Cara Martina e caro Luca,
a che cosa possiamo paragonare il vostro matrimonio?
A me piace pensare a una melodia che si trasforma in sinfonia. La parola melodia, dal greco μέλος e ᾠδή, significa un tema musicale che si compone di una successione lineare di suoni, un canto a una voce o il suono di uno strumento di cui si individua facilmente il motivo fondamentale all’interno del tessuto compositivo. La sinfonia, invece, dal greco σύν (con) e ϕωνή (suono), è un insieme armonico di suoni e voci. Nel caso della melodia il canto si snoda a livello lineare, nella sinfonia invece è necessario un “accordo” dei suoni e delle voci.
Uscendo fuori metafora, il vostro matrimonio assomiglia a due melodie che si fondono in una sinfonia. In altri termini, ognuno di voi ha dentro di sé il suo personale modo e desiderio di esprimere il proprio amore, secondo le sue particolari doti e le sue caratteristiche personali. È come un cantante solista che intona la sua canzone. Nel matrimonio, però, è necessario che le due melodie si accordino in una sinfonia. Non basta cantare la propria canzone, è necessario che essa si armonizzi con l’altro tema musicale in modo da cantare insieme, ognuno con il proprio timbro e la propria estensione vocale, in un intreccio che sa raccordare armonicamente le note dell’uno con quelle dell’altro.
Secondo la bella espressione di S. Kierkegaard è necessario che ognuno dica all’altro: «Tu sei per me vivace melodia. Io sono per te cantus firmus». Cantus firmus (canto fermo) era la melodia che veniva eseguita da una voce (tenor) lungo tutta la composizione e costituiva la base per il gioco contrappuntistico delle altre voci. Oggi diremmo la “base”, il “sottofondo armonico” di una composizione polifonica. Nel vostro rapporto d’amore, allora, uno suona la sua melodia e l’altro mantiene la base armonica per dare bellezza al dispiegarsi del canto.
Le note sono le stesse, ma la melodia e la sinfonia possono cambiare a seconda della tonalità maggiore o minore. Cioè in base al sistema di regole compositive centrate sulla relazione gerarchica fra le altezze delle note rispetto alla nota fondamentale, la tonica, che diventa il centro di convergenza di un particolare brano. In altri termini, l’amore è una parola che contiene tutto e si esprime con tutte e sette le note (il numero sette significa totalità e perfezione). La felice riuscita del matrimonio dipende da come si rapportano le note tra di loro. La bellezza dell’amore nasce dalla sapiente composizione dei suoni. Collegati in un certo modo essi generano un senso di gioia e di felicità, congiunti in altro modo possono esprimere sentimenti di tristezza e di malinconia.
La verità è che l’amore non è solo espressione di un sentimento, ma è la capacità di realizzare un’opera d’arte. Alcuni anni fa, Erich Fromm, noto filosofo tedesco, scrisse un libro che è diventato un best-seller L’arte di amare (1957). In quella sua opera, egli richiamò le diverse tipologie dell’amore, mostrando come tale sentimento costituisca una vera e propria arte della vita vissuta insieme. Essa necessita di disciplina, concentrazione, pazienza, supremo interesse e umiltà.
Dire che l’amore è un’arte significa dire che non è facile amare. Non è solo un fatto naturale, ma è anche un’opera d’arte. E, come tale, richiede che l’artista sappia impiegare le sue doti per creare qualcosa di bello. Insomma, l’amore è una potente energia da cui può nascere qualcosa di inedito. “L’amore è una cosa meravigliosa” è il titolo di un famoso film di alcuni anni or sono. Ogni volta, però, che una persona si innamora e scambia con l’altro la promessa d’amore non replica lo stesso modo di amare. L’amore è sempre nuovo e chiede di essere vissuto in modo nuovo. Contrarre un matrimonio, allora, significa dare forma alla possibilità di generare una nuova opera d’arte. Questo è il nostro augurio: fate della vostra vita matrimoniale un bel capolavoro!
