Omelia nella Messa dell’ordinazione diaconale di Michele Orsi
Chiesa san Nicola Magno – Salve, 4 settembre 2025.

Caro Michele,

            la Colletta della liturgia odierna richiama alcuni aspetti del tuo cammino vocazionale e traccia le linee del tuo ministero diaconale. Essa recita: «Dio onnipotente, unica fonte di ogni dono perfetto, infondi nei nostri cuori l’amore per il tuo nome, accresci la nostra dedizione a te, fa’ maturare ogni germe di bene e custodiscilo con vigile cura». Riflettiamo sui tre aspetti richiamati dall’orazione.  

Il diaconato è un dono che scende dall’alto

Tutto parte dal dono e dal riconoscimento che Dio è «unica fonte di ogni dono perfetto» (Gc 1,17). Ricorda la folgorante espressione di Georges Bernanos (1888–1948) nel Diario di un parroco di campagna: «Tutto è grazia». Sono le ultime parole del parroco di Ambrecourt, un parroco di campagna che non ha un nome e non è mai chiamato per nome da nessuno. Per tutti è semplicemente l’abbé, il parroco, un sacerdote. Uno dei primi problemi con i quali egli deve confrontarsi al suo arrivo in parrocchia è la frustrazione derivante dalla noia. Nelle prime pagine del diario, infatti, annota: «La gente è divorata dalla noia […] una disperazione abortita, una forma turpe di disperazione, qualcosa di simile a un cristianesimo avariato che fermenta». 

La noia fa sì che il mondo che circonda il parroco è un mondo banale, nel quale più che vera e propria cattiveria regna la stupidità, l’indifferenza verso le cose. In tal modo, Bernanos anticipa una condizione che viviamo oggi anche noi: l’indifferenza nei confronti del messaggio cristiano. Le ultime parole di questo parroco di campagna è in realtà un’espressione che Bernanos attinge da santa Teresa di Lisieux, con la quale il protagonista del romanzo condivide, come un fratello, l’itinerario spirituale. «Tutto è grazia», ossia niente è meritato, neppure l’amore di Dio. Niente è dovuto. Tutto è dono di Dio, gratuito e gratificante: il suo amore non si può acquistare; il suo favore non si può conquistare. Si può semplicemente accogliere.

Questa consapevolezza, caro Michele, sia il tuo vero guadagno, il tuo incalcolabile merito: sapere che niente dipende dalla tua volontà o dai tuoi sforzi, ma da Dio «che usa misericordia» (Rm 9,16). A te è chiesto solo di accogliere e di ringraziare. Il tuo merito consiste nella coscienza di aver ricevuto tutto da Dio. Per questo l’apostolo Paolo domanda: «Che cosa mai possiedi che tu non l’abbia ricevuto? E se l’hai ricevuto, perché te ne vanti come non l’avessi ricevuto?» (1Cor 4,7). Ripeti, pertanto, con le parole del canto: «Io non sono degno di ciò che fai per me / tu che ami tanto uno come me. / Vedi, non ho nulla da donare a te / ma se tu lo vuoi, prendi me». 

Il Signore ti ha preso e oggi ti fa suo ministro. Ti ha donato la vita, la fede, la compagnia di amici e di persone che ti hanno voluto bene e che ti hanno dato una mano per aiutarti a crescere e a maturare. Devi imparare a fidarti e ad affidarti Cristo che ti ordina: «Prendi il largo e getta le reti» (Lc 5, 4). Certo questo comando può suscitare in te meraviglia, stupore, incertezza. Forse in questi anni ti sei domandato, ed ancora continui a chiederti: «Sarò capace di portare a termine il compito che il Signore mi affida?».  

Le parole dell’apostolo Paolo ti rassicurino: «Abbi piena conoscenza della sua volontà, con ogni sapienza e intelligenza spirituale, perché possa comportarti in maniera degna del Signore, per piacergli in tutto, portando frutto in ogni opera buona e crescendo nella conoscenza di Dio. Reso forte di ogni fortezza secondo la potenza della sua gloria, per essere perseverante e magnanimo in tutto, ringrazia con gioia il Padre che ti ha reso capace di partecipare alla sorte dei santi nella luce» (Col 1, 9-12).

Il diaconato è un ministero che si esercita con amore e dedizione 

Caro Michele, l’ordinazione è una investitura sacramentale, mediante l’imposizione delle mani e l’epiclesi accompagnata dalla preghiera consacratoria, specifica per ogni grado del sacramento dell’ordine. Il ministero diaconale richiama la vocazione diaconale di tutta la Chiesa. Il nome stesso del ministero include il senso di servizio e si esprime nella triplice diaconia: la diaconia della liturgia, della Parola e della carità.

