Omelia nella Messa del X anniversario di consacrazione di Marilena De Pietro nell’Ordo viduarum
Chiesa Maria SS. Ausiliatrice, Taurisano, 20 settembre 2025.
Cara Marilena,
dieci anni fa ti consacravi al Signore nell’Ordo viduarum. Eri l’unica vedova della nostra diocesi. Il rito avvenne nella Cattedrale di Bari per la preghiera dell’arcivescovo mons. Francesco Cacucci. Cominciò così, quasi in sordina e lontano dalla nostra comunità ecclesiale, la storia dell’Ordo viduarum nella nostra Chiesa di Ugento-S. Maria di Leuca. Poi è avvenuta l’istituzione diocesana, con il decreto vescovile del 9 marzo 2016, e sono cominciate ad arrivare le altre sorelle.
Il cammino dell’Ordo viduarum nella Chiesa italiana
Nel frattempo anche la Chiesa italiana ha fatto il suo cammino. Attualmente si calcola che siano più di 450 le vedove consacrate nelle Chiese italiane, poco meno di un centinaio quelle in cammino, 19 le diocesi che hanno regolarmente istituito l’Ordo, con propri statuti e Rito di benedizione, dal 1996 a oggi. Si tratta di donne che vogliono vivere la loro vedovanza, per aspirare a una vita cristiana più perfetta, vivendo nel mondo, con una professione che la Chiesa benedice e consacra con un apposito rito.
Sabato 2 novembre 2024, sono state approvate all’unanimità le nuove Linee Guida per gli Ordo Viduarum in Italia dall’Assemblea nazionale delle vedove consacrate che si è riunita a Sacrofano (a nord di Roma). Si tratta di un testo definitivo composto da 29 articoli che ha avuto un lungo periodo di gestazione, quasi 5 anni, e che segna una prima tappa importante verso il riconoscimento ufficiale da parte della Conferenza Episcopale Italiana. Le Linee Guida spiegano il senso della presenza delle vedove consacrate nelle chiese diocesane e illustrano l’articolazione dei servizi di comunione in ambito interdiocesano e nazionale. Il proposito di castità perpetua, in virtù della grazia battesimale e della vocazione sponsale, l’intensa vita di preghiera, la scelta della carità e del servizio, il legame con il vescovo e la chiesa diocesana, l’appartenenza ad uno stesso Ordo, secondo il modello della Chiesa apostolica, sono all’origine della chiamata alla consacrazione vedovile.
Bisogna ricordare che l’Ordine delle vedove non è una novità dei nostri tempi. La presenza di vedove nelle comunità cristiane è attestata in numerosi scritti del Nuovo Testamento. Il passaggio a un vero e proprio Ordo viduarum si realizzò a partire dal terzo secolo quando la vedovanza venne a costituire uno stato ufficiale di vita, riconosciuto dalla Chiesa. Nel nostro tempo, una novità rispetto al passato, è il sorgere di gruppi di vedovi, anch’essi riconosciuti e approvati dai vescovi, anche se per ora sono ancora poco numerosi. I Convegni che avete tenuto in questi anni hanno contribuito a far maturare una coscienza comune nella Chiesa in attesa di un pronunciamento ufficiale che si spera avvenga al più presto per dare nuovo vigore a questa particolare vocazione nella Chiesa.
Si può dire che quanto sta avvenendo è come l’attuazione della parabola evangelica che paragona il regno di Dio a «un uomo che getta il seme nella terra; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce; come, egli stesso non lo sa. Poiché la terra produce spontaneamente, prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga. Quando il frutto è pronto, subito si mette mano alla falce, perché è venuta la mietitura» (Mc 4, 26-29). Il seme cresce silenzioso e per la sua intrinseca energia. Ha solo bisogno di terra buona. Dio è il divino agricoltore che si prende cura della sua crescita.La parabola è portatrice di un messaggio di fiducia, di speranza e di abbandono al Padre. Nel rispetto dei tempi di Dio che sono diversi da quelli degli uomini, questo seme conseguirà risultati imprevisti e insperati, come il granellino di senape, piccolo seme destinato a diventare un grande albero (cfr. Mc 4,30-32).
