Articolo in “Nuovo Quotidiano di Puglia – Lecce”
Mercoledì 18 giugno 2025, p. 27.
Sono sempre disponibile a discutere pubblicamente con tutti, anche con chi non condivide il mio pensiero. In risposta ad un mio precedente articolo, il prof. Antonio Greco pone due questioni. La prima riguarda la differenza e il valore della spiritualità laica (il riferimento è al recente libro di Romano Màdera) rispetto alla spiritualità cristiana. Su questo tema conto di ritornare in un successivo intervento. La seconda questione si riferisce al pensiero del cardinale Martini e di Papa Francesco. Per il mio interlocutore, quanto detto nel mio articolo evidenzierebbe una profonda differenza tra la loro “spiritualità profetica” e la mia “spiritualità dogmatica”.
A fronte di questo superficiale giudizio, sorge in me il dubbio che il mio interlocutore non abbia letto con attenzione i loro scritti. Per brevità mi riferisco solo alla prima enciclica di Papa Francesco Evangelii gaudium(=EG), considerata da tutti come il suo progetto pastorale per una “Chiesa in uscita”. Il lettore mi scuserà se farò molte citazioni. Ritengo che siano necessarie per sgombrare il campo da ogni dubbio.
Cosa propone, dunque, Papa Francesco? Nient’altro se non una “spiritualità mistica”. Ossia una “spiritualità dogmatica” o per meglio dire, una spiritualità mistica dal sapore cristologico e cristocentrico. Non per nulla il termine “mistica” ritorna nell’enciclica in contesti nodali (cfr. EG 87, 92, 124, 237, 272). Il principio fondamentale per Papa Francesco è il seguente: «Ubi caro humana, ibi caro Christi». Letteralmente si dovrebbe tradurre: «Dove si parla della “carne” (cioè della vita concreta) dell’uomo, si parla necessariamente della “carne” (cioè della persona) di Cristo». In altri termini, per capire l’uomo bisogna rifarsi a Cristo, che è l’uomo vero e il vero uomo. Bisogna, cioè, supporre proprio i due concili antichi di Nicea e di Calcedonia.
Il cristiano guarda l’uomo e la storia con gli occhi e i sentimenti di Cristo. Naturalmente alla “contemplatio Jesu” deve seguire la conformazione a lui (la «imitatio Christi»). È, dunque, urgente «ricuperare uno spirito contemplativo, che ci permetta di riscoprire ogni giorno che siamo depositari di un bene che umanizza, che aiuta a condurre una vita nuova» (EG 264). È evidente, pertanto, l’indole cristologica della proposta bergogliana: Gesù sta al centro di questa mistica. Tutto cambia mediante l’incontro personale con lui. Nulla è più la stessa cosa (cfr. EG 266).
Di conseguenza, la spiritualità cristiana, ossia la “vita mistica”, consiste nell’incontro con Cristo crocifisso e risorto, da cui nasce una nuova visione della vita umana. Tale contemplazione (potremmo dire “theôria” cioè “visione di Dio”), suscita una rivoluzione etica. La nuova ortoprassi consiste nel seguire «il cammino luminoso di vita e di sapienza» tracciato da Cristo (cfr. EG 194) e del quale il Signore rimane il supremo esempio (cfr. EG 269).
Va poi sottolineato che la spiritualità cristiana è inizialmente passiva, consiste cioè nel lasciarsi amare da Cristo. Poi la fede, che è un “videri a Deo”, un lasciarsi guardare da Cristo, manifesterà la sua vitalità e attività mediante la carità che da essa sgorgherà. Il fedele, sedotto da Cristo, sentirà «la necessità di parlare della persona amata (cioè Cristo), di presentarla, di farla conoscere» (EG 264). La preghiera, la frequentazione della Parola, l’adorazione, la meditazione riaccenderanno l’entusiasmo di evangelizzare (cfr. EG 262). «Solo grazie a quest’incontro – o reincontro – con l’amore di Dio, che si tramuta in felice amicizia, siamo riscattati dalla nostra coscienza isolata e dall’autoreferenzialità. Giungiamo ad essere pienamente umani quando siamo più che umani, quando permettiamo a Dio di condurci al di là di noi stessi perché raggiungiamo il nostro essere più vero» (EG 8).
Il cristiano sa che la vita «con Gesù diventa molto più piena e che con lui è più facile trovare il senso di ogni cosa. È per questo che evangelizziamo. Il vero missionario, che non smette mai di essere discepolo, sa che Gesù cammina con lui, parla con lui, respira con lui, lavora con lui. Sente Gesù vivo insieme con lui nel mezzo dell’impegno missionario» (EG 266).
Il rapporto con Cristo aiuta il cristiano ad andare incontro a tutti cioè a «scoprire e trasmettere la “mistica” di vivere insieme, di mescolarci, di incontrarci, di prenderci in braccio, di appoggiarci, di partecipare a questa marea un po’ caotica che può trasformarsi in una vera esperienza di fraternità, in una carovana solidale, in un santo pellegrinaggio […]. Uscire da se stessi per unirsi agli altri fa bene» (EG 87; cfr. anche EG 272).
Generata dal “mysterion” di Gesù, la fraternità mistica, prima di essere un impegno etico, scaturisce fondamentalmente da un atteggiamento contemplativo. Essa muove da un nuovo sguardo sull’altro: il prossimo visto come fratello amato infintamente da Dio in Cristo. «Confessare che il Figlio di Dio ha assunto la nostra carne umana significa che ogni persona umana è stata elevata al cuore stesso di Dio» (EG 178; cfr. pure EG 274). Ciò vuol dire cogliere la presenza stessa di «Gesù nel volto degli altri» (EG 91), «scoprire Dio in ogni essere umano» e contemplare la «grandezza sacra del prossimo» (EG 92).
In conclusione, il presupposto dogmatico e cristologico fonda l’amore verso l’altro visto come intimo di me stesso e porta poi a «vivere il Vangelo della fraternità e della giustizia» (EG 179). In questa mistica bergogliana, risuona con forza il principio ignaziano della ricerca della maggiore lode e gloria a Dio Padre (“ad maiorem Dei gloriam”): «Uniti a Gesù, cerchiamo quello che lui cerca, amiamo quello che lui ama. In definitiva, quello che cerchiamo è la gloria del Padre» (EG 267).
clic qui per l’articolo sul sito della Diocesi di Ugento – S. Maria di Leuca
