Omelia nella Messa del triduo in preparazione alla festa liturgica di santa Maria Goretti
Parrocchia Maria SS. Annunziata, Tuglie 5 luglio 2025.

Cari fratelli e sorelle,
in questo giorno mentre a Gallipoli celebrano la solennità di sant’Agata, voi qui, a Tuglie, venerate santa Maria Goretti. Tutte e due sono rivestite della duplice corona della verginità e del martirio. 

La storia della vita e del martirio

Richiamo sinteticamente la vicenda del martirio. I Goretti erano braccianti marchigiani che, nel 1897, migrarono nel Lazio per lavorare come mezzadri nella tenuta del senatore Scelsi, a Paliano, insieme con un’altra famiglia che già vi risiedeva, i Serenelli, padre e figlio, anch’essi di origine marchigiana. Successivamente dovettero abbandonare quel podere e trovarono una sistemazione come mezzadri nella tenuta del conte Lorenzo Vincenzo Mazzoleni a Ferriere di Conca, nelle Paludi Pontine, un luogo poco salutare perché nella stagione calda vi infuriavano le zanzare con la malaria.

Nel caseggiato a due piani, dov’erano ospitati, vivevano le due famiglie Goretti e Serenelli Nell’aprile del 1900, Luigi Goretti si sentì male: era stato colpito dalla malaria che l’avrebbe stroncato in poche settimane.  Maria, che aveva allora dieci anni, dovette sostituire in casa la mamma, costretta a lavorare nei campi: lavava, cuciva, accudiva i fratellini più piccoli.  «Mamma, non ti preoccupare, Dio non ci abbandonerà. Tu prendi il posto di papà in campagna e io proverò a mandare avanti la casa. Camperemo, vedrai», disse a soli dieci anni per consolare sua madre. «Mi ha sempre fatto meraviglia» testimoniò il ministro della tenuta «la sua serietà nel parlare e il suo fare di donna matura».

Era molto religiosa, come d’altronde tutta la famiglia. Aveva insistito e ottenuto dalla madre di fare la prima comunione a meno di undici anni invece che dopo i dodici, secondo le usanze di allora. D’estate sacrificava ore di sonno per recarsi a messa a Campomorto che si trovava a parecchi chilometri di distanza. Il giorno prima della tragedia aveva detto a un’amica: «Teresa, andiamo a Campomorto? Non vedo l’ora di fare la comunione». 

Alessandro Serenelli la circuiva da almeno un anno. Maria non era una bella Maria. «Era di fattezze ordinarie» spiegò poi l’assassino «e per sé non attirava lo sguardo. Di capigliatura bionda, annodata alla nuca; occhi castani; viso pieno. Per l’età era sviluppata, ma non tanto come hanno descritto o rappresentato. A me arrivava sì e no alle spalle; ed io non sono alto: un metro e sessantadue […]. Non era molto bella, ma una cosa giusta, insomma a me piaceva. Da un pezzo era nella mia mente». Eppure la ragazzina non faceva nulla per attirare gli sguardi di Alessandro, come egli stesso testimoniò: «Seguendo le orme della madre era modesta, aveva le vesti lunghe e neanche nei momenti caldi d’estate si metteva in libertà. Ricordo che fuggiva la compagnia di certe fanciulle di una famiglia che abitava vicino a casa nostra perché erano un po’ licenziose».

Alessandro, aveva tentato di abbracciarla per due volte ma era stato respinto. «Guai se lo racconti a tua madre» l’aveva minacciata «perché t’ammazzo!». Lei aveva taciuto per non aggravare i rapporti già difficili con i Serenelli. Il pomeriggio del 5 luglio 1902, Maria stava sul pianerottolo della scala al primo piano a rammendare una camicia sorvegliando la sorellina più piccola che dormiva. Alessandro salì la scala esterna fino al pianerottolo. Egli stesso testimonia: «Presi un punteruolo, mi accostai alla Marietta e la invitai a venire dentro casa. Ella non rispose né si mosse. Allora l’acciuffai quasi brutalmente per un braccio e, poiché faceva resistenza, la trascinai dentro la cucina […]. Ella intuì subito che volevo ripetere l’attentato delle due volte precedenti. Io allora, vedendo che non voleva accondiscendere alle mie brutali voglie, andai su tutte le furie e, preso il punteruolo, cominciai a colpirla sulla pancia, come si pesta il granturco […]. “No, no, Dio non vuole. Se fai questo vai all’inferno!”»: questa era l’unica preoccupazione di Maria mentre Alessandro la colpiva.