Il cammino dell’Ordo viduarum, come quelli di tutte le altre forme di vita cristiana, è segnato da paradossi. Dio, infatti, agisce in modo paradossale. Ha la forza di far rinascere e di generare dal nulla realtà sempre nuove[1]. La parabola del vangelo di Marco evidenzia uno di questi paradossi: l’unione tra piccolezza e grandezza. La convinzione che si tratta di un’opera del Signore induce ad essere sereni e fiduciosi anche quando si avrebbero tutte le ragioni per cedere alla tentazione dello scoraggiamento. Vengono alla mente le commoventi parole di san Paolo: «Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono, perché nessun uomo possa gloriarsi davanti a Dio»(1Cor 1,27-29).
La signoria di Cristo tanto all’interno della nostra vita come nel mondo intero cresce per virtù propria anche se, come ci ricorda s. Ambrogio, chiede un terreno disponibile per essere seminato: «Semina Cristo nel tuo orto — l’orto è un luogo pieno di fiori e di frutti diversi — in modo che fiorisca la bellezza della tua opera e profumi l’odore vario delle diverse virtù. Vi sia Cristo là dove vi è ogni frutto. Tu semina il Signore Gesù: egli è un granello quando viene arrestato, un albero quando risuscita, un albero che fa ombra a tutto il inondo. E un granello quando viene sepolto in terra ma è un albero quando si eleva al cielo»[2].
Ora è importante saper utilizzare il tempo che Dio mette a nostra disposizione, valorizzando quattro virtù: discernimento, preghiera, attesa e speranza. Occorre innanzitutto una grande capacità di discernimento per intuire le disponibilità nascoste in realtà ancora germinali. Le novità di Dio sono il frutto di un’intensa preghiera. L’azione da mettere in atto in realtà non consiste nell’agitazione dell’anima, ma nella perseverante attesa che Dio agisca secondo i propri disegni e i tempi da lui stabiliti. Occorre dunque abbandonarsi alla speranza, la “piccola bambina” che muove il ritmo e il flusso della storia.
Il tempo è distensione dell’anima
Il grande compito che attende l’Ordo viduarum è far germogliare il seme che Dio ha seminato nel suo giardino. Il tempo, infatti, è una realtà dell’anima[3]. Come un grembo generativo, contiene dentro di sé tanti annunci. Quando la persona segue il ritmo interiore, il tempo diventa la cifra qualitativa e valoriale della vita: è aspettativa, desiderio, noia, gioia di vivere e tanto altro ancora[4].
Certo, il tempo è come la sabbia che scivola veloce tra le mani senza lasciare nessuna traccia, ma è anche una moneta d’oro che consente di conoscere e acquistare il senso della vita. Gli antichi greci con il termine kronos indicavano la possibilità di compiere una scelta, mentre con kairos volevano significare l’improvviso avverarsi dell’attimo propizio per lo schiudersi del futuro davanti ai propri occhi e, a chi si improvvisa pioniere, indicare una nuova rotta senza troppi strumenti di misurazione, seguendo la navigazione a vista del viandante.
Il tempo, dunque, non va cercato all’esterno, ma nell’animo umano perché in esso si misura. Esso è situato dentro una dialettica personale tra intentio e distentio. Dice, infatti, Agostino: «Dimentico delle cose passate, né verso le future, che passeranno, ma verso quelle che stanno innanzi non disteso, ma proteso,non con distensione, ma con tensione inseguo la palma della chiamata celeste»[5]. L’intentio esprimerebbe, allora, la tensione dello spirito umano verso il trascendente, mentre la distentio, al contrario, sarebbe una sorta di “dilatazione” dello spirito all’interno di sé. E proprio da tale dilatazione nascerebbe il senso della profondità temporale. La distentio rappresenterebbe, quindi, l’unico modo con cui l’uomo concepisce e vive il tempo, cioè come “dilatazione spirituale” (distentio animi) in avanti.
Si intuisce la distinzione tra il tempo oggettivo, esterno a noi e il tempo soggettivo, dove il presente è il ricordo registrato nella nostra mente dell’immediato passato e l’anticipazione dell’immediato futuro. Il tempo è anteriore alla misurazione del movimento, assume significato come atto della coscienza. È la coscienza che cerca di mettere ordine e dare senso alla realtà, altrimenti inafferrabile. Il tempo è sia un flusso che una relazione; nel primo caso è il profilo oggettivo convenzionale in quanto misurabile, nel secondo caso riguarda una relazione tra noi e i fenomeni esterni.
