranno in dono la loro esperienza e la loro saggezza, i giovani metteranno in comune i loro sogni, le lore attese, le loro speranze. Questo miracolo avverrà quando ognuno si mostrerà disponibile a cambiare le proprie visioni e a fare il “primo passo” per andare incontro all’altro. A Specchia celebrate la festa della “Madonna del passo”. Vi invito a celebrare anche la “Madonna del primo passo”[5], cioè la festa di chi non rimane fermo sulle proprie convinzioni, non attende che sia l’altro a venirgli incontro, ma ha il coraggio, l’umiltà e la generosità di fare il primo passo verso l’altro. 

 A tal proposito, vale la pena di ricordare che, secondo don Tonino Bello, un titolo mariano è proprio quello di “Maria, donna del primo passo”. Così egli scrive: «È lei che decide di muoversi per prima: non viene sollecitata da nessuno. È lei che s’inventa questo viaggio: non riceve suggerimenti dall’esterno. È lei che si risolve a fare il primo passo: non attende che siano gli altri a prendere l’iniziativa»[6].  Poi don Tonino rivolge alla Madonna questa accorata preghiera: «Santa Maria, donna del primo passo, chi sa quante volte nella vita terrena, avrai stupito le persone per aver anticipato tutti gli altri agli appuntamenti del perdono. Chi sa con quale sollecitudine, dopo aver ricevuto un torto dall’inquilina di fronte, ti sei “alzata” per prima e hai bussato alla sua porta, e l’hai liberata dal disagio, e non hai disdegnato il suo abbraccio»[7].

In un momento così difficile per la storia dell’umanità, bisogna sostenere l’anelito alla fraternità e risvegliare la virtù della speranza. Nella bolla di indizione del Giubileo, Papa Francesco scrive: «La speranza è quella che, per così dire, imprime l’orientamento, indica la direzione e la finalità dell’esistenza credente […]. Sì, abbiamo bisogno di “abbondare nella speranza” perché ognuno sia in grado di donare anche solo un sorriso, un gesto di amicizia, uno sguardo fraterno, un ascolto sincero, un servizio gratuito, sapendo che, nello Spirito di Gesù, ciò può diventare per chi lo riceve un seme fecondo di speranza»[8]

La speranza nasce dal riconoscimento del proprio peccato e dalla certezza di essere perdonati da Dio. «Tale esperienza piena di perdono – spiega ancora Papa Francesco – non può che aprire il cuore e la mente a perdonare. Perdonare non cambia il passato, non può modificare ciò che è già avvenuto; e, tuttavia, il perdono può permettere di cambiare il futuro e di vivere in modo diverso, senza rancore, livore e vendetta. Il futuro rischiarato dal perdono consente di leggere il passato con occhi diversi, più sereni, seppure ancora solcati da lacrime»[9].

Questa festa, infine, ci invita a usare con saggezza i mezzi di comunicazione sociale. Abbiamo a disposizione strumenti che permettono a tutti di esprimere il proprio pensiero. Occorre però farlo con moderazione, discernimento e rispetto delle persone e della verità. In un recente incontro con i giornalisti, parlando a braccio, Papa Francesco ha detto: «Comunicare è uscire un po’ da sé stessi per dare del mio all’altro. E la comunicazione non solo è l’uscita, ma anche l’incontro con l’altro. Saper comunicare è una grande saggezza, una grande saggezza!»[10].

Nel discorso scritto, il Papa sottolinea: «In questo Giubileo faccio quindi un altro appello a voi qui riuniti e ai comunicatori di tutto il mondo: raccontate anche storie di speranza, storie che nutrono la vita. Il vostro storytelling sia anche hopetelling. Quando raccontate il male, lasciate spazio alla possibilità di ricucire ciò che è strappato, al dinamismo di bene che può riparare ciò che è rotto. Seminate interrogativi. Raccontare la speranza significa vedere le briciole di bene nascoste anche quando tutto sembra perduto, significa permettere di sperare anche contro ogni speranza.  Significa accorgersi dei germogli che spuntano quando la terra è ancora coperta dalle ceneri. Raccontare la speranza significa avere uno sguardo che trasforma le cose, le fa diventare ciò che potrebbero, che dovrebbero essere. Vuol dire far camminare le cose verso il loro destino. È questo il potere delle storie. Ed è questo che vi incoraggio a fare: raccontare la speranza, condividerla. Questa è – come direbbe san Paolo – la vostra “buona battaglia”»[11].

A conclusione di questa esortazione omiletica, rivolgo a tutti il mio accorato e paterno appello con le parole dell’apostolo Paolo: «Comportatevi in maniera degna della vocazione che avete ricevuto, con ogni umiltà, mansuetudine e pazienza, sopportandovi a vicenda con amore, cercando di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace.  Un solo corpo, un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati» (Ef 4, 1-4).

Secondo la tradizione, in questo giorno è invalso l’uso di presentare i neonati al Signore domandando la sua benedizione. Cerchiamo di assomigliare ai bambini, ritenendoci tutti bisognosi della benedizione di Dio. La Vergine Maria ci sostenga con il suo amore di Madre e ci aiuti a costruire insieme un mondo migliore. Buona festa della Candelora a tutti! 


[1] «Il sacerdote l’accolse e, baciatala, la benedisse esclamando: “Il Signore ha magnificato il tuo nome in tutte le generazioni. Nell’ultimo giorno, il Signore manifesterà in te ai figli di Israele la sua redenzione”», Protovangelo di Giacomo, VI, 2 in M. Craveri, (a cura di), I vangeli apocrifi, Einaudi, Torino 2017, pp. 11; «Al terzo anno, avendola svezzata, Gioacchino e sua moglie Anna andarono insieme al tempio del Signore, perché abitasse con le giovinette che trascorrevano giorno e notte nell’adorazione di Dio. Quando essa fu posta davanti al tempio del Signore, salì così di corsa i quindici gradini che non si volse affatto a guardare indietro, né – come di solito si fa nell’infanzia – cercò i genitori. E di questo fatto tutti restarono attoniti per lo stupore, tato che gli stessi pontefici del Tempio se ne meravigliarono», in ivi, IV, pp. 71-72.

[2] Guerrico d’Igny, Prima omelia per la Purificazione, 3-5.

[3] Platone, Fedro, 278 c–e.

[4]  «Ciò di cui ho veramente bisogno – afferma S. Kierkegaard – è di chiarire nella mia mente ciò che devo fare, non ciò che devo conoscere, pur considerando che il conoscere deve precedere ogni azione. La cosa importante è capire a che cosa sono destinato, scorgere ciò che la divinità vuole che io faccia; il punto è trovare la verità che è vera per me, trovare l’idea per la quale sono pronto a vivere e morire».

[5] Cfr. A.  Bello,

[6] A. Bello, Maria, donna del primo passo, in Id., Scritti 3, p. 110.

[7] Ivi, p. 111.

[8] Francesco, Spes non confundit, 18.

[9] Ivi, 23.

[10] Francesco, “Parole a braccio” prima del Discorso ai partecipanti al Giubileo della comunicazione, Aula Paolo VI, Sabato, 25 gennaio 2025.

[11] Id., Discorso ai partecipanti al Giubileo della comunicazione, Aula Paolo VI, Sabato, 25 gennaio 2025.

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