Omelia nella Messa del cinquantesimo di sacerdozio di don Rocco Maglie
Chiesa santa Chiara – Ruffano, 14 giugno 2025.

Caro don Rocco, 
celebrando il cinquantesimo anniversario della tua ordinazione sacerdotale ci uniamo al tuo inno di lode alla Trinità e cantiamo: «O Trinità divina, eterna Trinità, amore che in te risiedi e tutto in te possiedi. Sorgente, germoglio e fiore, fuoco d’inestinguibile amore, primaverile aurora e luce incandescente, musicale canto e dolce poesia, principio originario, destinazione eterna e fine di ogni cosa: da Te veniamo, a Te guardiamo, in Te viviamo. Tutto in Te è perfetto, dolce è l’armonia, serena la tua pace. Sei oceano d’amore ed energia di vita, intima comunione e gaudio senza fine». 

Ecclesia de Trinitate e ad Trinitatem

Quando il canto s’arresta, comincia il racconto. Non è necessario dire molte parole: la missione è stata la parola chiave della tua vita. Sulla scorta del Concilio, hai compreso che «la Chiesa è missionaria per sua natura, in quanto essa trae origine dalla missione del Figlio e dalla missione dello Spirito santo, secondo il progetto di Dio Padre»[1]. A questa idea, hai orientato tutta la tua esistenza.

Riverbero dell’intuizione conciliare, la missione non è stata una parola innocua, ma rivelativa e testimoniale. Con il passare degli anni e l’avvicendarsi dei tempi, l’azione missionaria è cresciuta con te. Ha spalancato davanti a te sentieri sconosciuti, ti ha aperto nuovi mondi e ha sviluppato in te una straordinaria energia per dare attuazione a progetti, all’inizio del tutto impensabili. 

La missione è parola scomoda, penetra in profondità e, come una spada a doppio taglio, si incunea nella mente e ferisce l’anima. Rimane sempre inattuale nella sua perenne attualità. E, nonostante le difficoltà, i ritardi e le amarezze, sa anche essere consolante. Non nel senso di una vaga rassicurazione, ma nella condivisione delle gioie e delle speranze degli uomini, delle loro afflizioni e dei loro desideri, delle loro ansie e delle loro aspirazioni.

Nel corso del tempo, ti sei «fatto tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno» (1Cor 9,22). Hai cercato di rendere Cristo contemporaneo agli uomini del tuo tempo. La contemporaneità con Gesù Cristo, infatti, «è la condizione della fede o più esattamente è la definizione della fede»[2]. In tal modo, la missione ha forgiato e trasformato la tua persona e ha feconda l’azione della grazia. 

Il tuo esempio ha avuto un potere educativo e persuasivo. Quando è vera, libera e gratuita, la missione attira, coinvolge, trasfigura la realtà. Così altri si sono aggregati alla tua opera e, insieme, avete contribuito a creare una piccola parte di mondo nuovo. Avete compreso che la Trinità è l’origine e il fine della missione e avete dato fondo a tutte le vostre energie. La vita della comunità cristiana, infatti, è tutta incentrata su un grande binomio: Ecclesia de Trinitate ed Ecclesia ad Trinitatem.  

La missione ad extra

Vi siete così messi in cammino come comunità, nella consapevolezza che è sempre tempo di missione. La Chiesa è sempre in stato di missione. La sua è una missione permanente sia nell’ordine spaziale sia in quello temporale. Non ci sono momenti di sospensione e di interruzione, ma tutta la vita deve concorrere a manifestare al mondo l’amore di Cristo[3]. Il suo orizzonte abbraccia tutti i popoli e tutte le culture. Per questo occorre organizzare in modo nuovo l’azione evangelizzatrice sapendo che lo Spirito Santo è sempre all’opera ed è lui ad aprire e a disporre i cuori all’accoglienza della verità evangelica, secondo la nota affermazione di san Tommaso d’Aquino: «Omne verum a quocumque dicatur a Spiritu Sancto est»[4]. Con il cambiamento delle sensibilità e delle categorie occorre specificare il proprium della missione quale sia il contenuto e la modalità fondamentale per operare in modo conforme alle esigenze dell’uomo. 

Grazie alla tua dedizione e a quella di molti laici, la Chiesa di Ugento-S. Maria di Leuca, nel periodo postconciliare, ha imparato a vedere la missione con “occhi nuovi”. Si è così innescato un fecondo processo di rinnovamento della mentalità e dell’attività missionaria che ha coinvolto i vescovi, i presbiteri, i consacrati e i laici, in un crescente fervore di iniziative e di progettualità. È stato come accendere una miccia che ha fatto divampare un grande incendio e ha spalancato davanti allo sguardo orizzonti planetari[5].  

