Omelia nella Messa della festa dei Santi Medici
Piazza san Vincenzo, Ugento, 26 settembre 2025. 

Cari fratelli e sorelle,

le celebrazioni liturgiche annunciano eventi di grazia. Ci ripresentano i misteri di Cristo, della Vergine e dei santi e ci invitano a riflettere sulla nostra vita e sul nostro tempo. La devozione ai Santi Medici, così cara la popolo ugentino deve, pertanto, diventare motivo per riprendere con gioia il nostro cammino ecclesiale e il nostro impegno civile e sociale e deve orientarci a vivere in conformità con l’esempio che essi ci hanno lasciato. 

Il dono della fraternità

Viviamo questa festa nel clima del giubileo della speranza. È bello vedere un popolo che si riunisce intorno ai santi per accogliere da loro il messaggio fondamentale della loro santità: la bellezza di essere e sentirsi fratelli in Cristo Gesù. Si tratta di un insegnamento è attualissimo che ci chiede di confrontarci con sincerità e senza alibi. Abbiamo tutti bisogno di rinnovarci e di attingere alla coraggiosa attestazione di fedeltà a Cristo dei Santi Medici. Tanto più se rapportiamo il valore della fraternità al momento storico che stiamo vivendo. 

La globalizzazione ci consente di essere più vicini, ma non per questo ci ha resi più fratelli[1]. Ciò che manca oggi è proprio la fraternità. Per questo occorre passare dalla globalizzazione dell’indifferenza alla globalizzazione della fraternità. Essa «è una dimensione essenziale dell’uomo, il quale è un essere relazionale. La viva consapevolezza di questa relazionalità ci porta a vedere e trattare ogni persona come una vera sorella o un vero fratello, senza di essa è impossibile la costruzione di una società giusta, di una pace solida e duratura»[2].

La fraternità non si rifugia in un’intimità solipsistica, né si estranea dal mondo, ma si caratterizza per una più vera e profonda immersione nelle dinamiche della storia. Coltiva il desiderio di vivere insieme con gli altri, di incontrarsi, di appoggiarsi l’uno all’altro. Una vera fraternità tra gli uomini suppone ed esige una paternità trascendente. «Nella “modernità” si è cercato di costruire la fraternità universale tra gli uomini, fondandosi sulla loro uguaglianza. A poco a poco, però, abbiamo compreso che questa fraternità, privata del riferimento a un Padre comune quale suo fondamento ultimo, non riesce a sussistere»[3].

La minaccia della terza guerra mondiale e gli appelli inascoltati

Ciò che è in pericolo, nel nostro tempo, è proprio il valore della fraternità. Proclamato dalla rivoluzione francese come uno dei grandi assiomi della modernità, in questi ultimi decenni stiamo assistendo a uno svuotamento del suo significato. Rimane come principio astratto, ma la prassi va in tutt’altra direzione. L’attuale scenario geopolitico si fa sempre più cupo e allarmante fino alla previsione di una terza guerra mondiale, non più a “pezzi” come diceva papa Francesco, ma come uno scontro, dagli esiti catastrofici, tra nazioni e potenze militari, sempre più armate e ormai pronte tutto. 

L’ex gen. della NATO, sir Richard Shirreff, divenuto noto nel 2016 per il libro 2017: War With Russia, è tornato nel 2025 a far parlare di sé per aver descritto pubblicamente uno scenario di attacco russo contro l’Europa che dovrebbe scattare il 3 novembre 2025. Non si tratterebbe di un’ipotesi vaga, ma di una previsione agghiacciante e dettagliata, riportata dal “Daily Mail” e dal “Messaggero”, che delinea un piano d’attacco preciso e un esito catastrofico: un blackout nei Baltici precederà l’invasione russa, cui seguirà la disintegrazione della NATO, con l’inazione degli USA, la sconfitta dell’Occidente in soli cinque giorni e l’attacco cinese a Taiwan. Le opinioni, a tal proposito, sono divergenti. Alcuni analisti apprezzano la sua chiarezza, vista la conoscenza che egli ha delle dinamiche NATO e della fragilità della potenza militare europea. Altri, invece, lo accusano di allarmismo, sostenendo che gli scenari che egli ipotizza siano troppo estremi e poco realistici, pensati più per provocare una reazione politica che per descrivere minacce imminenti. Ovviamente il messaggio di fondo è chiaro: la pace in Europa non è garantita. 