Il segreto dell’amore consiste nell’inventare qualcosa di nuovo e di bello. Per questo è necessario che le relazioni sfuggano al principio del “do ut des” e sappiano trasformare i rapporti d’amore, con estro e fantasia, in una relazione affascinante e accattivante. A tal proposito, il poeta libanese Kahlil Gibran scrive: «L’amore non dà nulla all’infuori di sé, / né prende nulla se non da sé stesso. / L’amore non possiede né vuol essere posseduto, / perché l’amore basta all’amore». Ripercorriamo il significato delle sette note della melodia e della sinfonia dell’amore.
La prima nota della scala musicale è “do”. È la nota che dà il tono a tutta la melodia. In riferimento alla vita matrimoniale certifica che l’amore è fondamentalmente dono; un dono che si offre e si riceve, anzi che si dona perché si è ricevuto. Si ama perché si è stati amati. La risposta all’amore nasce dalla consapevolezza di aver ricevuto dall’altro il dono d’amore. Amo perché sono amato. Questa verità ha un valore religioso, ma è anche una convinzione della sapienza umana.
Alla fine nel Manoscritto A (85v°-86r°) santa Teresina di Lisieux cita un detto di san Giovanni della croce «L’amore si paga solo con l’amore». Nel piccolo Manoscritto B, ella riprende la frase e scrive così: «L’amore si paga soltanto con l’amore: perciò ho cercato e ho trovato il modo per calmare il mio cuore rendendoti Amore per Amore» (Ms B, 4r°). Anche Francesco Petrarca nel suo De rebus memorandis scrive questa bella terzina: «Amor con amor si paga, / chi con amor non paga, / degno di amar non è».
La seconda nota è “re”. Lo sposo e la sposa si considerano reciprocamente come re e regina. Questi titoli regali sono ritornati nel salmo responsoriale. La sposa infatti dice: «Io canto al re il mio poema». Dello sposo, il salmista annota: «Il re si è invaghito della tua bellezza. È lui il tuo signore: rendigli omaggio». All’apparire poi della sposa il salmista esclama: «La figlia del re è tutta splendore, gemme e tessuto d’oro è il suo vestito». Chiamarsi vicendevolmente re e regina è un modo per esprimere il più vivo apprezzamento per l’altro. Significa riconoscere l’altro come una persona che ha valore e che è degna di essere accolta con tutti gli onori.
La terza nota “mi” richiama il senso di appartenenza e di esclusività. Vuol dire essere l’uno per l’altro. Nella prima lettura, presa dal Cantico dei cantici, la sposa grida con gioia: «Il mio amato è mio e io sono sua». L’espressione è molto appassionata e sottolinea con forza il reciproco legame. Non bisogna però intendere aggettivo possessivo nel senso di una sorta di morbosa gelosia, ma di un rapporto e di un vincolo sentimentale fondato su una promessa, un accordo, un impegno e un patto d’amore.
La quarta nota “fa” stabilisce una regola precisa: lo scambio d’amore non deve diluirsi in un sentimento generico che si esprime solo a parole; l’amore non è una conversazione verbale o incontro trasognato, ma è una relazione concreta e operativa. Non pensa solo al proprio diletto, ma cerca la felicità dell’altro. Non si ripiega su sé stesso, ma è aperto all’esterno e pensa a realizzare qualcosa di concreto. È un amore che costruisce la casa, dà origine a una famiglia, sostiene il futuro dei figli. I figli, infatti, sono il segno tangibile che è stata messa in pratica la “regola d’oro”: l’amore come dono reciproco che non si chiude in sé stesso, ma dà vita a un’altra vita.
La quinta nota “sol” richiama la dimensione solare e luminosa dell’amore. Nel matrimonio, secondo quanto abbiamo ascoltato nel brano del Vangelo, si realizza un evento straordinario: il miracolo dell’unità. Gesù dichiara: «Non sono più due, ma una sola carne». Con queste parole, sembra che egli quasi alluda all’amore come misterio trinitario. Per questo prega: «Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola» (Gv 17,21). L’amore tra gli sposi rinvia all’amore trinitario. Qui c’è un salto qualitativo di enorme portata. L’amore tra l’uomo e la donna non è solo una realtà umana, ma lascia trasparire qualcosa della relazione d’amore che intercorre tra le persone della Trinità.