In questa storia, ha brillato innanzitutto l’opera di don Tito Oggioni-Macagnino, sacerdote “fidei donum” in Rwanda. Sotto la tua regia e lo stimolo di mons. Mario Miglietta, prima, e di mons. Vito de Grisantis, poi, diversi gruppi, composti da sacerdoti, consacrati e laici, hanno effettuato visite in Rwanda, in altri paesi dell’Africa e di altri continenti: Tanzania (2002), Cile (2006), Brasile (2007). Nel 2009, gruppi di volontari si sono recati in Rwanda (gennaio), Kenya (luglio) e Burundi (agosto). Nel 2011 e 2012, ho preso parte anch’io a due viaggi in Rwanda. La fondazione dell’associazione di volontariato denominata “AMAHORO onlus” (2003) ha contribuito a rendere ancora più efficace e incisiva l’azione missionaria diocesana. Significativo è stato il contributo offerto da alcune comunità parrocchiali all’accoglienza e alla crescita pastorale, spirituale e culturale di alcuni sacerdoti rwandesi. L’attenzione missionaria è continuata fino ai nostri giorni nella convinzione che sia necessario aprire una nuova fase della missione: passare dall’aiuto e dal sostegno economico allo scambio fra le Chiese secondo il principio di una «reale reciprocità che rende (le Chiese) pronte a dare e a ricevere»[6].

La missione ad intra

Hai vissuto la missio ad extra intimamente legata alla missio ad intra. Lo sguardo verso l’orizzonte planetario, non ti ha sviato dal considerare il territorio più vicino: quello della tua parrocchia. La missione è stata indirizzata non solo verso il mondo, ma anche verso la stessa comunità cristiana. In tal modo, mentre evangelizza la comunità si evangelizza. 

In questi anni, la tua comunità è cresciuta non solo sul piano delle strutture e degli ambienti pastorali e della bellissima aula liturgica in cui ci si raduna per celebrare i divini misteri, ma anche per alimentare la vita fraterna e il servizio di carità ai poveri e ai bisognosi.  Segno evidente di questa crescita spirituale sono le vocazioni sacerdotali nate in seno alla tua comunità.

Occorre continuare in questa direzione, sviluppando maggiormente la dimensione mistica e mistagogica. Nel mondo è presente un forte “desiderio di Dio”, anche se talvolta assume forme emotive, se non esoteriche. Questa inquietante e spumeggiante ondata esoterica presenta il carattere di un grido di dolore, che sprona le comunità cristiane a rimettere al centro e ad esplicitare la «loro ricchezza mistica»[7]. La gente che oggi si accosta alla Chiesa cerca una certa rassicurazione, dal momento che non può dominare totalmente la sua fragilità. Oggi molti si rivolgono al prete principalmente come all’uomo del sacro, nei tratti ambivalenti di mysterium tremendum et fascinosum (Rudolf Ott), forza benefica e distruttiva che può sfociare nella trascendenza, ma anche in forme magiche arcaiche. Il bisogno di fare esperienza del sacro è profondamente radicato nell’uomo. La gente ha un grande bisogno di vicinanza, di guarigione, di protezione rassicurante. Cerca una patria per il cuore. Cerca Dio. 

Non è lecito, pertanto, ignorare le domande di coloro che vengono per cercare benedizioni e ritualità. In caso di rifiuto, lo spazio del sacro potrebbe essere occupato prepotentemente da forze esoteriche, superstiziose e neopagane, senza aprirsi all’incontro con Gesù Cristo. Pertanto, da una parte non bisogna spezzare la canna incrinata né spegnere il lucignolo fumigante, dall’altra occorre far crescere il buon seme, accompagnando le persone alla conoscenza e all’esperienza personale del mistero di Cristo.

Occorre cercare nuove strade di evangelizzazione per andare incontro alla gente, offrire dei cammini di fede differenziati, apprestare dei luoghi per esperienze significative, uscire dagli spazi ecclesiali protetti e monotonamente ripetitivi, farsi tutto a tutti per portarli a Gesù Cristo, anche se il cammino può essere piuttosto lungo. La missione ad intra deve saper comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, anzi che è già cambiato e procede velocemente nel cambiamento. Per questo bisogna saper toccare il cuore per gli uomini, sviluppando un’azione pastorale più fraterna, in una comunità ecclesiale più mistica[8].

Bisognerebbe liberarsi dalla preoccupazione di conservare ciò che non ha più senso mantenere e trasmettere la fede per esperienza e per contagio da parte di persone liete di credere, per le quali la missione non è un dovere da compiere, ma una generosa manifestazione dell’amore ricevuto da Cristo. Si continua a ripetere che siamo in un’era post-cristiana. In realtà, secondo alcuni storici, siamo solo agli inizi[9]. Anche Giovanni Paolo II, nell’incipit dell’enciclica Redemptoris missio, asserisce la stessa idea: «La missione di Cristo redentore, affidata alla Chiesa, è ancora ben lontana dal suo compimento. Al termine del secondo millennio dalla sua venuta uno sguardo d’insieme all’umanità dimostra che tale missione è ancora agli inizi e che dobbiamo impegnarci con tutte le forze al suo servizio»[10].

