Omelia nella Messa del rito di ammissione tra i candidati all’ordine del diaconato e del presbiterato
di Giuseppe Urso
Chiesa della Trasfigurazione, Taurisano 15 settembre 2025.

Caro Giuseppe,
tutta la vita è racchiusa in un “sì”. Anche il cammino vocazionale è imparare a dire “sì” al Signore. Ovviamente il “sì” alla sua persona è anche il “sì” a percorrere il suo stesso cammino. La croce racchiude e custodisce la ricchezza e la bellezza del mistero di Cristo. In essa, proclamerai il “sì” alla vita, alla sequela del Maestro, al ministero da vivere secondo il suo stile. La croce è, nello stesso tempo, lo specchio nel quale potrai fissare e intravedere la tua interiorità, il sentiero che devi percorrere con gioia fino in fondo, la chiave che dischiude il senso della vita e della libertà, la meta che devi cercare di raggiungere per conquistare il premio promesso.

La croce è lo specchio dell’anima 

San Paolo insegna che il cristiano riflette come in uno specchio la gloria del Signore (cfr. 2Cor 3,18). Per lui la gloria che rifulge sul volto di Cristo risplende nel cuore dei battezzati (cfr. 2Cor 4,6). Santa Chiara d’Assisi ha accolto alla lettera questo insegnamento paolino e ha interpretato il suo rapporto con Gesù attraverso l’immagine dello specchio. Tutta la sua vita non fu nient’altro se non un “gioco di specchi” tra l’immagine del Crocifisso e la vita esemplare di san Francesco.

«Era bella de faccia», attesta messer Ranieri De Bernardo. Frequentando la casa della famiglia di Chiara, egli aveva colto la bellezza umana e spirituale di questa giovane donna, divenuta poi specchio di santità. Specchiarsi non vuol dire assecondare l’impulso narcisistico di contemplare sé stessi, ma ritrovare la giusta dimensione per riflettersi nell’altro. Lo specchio di Chiara era Gesù. In lui scopriva la propria immagine.

Nella terza lettera a sant’Agnese di Praga, santa Chiara invita a guardare a Gesù come uno specchio dove, nella sua umanità, si riflette la sua divinità. Così ella scrive: «Poni la tua mente nello specchio dell’eternità, poni la tua anima nello splendore della gloria, poni il tuo cuore nella figura della divina sostanza e trasformati tutta, attraverso la contemplazione, nell’immagine della sua divinità»[1]. Specchiarsi in Cristo comporta un movimento di adorazione. Vuol dire vivere come in un tempo sospeso in cui ci si lascia amare da Gesù, ci si lascia guardare dai suoi occhi, si zittiscono tutte le voci e le suggestioni esteriori, tutto si riduce nella semplicità di un vedersi “faccia a faccia”.

Alla serva di Dio, Luisa Piccarreta, Gesù disse: «La croce è uno specchio dove l’anima rimira la divinità, e rimirandosi ne ritrae i lineamenti, la rassomiglianza più consimile a Dio. La croce non solo si deve amare, desiderare, ma farsene un onore, una gloria della stessa croce. Questo è operare da Dio e diventare come Dio per partecipazione, perché solo io mi gloriai della croce e me ne feci un onore del patire e l’amai tanto che in tutta la mia vita non volli stare un momento senza la croce»[2].

La croce è il sentiero della vita 

La croce non è solo lo specchio in cui ammirare il progetto della propria vita, ma anche la via da percorrere. Indica il sentiero da seguire e segna le differenti tappe del cammino spirituale. Nella croce di Cristo sono indicate tutte le virtù: il silenzio di fronte al rumoreggiare delle parole del mondo; la calma e la serenità nell’accavallarsi dei sentimenti e delle emozioni che si agitano nella profondità dell’anima; l’umiltà di fronte alla grandezza e alla maestà di Dio; la povertà dello stile e dei mezzi da utilizzare nel ministero; la mitezza di fronte alle avversità e alle contraddizioni della vita.

In uno splendido testo san Tommaso d’Aquino afferma: «Nessun esempio di virtù è assente dalla croce. Se cerchi un esempio di carità, ricorda: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15,13) […]. Se cerchi un esempio di pazienza, ne trovi uno quanto mai eccellente sulla croce. La pazienza infatti si giudica grande in due circostanze: o quando uno sopporta pazientemente grandi avversità, o quando si sostengono avversità che si potrebbero evitare, ma non si evitano. Ora Cristo ci ha dato sulla croce l’esempio dell’una e dell’altra cosa […]. Se cerchi un esempio di umiltà, guarda il crocifisso: Dio, infatti, volle essere giudicato sotto Ponzio Pilato e morire. Se cerchi un esempio di obbedienza, segui colui che si fece obbediente al Padre fino alla morte […]. Se cerchi un esempio di disprezzo delle cose terrene, segui colui che è il re dei re ed il Signore dei signori, “nel quale sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza” (Col2,3)»[3].

