La via del Potere e la via dell’Amore
Sant’Agostino, leggendo teologicamente il mistero della storia nell’opera De Civitate Dei, afferma
che essa è attraversata da due amori («duo amores»): l’amore di sé fino al disprezzo di Dio e del
prossimo, e l’amore di Dio e del prossimo fino al dono totale di sé.
Il primo amore è quello che ha prodotto la ribellione dell’Angelo, la disobbedienza di Adamo ed
Eva, il fratricidio di Caino verso Abele. In questa scia si pongono tutti quanti scelgono il Potere,
quanti mettono sé stessi e il proprio dominio al posto di Dio e al di sopra dei propri fratelli. Il
principe di questo mondo si è avvicinato a Gesù ritiratosi nel deserto, rivelandogli di essere colui a
cui appartengono il potere e la gloria, e di esserne il dispensatore: «Il diavolo lo condusse in alto, gli
mostrò in un attimo tutti i regni del mondo e gli disse: “Ti darò tutta quanta questa potenza e la
gloria di questi regni, perché essa mi è stata data e la do a chi voglio. Se dunque ti prostri ad
adorarmi, sarà tutta tua”» (Luca 4,5-7). Gesù respinge il tentatore, rivendicando il primato e
l’adorazione da dare solo a Dio, ma la storia dell’umanità, fino al nostro tragico presente, è segnata
dal susseguirsi degli imperi e delle tirannie, che cercano di ingrandire il proprio potere, attraverso le
armi della guerra e della distruzione. In questo solco erano gli uomini dell’Impero ottomano e dei
suoi alleati, che nel 1480 hanno sparso il sangue dei nostri fratelli e padri otrantini.
L’altro amore è quello del Signore Gesù, il quale sulla Croce e nella Risurrezione ha vinto il male
con il bene del suo amore sino alla fine, mostrandoci così il volto del Padre che è amore, e
donandoci l’Amore tra il Padre e il Figlio, che è lo Spirito Santo. L’amore è la forza vincente,
l’amore è la ricchezza autentica, l’amore è la retta sapienza, l’amore è la vera vita. Nel solco di
Gesù, si pongono tutti i Santi della Chiesa, quelli canonizzati e quelli – avrebbe detto Papa
Francesco – della porta accanto, ma in modo speciale i Martiri che hanno reso con l’effusione del
sangue la suprema testimonianza a Cristo. Nella loro schiera, contempliamo il vescovo Stefano
Pendinelli, il sarto Antonio Primaldo, e gli altri Ottocento uomini di Otranto, i quali, attaccati alla
loro fede e alla loro città, hanno scelto di fare della propria vita e della propria morte un dono
d’amore.

La speranza degli Ottocento, la resilienza dei Trecento
In questo Giubileo della speranza, la lezione degli Ottocento è proprio l’orizzonte della Speranza
cristiana. Certamente, la vita sulla nostra Terra è un dono meraviglioso, ma è comunque un
pellegrinaggio, spesso in una valle di lacrime, in una notte oscura. La meta del pellegrinaggio è il
Cielo, che è Dio stesso, Dio in quanto eternamente raggiunto, Dio che è «il bene, tutto il bene, il
sommo bene», come canta Francesco d’Assisi. Se la Terra è il nostro unico orizzonte, allora qui
sulla Terra dobbiamo cercare la realizzazione ad ogni nostro desiderio, ricorrendo ad ogni mezzo.
Così la Terra diventa davvero «l’aiuola che ci fa tanto feroci» (Paradiso, XXII, 151). Ma se la
nostra patria è il Cielo, cioè l’unione eterna con il Dio vivente, allora la prospettiva cambia, e
l’amore ci rende capaci di ogni sacrificio.
La speranza cristiana è stata la forza dei Martiri di Otranto, i quali, subendo la violenza e
affrontando la morte, probabilmente, mentre salivano al colle della Minerva, avranno avuto nel
cuore e sulle labbra parole come quelle – ancora una volta – di san Francesco: «Tanto è il bene che mi aspetto, che ogni pena mi è diletto». Facciamo dunque nostra la lezione di speranza che ci
proviene dagli Ottocento, e viviamo il nostro impegno sulla Terra orientati a Dio, nel tempo e
nell’eternità.
Ma cerchiamo di fare nostra anche la testimonianza dei Trecento, cioè di quanti erano sopravvissuti
al massacro, e si sono impegnati per la ricostruzione di Otranto. Forse sarebbe più corretto dire le
Trecento, poiché erano soprattutto donne. Anziché lasciarsi scoraggiare dall’esperienza della
strapotenza del Male, questi nostri fratelli e queste nostre sorelle, col sostegno della fede, hanno
raccolto le loro forze e nel loro momento storico hanno ripreso ad edificare la Chiesa e la Città,
hanno intrapreso ancora una volta la via dell’Amore, che costruisce il bene, senza mai arrendersi.
Oggi usiamo una parola specifica per dire tale atteggiamento: la resilienza. La sorella della speranza
è la resilienza. L’una sorella è orientata all’eternità, l’altra sorella è orientata alla storia.
Il nostro presente ha bisogno di un’umanità resiliente. Dinanzi al diffondersi di nuovi imperialismi e
nuove tirannie, dinanzi all’incrudelirsi delle guerre e alla corsa al riarmo, dinanzi all’idolatria del
Potere, lottiamo per costruire la civiltà dell’Amore. Spendiamo la nostra vita per il diritto di ogni
persona umana alla salute, al cibo, all’istruzione, al lavoro, all’uguaglianza, alla felicità. Spendiamo
la nostra vita per la salvaguardia della creazione. Spendiamo la nostra vita per la fraternità e per la
pace, attraverso le vie del dialogo, della riconciliazione e dell’amicizia. I Santi Martiri hanno fatto
la loro parte, ora tocca a noi fare la nostra parte. Essi da lassù ci accompagneranno, sotto la
protezione di Maria Regina delle Grazie, e ci otterranno l’aiuto di Dio, la Sua luce, la Sua luce, la
Sua pace.

+ Francesco Neri
Arcivescovo

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