Dobbiamo imparare a convivere con le domande poste dal mondo alla Chiesa. Vale anche per noi il consiglio che Rainer Maria Rilke rivolse a un giovane poeta: «Vorrei pregarla, per quanto posso, di avere pazienza per tutto ciò che non ha trovato nel suo cuore una soluzione, di avere care le domande stesse come stanze sigillate o come libri scritti in una lingua straniera. Non cerchi per ora le risposte perché per ora non è ancora in grado di viverle. E per la verità si tratta di vivere tutto. Viva adesso le domande, forse lei comincerà a vivere a poco a poco, in un giorno lontano, all’interno delle risposte»[11].

La missione sei tu!

Camminando, si cammina e si impara a camminare. Non come solitari, ma come una carovana di pellegrini. Bisogna, certo, camminare insieme. Ognuno però con il suo volto e la sua responsabilità. La missione appartiene a tutti, ma ognuno deve portare una parte dell’insieme. Senza dividerla, ma sempre come protagonista. Ognuno è parte del tutto. È questo il messaggio da lanciare in modo particolare ai giovani. La missione tocca a ciascuno di loro, personalmente, nessuno escluso. A ognuno bisogna dire: la missione sei tu! 

Sì, diceva don Tonino Bello, «anche tu! Stavolta non sfuggi. Il Signore ce l’ha con te. La sua mano tesa ti ha individuato nella folla. Non voltarti indietro e non guardarti accanto. Ecco, risuona un nome: il tuo. Non ti sbagli proprio. È inutile che fingi di non sentire, o che ti nascondi dietro un altro, o che ti abbassi per non farti vedere. Quell’indice ti raggiunge e ti inchioda a responsabilità precise che non puoi scaricare su nessuno»[12].

A queste parole sembra far eco Papa Francesco quando scrive: «La missione al cuore del popolo non è una parte della mia vita, o un ornamento che mi posso togliere, non è un’appendice, o un momento tra i tanti dell’esistenza. È qualcosa che non posso sradicare dal mio essere se non voglio distruggermi. Io sono una missione su questa terra, e per questo mi trovo in questo mondo. Bisogna riconoscere sé stessi come marcati a fuoco da tale missione di illuminare, benedire, vivificare, sollevare, guarire, liberare»[13]

Queste parole, caro don Rocco, raccontano la tua vita e indicano il messaggio che vuoi indirizzare a giovani. C’è ancora molto da fare. Non si può far tutto in una sola vita. Occorrono altre esistenze. E tu lo sai bene. Quello che hai fatto è un esempio che rimane. Su di esso si può costruire il prossimo futuro.  


[1] Ad Gentes, 2.

[2] S. Kierkegaard, Esercizio del Cristianesimo, Opere, Firenze 1972, p. 695.

[3] Cfr. Congregazione per la dottrina della fede, Dominus Iesus,19.

[4] Tommaso D’Aquino, Summa Theologiae, I-II, q. 109, a. 1, ad 1.

[5] Cfr. R. Maglie, Nello Spirito del Vaticano II. L’impegno missionario della Chiesa di Ugento-S. Maria di Leuca, Theologica Uxentina / 4, VivereIn, Roma-Monopoli 2015,  

[6] Giovanni Paolo II, Redemptoris missio, 64.

[7] E. Biser, Introduzione al Cristianesimo, Borla, Roma 2001, p. 97.

[8] Cfr. V. Angiuli, Educazione come mistagogia. Un orientamento pedagogico nella prospettiva del Concilio Vaticano II, Centro Liturgico Vincenziano, Roma 2010; P. A. Sequeri, La qualità spirituale, Piemme, Casale Monferrato 2001.

[9] Lo storico francese Le Goff afferma che la storia è ancora bambina e non manca chi, come il gesuita P. Valadier fa osservare che, rispetto all’evoluzione dell’umanità, il cristianesimo è appena agli inizi perché è nato da poco ed è ancora balbettante Cfr. L. Accattoli, Cristianesimo alla fine? Se guardo ai figli secolarizzati dico: siamo all’inizio, “Il Regno-Attualità” 14/2001, pp. 503-504.

[10] Giovanni Paolo II, Redemptoris missio, 1.

[11] R. M. Rilke, Briefe an einen jungen Dichter, Frankfurt a. M. 1981, p. 21

[12] T. Bello, Con Cristo sulle strade del mondo. Trentuno meditazioni per una Chiesa in missione, a cura di Giancarlo Piccinni, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2018, p. 131.

[13] Francesco, Evangeli Gaudium, 273.

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