 A fronte di questa pericolosa situazione, sono molti gli appelli provenienti da diverse istituzioni per fermare questa deriva bellicista. Fin dall’inizio del suo pontificato, Leone XIV ha parlato di una pace, disarmata e disarmante[4]. La pace è un cammino che si compie a piccoli passi. Occorre innanzitutto disarmare il cuore, perché come ricorda il Concilio, gli squilibri di cui soffre il mondo in fondo derivano dal «più profondo squilibrio radicato nel cuore dell’uomo». L’uomo, infatti, «soffre in sé stesso una divisione, dalla quale provengono anche tante e così gravi discordie nella società»[5]. Il disarmo del cuore è un gesto che coinvolge tutti. A volte, basta qualcosa di semplice come «un sorriso, un gesto di amicizia, uno sguardo fraterno, un ascolto sincero, un servizio gratuito»[6]. Bisogna, inoltre, disarmare i comportamenti, convertendo la propria condotta al rispetto dell’altro e impegnandosi a evitare le azioni che feriscono la dignità del suo corpo, la sua autostima, la sua fede, la sua cultura. Tutti devono testimoniare uno stile di non violenza anche quando si tratta di far fronte alle offese e ai conflitti. Infine, è necessario disarmare le parole.

Il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, aprendo i lavori dell’80esima Assemblea Generale il 23 settembre 2025, ha affermato che «siamo entrati in un’epoca di sconvolgimenti sconsiderati e di incessante sofferenza umana». «I principi delle Nazioni Unite che avete istituito – ha aggiunto – sono sotto assedio, i pilastri della pace e del progresso stanno cedendo sotto il peso dell’impunità, della disuguaglianza e dell’indifferenza». Ed ha proseguito: «Nazioni sovrane invase, la fame trasformata in arma, la verità messa a tacere. Ognuno di essi è un avvertimento». Infine ha aggiunto: «In tutto il mondo, vediamo Paesi che si comportano come se le regole non si applicassero a loro. Vediamo esseri umani trattati come inferiori. E dobbiamo denunciarlo, l’impunità è la madre del caos e ha generato alcuni dei conflitti più atroci dei nostri tempi».

Tre atteggiamenti fondamentali 

Di fronte a questi eventi allarmanti ci sentiamo impotenti. Certo, non possiamo intervenire in questi grandi scenari internazionali, possiamo però impegnarci a costruire una pace feriale nelle nostre relazioni interpersonali e nel nostro territorio mettendo in atto tre atteggiamenti: la ricerca del bene comune, la fiducia reciproca e il rispetto verso istituzioni, persone e ambienti

Innanzitutto è necessario mettere al centro il bene comune e non perseguire l’interesse privato e individuale. Qui entra in gioco il tema dell’’etica pubblica, intesa come mappa etica che dovrebbe guidare il nostro agire pubblico. Essa si compone di due orizzonti oggi entrambi difficili da comprendere. L’etica, cioè la ricerca di un bene valido per tutti, è indebolita da un approccio alla realtà sempre più emotivo. Si valuta tutto sulla base di ciò che piace. All’etica viene riservata la sfera privata, personale, mentre appare difficile motivare una ricerca del bene che tocchi le prassi della nostra convivenza umana e civile[7].

D’altra parte, bisogna ricordare che il concetto di bene comune è stato al centro della riflessione filosofico-politica sin dall’antichità, e continua a rappresentare il primo principio fondamentale da perseguire per la costruzione di una società giusta e solidale. Ai nostri tempi, il filosofo francese Jacques Maritain (1882-1973) ha sottolineato come il bene comune non possa essere ridotto a un mero interesse collettivo, ma rappresenta un valore eticamente positivo che garantisce giustizia e coesione sociale. La persona umana, infatti, non è un essere solitario, ma è creata per stare in relazione con gli altri e vivere in comunità.