La sesta nota è “la”: nel linguaggio musicale si dice che è la “dominante”, cioè la nota che riporta tutto al punto centrale della melodia e della sinfonia. Essa invita a guadare l’orizzonte, a considerare non solo il momento presente, ma a protendersi in avanti, a guardare il futuro con speranza. A guardare insieme verso un punto comune: i figli. Essi sono il futuro, la continuazione, la novità dominante. Non bisogna pensare solo alla propria realizzazione professionale, bisogna generare una nuova vita che dà senso al presente e riempie di gioia la relazione sponsale.
La sesta nota è “si”. È il punto culminante della scala musicale ed è la parola riassuntiva dell’amore. Amare è dire “sì”. È mettere il “sigillo” all’amore esprimendo liberamente il proprio acconsentimento. Nel gergo musicale si dice che è anche la nota “sensibile”, quella che crea una svolta e ritorna al punto di partenza cioè al nuovo al “do”, che non è il primo, ma è l’ottavo. L’amore ritorna su sé stesso e riprende il suo percorso. L’amore, insomma, è tutto: inizio e fine della vita.
Per questo S. Kierkegaard: «Cos’è che rende un uomo grande, ammirato dal creato, gradevole agli occhi di Dio? Cos’è che rende un uomo forte, più forte del mondo intero; cos’è che lo rende debole, più debole di un bambino? Cos’è che rende un uomo saldo, più saldo della roccia; cos’è che lo rende molle, più molle della cera? È l’amore! Cos’è che è più vecchio di tutto? È l’amore. Cos’è che sopravvive a tutto? È l’amore. Cos’è che non può essere tolto, ma toglie lui stesso tutto? È l’amore. Cos’è che non può essere dato, ma dà lui stesso tutto? È l’amore. Cos’è che sussiste, quando tutto frana? È l’amore. Cos’è che consola, quando ogni consolazione viene meno? È l’amore. Cos’è che dura, quando tutto subisce una trasformazione? È l’amore. Cos’è che rimane, quando viene abolito l’imperfetto? È l’amore. Cos’è che testimonia, quando tace la profezia? È l’amore. Cos’è che non scompare, quando cessa la visione? È l’amore. Cos’è che chiarisce, quando ha fine il discorso oscuro? È l’amore. Cos’è che dà benedizione all’abbondanza del dono? È l’amore. Cos’è che dà energia al discorso degli angeli? È l’amore. Cos’è che fa abbondante l’offerta della vedova? È l’amore. Cos’è che rende saggio il discorso del semplice? È l’amore. Cos’è che non muta mai, anche se tutto muta? È l’amore, e amore è solo quello che mai si muta in qualcos’altro»[1].
Cara Martina e caro, Luca ognuno di voi intoni la sua melodia e, insieme, trasformatela in una sinfonia. Vivete il vostro amore secondo tutte e sette le note della scala musicale. Essa potrà trasformarsi nella scala d’oro, come quella che Dante vede quando entra nel settimo cielo. La sua estremità superiore si perde nel cielo, lungo la quale salgono e scendono innumerevoli spiriti distinti in diversi gruppi. A uno di essi, san Pier Damiani, egli chiede: «e dì perché si tace in questa rota / la dolce sinfonia di paradiso, / che giù per l’altre suona sì divota»[2]. In altri termini, per quale motivo nel settimo cielo del terzo pianeta, quello di Saturno, a differenza degli altri cieli, non si senta risuonare la dolce sinfonia del paradiso? San Pier Damiani risponde a Dante dicendo che lui ha l’udito e la vista dei mortali e quindi non riesce a intercettare il canto sublime del paradiso.
Il Signore vi doni la gioia di ascoltare il celeste canto dell’amore. Avete scelto di sposarvi in un santuario mariano dedicato alla Madonna d’Ibernia. Il nome de Bernis deriverebbe dal verbo latino vernare[3], cioè passare dall’inverno alla primavera e quindi indicherebbe la “Madonna della primavera”. La Madonna faccia del vostro amore un’eterna primavera! Auguri.
[1] S. Kierkegaard, Discorsi edificanti (1843), traduzione e cura di Dario Borso, Edizioni Piemme, 1998, pp. 81-82.
[2] Dante, Paradiso, XXI, 58-60.
[3] Cfr. S. Ostuni, Cisternino: chiese, riti, antiche tradizioni, Edizioni VivereIn, Monopoli 2000.
clic qui per l’articolo sul sito della Diocesi di Ugento – S. Maria di Leuca