            La croce è la chiave della libertà

Caro Giuseppe, prendendo su di te il giogo leggero e soave della croce, imparerai le insondabili ricchezze del mistero di Cristo. La croce è la chiave universale che apre tutte le porte, quelle esterne e quelle interne, per entrare nel segreto della sua persona e aprire le porte della tua anima. L’immagine della chiave, che apre e chiude, è segno di un potere speciale. Le chiavi, infatti, si consegnavano all’amministratore di una casa quando il padrone gli affidava la cura dei suoi beni. Il protocollo della consegna delle chiavi contemplava che esse fossero collocate sulle spalle come espressione del peso della responsabilità che egli assumeva (cfr. Is 9,5).

La croce è la chiave della tua libertà. Essa serve per aprire e chiudere gli spazi di esercizio della tua libertà. Non dimenticare, caro Giuseppe, che negli ultimi secoli si è verificata una progressiva scoperta del valore e della radicalità della libertà. Si è, infatti, consolidata una forte coscienza della dignità della persona e dei sui diritti e, al contempo, si è affermata la relativa autonomia delle realtà terrene.

Per noi cristiani, di somma importanza è l’espressione paolina che parla della «libertà della gloria dei figli di Dio» (Rm 8,21), cioè della libertà donata da Cristo. Egli attesta: «Per questo il Padre mi ama: perché io offro la mia vita per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso, poiché ho il potere di offrirla e il potere di riprenderla di nuovo» (Gv 10, 17-18). La libertà vissuta e insegnata da Cristo contiene il paradosso fondamentale del cristianesimo: l’annientamento e la kénosis del Verbo. Questo paradosso arriva alla sua più alta tensione sulla croce. Lasciandosi crocifiggere, Cristo esercita in modo sublime e con piena libertà il suo amore infinito alla volontà del Padre e alla liberazione di tutti gli uomini.

Questa libertà sottolinea che l’autodeterminazione o autotrascendenza si manifestano nell’atto di donazione di sé[4]. Una madre che si sacrifica liberamente per i suoi figli compie una scelta libera ed esprime la misura del suo amore attraverso il grado della sua libertà. La donazione di sé è l’atto più proprio e adeguato della libertà. La croce è dunque la chiave della libertà. Essa apre il cuore dell’uomo e lo libera da tutte le sue imperfezioni fino ad aprire la porta del cielo e spalancare la gloria degli angeli e dei santi.

La croce è il premio finale 

Quale è il premio finale? Alla fine di tutto il percorso vocazionale si riceve in dono la possibilità di partecipare alla croce di Cristo. Essa diventa il vanto, il merito e il premio del cristiano (cfr. Gal 6,14). L’espressione del canto «nostra gloria è la croce di Cristo» non è semplicemente una frase, ma un grido, un’affermazione di fede radicale che ribalta le logiche del mondo. Nella seconda lettera a sant’Agnese di Praga, santa Chiara afferma: «Se con lui patirai, con lui regnerai, soffrendo con lui, con lui godrai; morendo con lui sulla croce della tribolazione, possederai con lui le celesti dimore negli splendori dei santi e il tuo nome sarà scritto nel libro della vita e diventerà glorioso tra gli uomini»[5].

Interpreta, caro Giuseppe, la croce con la parola “amore” ed allora comprenderai l’esortazione di Gesù:«Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi sé stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua» (Lc 9, 23). Gesù ti invita a prendere su di te il giogo dell’amore, tutto l’amore di cui sei capace, e a seguirlo. Vuoi dunque, caro Giuseppe, seguire veramente Gesù? Ripeti oggi e sempre il tuo “sì” alla croce. Se sarai sempre pronto a perdere la tua vita per Cristo, la troverai. L’esito finale non è “perdere”, ma è “trovare”. Perdere è la condizione per trovare. È la fisica dell’amore: se dai ti arricchisci, se trattieni ti impoverisci. Dicendo “sì” alla croce di Cristo, sarai ricco dell’amore che gli avrai donato.


[1] FF 2888.

[2] L. Picarreta, Libro del cielo, vol. 3, cap. 61, 20 aprile 1900.

[3] Tommaso d’Aquino, Conferenza sopra il «Credo in Deum».

[4] Cfr. J. De Finance, Saggio sull’agire umano, LEV, Roma 1992; K. Wojtyla, Persona e atto, Bompiani, Milano 2001.

[5] FF 2880.

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