Questa si realizza attraverso il dono e la condivisione. Non a caso, il termine “comunità” deriva dal latino cum e munus, che letteralmente significa “con il dono”, indicando una prestazione personale gratuita offerta alla collettività. Il venir meno della logica del dono nella società moderna è andato di pari passo con l’esaltazione del soggetto rispetto alla comunità: alla communitas si è così sostituita l’immunitas, letteralmente l’“esenzione dal dono”. Il bene comune, sostituito dagli interessi dei singoli, non è, dunque, più considerato il valore supremo da perseguire, e le ripercussioni di ciò si sono concretizzate nelle sfide sociali ed economiche che il mondo attuale sta affrontando. La sfida principale per le società attuali consiste nel ritrovare un equilibrio tra le legittime aspirazioni individuali e la necessità di preservare e promuovere il bene comune, riconoscendo che una comunità prospera solo quando riesce a coniugare la realizzazione personale con il benessere collettivo.

La comunità, che cerca il bene comune, trova il suo fondamento sulla virtù della fiducia reciprocaLa situazione, dal punto di vista sociale, politico ed economico mette oggi a dura prova molti degli atteggiamenti fondamentali, sia dal punto di vista antropologico che etico. Uno di questi è proprio la fiducia. Essa deve essere insegnata, trasmessa, coltivata e verificata continuamente. Non è un atto di fede cieca, ma il frutto di una ponderata valutazione e di una continua formazione. Nel nostro tempo, invece, viviamo in un clima di sfiducia crescente e generalizzato. «In tutto il mondo, e non solo in Occidente, le riserve di fiducia si stanno assottigliando, ovvero sta venendo meno una componente indispensabile della vita sociale. Ciò vale soprattutto per quel tipo di fiducia che garantisce al sociale una elevata qualità civile. La fiducia-ponte (bridging), che è apertura al diverso, cala più di quanto cala la fiducia-muro (bondging), accordata solo a quelli del tuo gruppo»[8].

La fiducia porta al rispetto delle istituzioni, delle persone e dell’ambiente. La fiducia è l’ingrediente indispensabile per il buon funzionamento delle istituzioni e per il rapporto tra queste e la società civile. Le ricerche mostrano che il deficit di fiducia nasce dalla crisi del vicinato e della famiglia, dalla difficoltà a intessere relazioni di amicizia e di rapporti interpersonali autentici e duratori, dalle difficoltà che incontrano le scuole e le comunità religiose a proporre itinerari educativi significativi per le nuove generazioni. Questi ambiti di azione sono precondizioni per lo sviluppo di istituzioni più large e più sofisticate: giudiziarie, politiche, sanitarie, economiche. Gli assalti ai medici e agli infermieri, i contrasti violenti nei confronti degli insegnanti, le azioni intimidatorie contro sindaci sono manifestazioni di questo malessere che serpeggia sotterraneamente e che, in alcuni casi, esplode in tutta la sua assurda ferocia.

Anche l’ambiente richiede il necessario rispetto e la cura della casa comune. La sfida ambientale è intimamente legata a quella educativa. La persona deve imparare fin dai primi anni di vita a crescere nella consapevolezza delle proprie responsabilità. Questo significa che l’agire deve essere sostenibile dal punto di vista ecologico e solidale, a cominciare in primo luogo dalla famiglia. È indispensabile una “cittadinanza ecologica”, in cui i componenti del nucleo familiare, ma anche quelli di cui è caratterizzata la società, tendano ad aver cura del creato attraverso le piccole azioni quotidiane che si trasformino in stile di vita.

Occorre che ci impegniamo a cambiare la nostra mentalità, a cercare il bene comune e a intessere rapporti fondati sulla fiducia e il rispetto reciproco. I Santi Medici ci sostengano in questo cammino di conversione e di imitazione delle loro virtù. Costruiremo così la pace feriale, condizione indispensabile e prioritaria per realizzare una pace mondiale. 


[1] Cfr. Benedetto XVI, Caritas in veritate, 19.

[2] Francesco, Discorso nell’incontro con i Membri dell’Assemblea Generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, 25 settembre 2015, n. 1.

[3] Cfr. Id., Lumen fidei, 54.

[4] Cfr. F. Zavattaro, La pace disarmata e disarmante. Papa Leone XIV. La vita e le scelte, Il Pozzo di Giacobbe, Trapani 2025.

[5] Gaudium et spes, 62.

[6] Francesco, Spes non confundit, 18.

[7] R. D’ambrosio, L’etica stanca. Dialoghi sull’etica pubblica, Editrice Studium, 2025. 

[8] L. Diotallevi, La fiducia, un investimento a lungo termine, in “Il Messaggero”, giovedì, 16 gennaio 2025, p. 18.

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