La portarono all’ospedale di Nettuno operandola urgentemente: era gravissima, eppure lucida. Quando il confessore le domandò se fosse disposta a perdonare, rispose: «Sì, per amore di Gesù gli perdono e voglio che venga con me in paradiso». Morì il giorno dopo 6 luglio 1902. Fu esaudita perché il Serenelli non soltanto si pentì, ma dopo l’uscita dal carcere, dove aveva scontato ventisette anni di pena, finì la sua vita nel convento dei Cappuccini di Ascoli Piceno lavorando prima come giardiniere e poi come portiere.

Le caratteristiche del perdono matiriale

La liturgia odierna celebra il dono della verginità e del martirio. Con le parole della colletta abbiamo elevato al Signore questa preghiera: «O Dio, sostegno degli innocenti e gioia dei puri di cuore, che a santa Maria Goretti hai dato nel fiore della giovinezza la grazia e la corona del martirio fa’ che perseveriamo con la stessa fede nella vita di tuoi precetti, per godere la tua visione nel cielo».

La prima caratteristica del martirio di santa Maria Goretti è la similitudine con la morte di Gesù: muore perdonando. Il suo perdono ha un chiaro riferimento cristologico. Ripropone i sentimenti e le parole pronunciate da Cristo morente in croce: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno» (Lc23,34). La preghiera di perdono è l’ultima carezza di Cristo, la carezza dello Spirito. Il gesto e le parole di perdono di santa Maria Goretti ebbero un profondo impatto su sul suo uccisore. Dopo anni di carcere, Alessandro Serenelli si convertì e divenne un laico penitente. 

Solo il perdono trasforma il male in bene. La parola stessa per – dono significa agire attraverso il dono di un amore che si spinge fino a dichiarare innocenti i colpevoli, i nemici e gli stessi uccisori. Chi perdona incarna la misericordia perché sente su di sé la misericordia del Signore che non giudica e non condanna. Solo chi si sente amato, riesce a perdonare e ad aprire il futuro per sé e per gli altri.

La seconda caratteristica è la giovane età di Maria Goretti. Ella non si lasciò sedurre dall’impudicizia, ma visse la beatitudine dei puri di cuore (cfr. Mt 5, 8). Sapeva di essere sposa di Cristo (cfr.Os, 2, 21) ed era consapevole che il corpo è tempo dello Spirito Santo (cfr. 1Cor 6, 19). L’epilogo della vita della giovane lascia comprendere che preferì la morte piuttosto che venir meno all’autenticità dell’amore che provava per Cristo, un tesoro prezioso da custodire con cura.

La terza caratteristica è considerare il martirio come una grazia. Il martirio dovrebbe essere l’aspirazione di tutti i cristiani. Esso viene donato come grazia, non come esaltazione della propria eroicità. Oltre al martirio fisico esiste quello spirituale, ed insieme sono la più alta testimonianza cristiana. Vivere l’affidamento e la consegna nelle mani di Dio è un atteggiamento spirituale che costituisce la più grande testimonianza di fede e dimostra di confidare solo in Dio, unica sorgente di vita eterna.

La quarta caratteristica è quella di rappresentare un modello esemplare di fedeltà ai comandamenti divini andando contro corrente. Agli occhi del mondo resistere a una aggressione fino al punto da perdere la propria vita potrebbe sembrare un atto eccessivo ed insensato, un gesto anacronistico. E invece, lo stesso aggressore, nel suo testamento spirituale, richiama il valore del gesto: «Maria fu veramente la mia luce, la mia protettrice […]. Coloro che leggeranno questa mia lettera-testamento vogliano trarre il felice insegnamento di fuggire il male, di seguire il bene, sempre, fin da fanciulli. Pensino che la religione coi suoi precetti non è una cosa di cui si può fare a meno, ma è il vero conforto, l’unica via sicura in tutte le circostanze, anche le più dolorose della vita».  

Possiamo riferire a santa Maria Goretti le parole che sant’Ambrogio scrive per lodare il martirio di sant’Agnese: «Nuovo genere di martirio! Non era ancora capace di subire tormenti, eppure era già matura per la vittoria. Fu difficile la lotta, ma facile la corona. La tenera età diede una perfetta lezione di fortezza […]. Avete dunque in una sola vittima un doppio martirio, di castità e di fede. Rimase vergine e conseguì la palma del martirio»[1]. Il martirio dona non una corona corruttibile, ma una corona di gloria! 


[1] Ambrogio, Sulle vergini, lib. 1, cap. 2, 5. 7-9.

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