Parteciperai alla triplice funzione del sacramento dell’ordine. Sarai maestro della fede in quanto proclamerai e illustrerai la parola di Dio, in forma di catechesi, predicazione, omelia, insegnamento. Eserciterai il ministero della santificazione, in quanto presiederai alcune azioni sacramentali. Diventerai, infatti, ministro ordinario dell’Eucaristia, del battesimo e del matrimonio e presiederai le esequie e la liturgia della Parola senza Messa. Assumerai il compito di guida, in quanto animatore di settori della vita ecclesiale, in particolare del servizio alla carità promuovendo e animando tutte le iniziative che rappresentano una forma di attenzione alle povertà esistenti sul territorioContribuirai così a fare crescere la Chiesa come realtà di comunione, diservizio, di missione, sotto la guida del vescovo con il suo presbiterio.

Tutte queste modalità di servizio esprimono il tuo amore a Gesù. L’ordinazione ti configura a Cristo, servo del Padre e dell’umanità. L’icona a cui dovrai ispirare la tua vita è quella di Gesù che «sta in mezzo a noi come colui che serve» (Lc 22,27). Egli, infatti, non è venuto «per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per tutti» (Mt 20,28). Per questo, con le parole della Colletta, chiedi al Signore che «infonda nel tuo cuore l’amore per il suo nome e accresca la tua dedizione a lui».

Il diaconato è la palestra della gioia 

Infine, la Colletta chiede al Signore che faccia «maturare in te ogni germe di bene e lo custodisca con vigile cura». Dovrai apprendere il giusto stile del servizio. Servire il popolo di Dio è un’arte generativa. Essa consiste nella capacità di condurre le comunità ecclesiali verso stili di vita rinnovati dal vangelo, spostando l’attenzione dal fare all’essere. Questo compito richiede un cuore innamorato, appassionato, carico di desiderio, pronto a mettersi in gioco e a donarsi. Esiste, infatti, una fondata analogia tra la generazione alla vita umana e la generazione alla vita di fede. Come nella persona l’accesso alla scoperta della propria umanità avviene grazie all’azione di chi lo ha generato, così l’accesso alla fede si realizza grazie alla presenza di un altro credente che funge da mistagogo.

Dovrai unire sapientemente la prassi pastorale con l’analisi e la riflessione su di essa. Per questo occorrerà continuare a dare il tempo necessario e il giusto spazio per l’approfondimento culturale, attraverso lo studio, la meditazione, il dialogo, la partecipazione a esperienze formative. 

Bisognerà inoltre che tu sappia coltivare la specifica spiritualità diaconale. Essa si caratterizza per tre parole: gratitudine, gratuità e gioia. Il servizio va ricevuto e custodito sempre in un rendimento di grazie e in un atteggiamento di gratitudine. Bisogna essere sempre grati al Signore di essere stati teneramente e tenacemente amati. Questa sarà la giusta energia per dare fecondità al tuo ministero. 

La gratitudine genererà la gratuità. Bisognerà cioè riconoscersi solo e semplicemente come un servo che non cerca l’utile proprio, non ambisce a trofei, medaglie e poltrone. Presta il suo servizio senza pretese e senza proteste consapevole che il servizio al Vangelo non è a contratto: tanto di lavoro e tanto di paga. 

La gratuità si rivestirà dell’umiltà, virtù che sa imparare da coloro che hanno una più matura esperienza e che fanno meglio di noi. L’umiltà indossa il grembiule della disponibilità e della gioia; non quella che confina con l’appagamento sensibile, il sorriso facile, l’inclinazione a un frizzante ottimismo, ma la gioia evangelica che consiste nel mettersi a servizio della gioia degli altri. Fai tue le parole dell’apostolo Paolo ai cristiani di Corinto: «Non siamo padroni della vostra fede; siamo invece i collaboratori della vostra gioia, perché nella fede voi siete saldi» (2Cor 1,24). Il tuo sia un ministero gioioso e «la gioia del Signore sia la tua forza». (Ne 8,10). Nelle parole finali di un testo intitolato “Jésus, ma joie, c’est de T’aimer” – “Gesù, la mia gioia è di amarti!”, santa Teresa di Lisieux canta: «Vi sono delle anime sulla terra che cercano invano la felicità, ma per me è tutto il contrario: la gioia si trova nel mio cuore. Questa gioia non è effimera, la possiedo per sempre come una rosa di primavera e mi sorride ogni giorno». Ai suoi servi, infatti, Gesù promette: «Nessuno potrà togliervi la vostra gioia» (Gv 16,22).

Ti auguriamo, caro Michele, che vivendo con gioia il tuo ministero diaconale, ogni sera tu possa cantare con Maria, la serva del Signore: «L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio mio Salvatore».

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