Il tempo come opportunità da cogliere, tra futuro e avvenire
Veniamo alla vita senza deciderlo. Non abbiamo deciso quando e dove nascere. Diventare uomini, però, è il frutto delle nostre scelte, delle nostre decisioni e della nostra responsabilità. Uomini nel senso pieno non si nasce, ma si diventa giorno per giorno.
Riconoscere l’importanza del tempo significa recepire la preziosità anche di un solo istante della nostra giornata, spesso vissuta al minimo delle possibilità. Il tempo non aspetta nessuno, scorre inesorabile. È un evento di relazione, la possibilità di un incontro con l’altro, con la sua storia e la sua interiorità. Se impariamo ad ascoltare noi stessi e a dar voce alle nostre esigenze, diventiamo più consapevoli delle nostre scelte. Fermarsi per ritrovarsi significa dare valore al nostro tempo e alle nostre esperienze, anziché lasciarsi travolgere dall’incessante corsa della quotidianità.
Pregare significa prendersi il tempo per riflettere, connettersi con sé stessi e affrontare le proprie emozioni. Dobbiamo liberarci dalla frenesia e ritrovare il contatto con noi stessi, con le nostre emozioni e i nostri desideri più profondi per intraprendere un cammino di miglioramento, apportando cambiamenti positivi nella nostra vita.
Decisiva è la distinzione tra futuro e avvenire. Il futuro è una proiezione che si basa sul presente, l’avvenire è invece ciò che non può essere previsto. Quando progettiamo una determinata iniziativa futura partiamo dal presente in cui viviamo, dalle idee, sogni e speranze che abitano il nostro presente. È a partire dall’oggi che penso al domani, allo scopo di progettare le mie azioni future, di conseguenza il domani, non può fare altro che contenere delle tracce di questo oggi. All’opposto l’avvenire è ciò che accade senza preavviso. Ad esempio accade che ci si innamori. Nessuno progetta che si innamorerà o può prevedere quando avverrà. La virtù dell’attesa è rimanere vigili per accogliere ciò che accadrà. Il miracolo avviene non per il nostro sforzo, ma per l’iniziativa gratuita e imprevedibile di Dio.
Il tempo è messaggero di Dio
Soprattutto non bisogna illudersi di essere padroni del nostro tempo. In una bellissima riflessione, Papa Francesco opera una fondamentale distinzione fra il “momento” e il “tempo”. Si può essere padroni del momento che stiamo vivendo, ma il tempo appartiene a Dio ed egli ci dona la speranza per viverlo. Il momento è quello che abbiamo in mano nell’istante in cui viviamo. Ma non va confuso con il tempo perché il momento passa. «L’inganno è crederci padroni del tempo. Il tempo non è nostro. Il tempo è di Dio». «Possiamo diventare sovrani del momento. Ma del tempo c’è solo un sovrano: Gesù Cristo. L’unica virtù possibile per guardare al tempo «deve essere regalata dal Signore: è la speranza». Preghiera e discernimento per il momento; speranza per il tempo: «così il cristiano si muove su questa strada del momento, con la preghiera e il discernimento. Ma lascia il tempo alla speranza. Il cristiano sa aspettare il Signore in ogni momento; ma spera nel Signore alla fine dei tempi. Uomo e donna di momenti e di tempo, di preghiera e discernimento e di speranza». Occorre chiedere al Signore «la grazia di camminare con la saggezza. Anche questa è un dono: la saggezza che nel momento ci porta a pregare e a discernere e nel tempo, che è messaggero di Dio, ci fa vivere con speranza»[6].
Le virtù del discernimento, della preghiera e dell’attesa spalancheranno all’Ordo viduarum una nuova fioritura. «Io, infatti, conosco i progetti che ho fatto a vostro riguardo – dice il Signore – progetti di pace e non di sventura, per concedervi un futuro pieno di speranza» (Ger 29, 11).
[1] Cfr. H. De Lubac, Paradossi e nuovi paradossi. L’uomo davanti a Dio, Opera Omnia, Jaca Book, Milano 1989, p. 43.
[2] Ambrogio, Exp. in Luc., 7,176-180.
[3] Cfr. L. Alici, La funzione della Distensio nella dottrina agostiniana del tempo, in “Augustinianum”, 15, 1975, pp. 325-345.
[4] «Un fatto è ora limpido e chiaro: né futuro né passato esistono. È inesatto dire che i tempi sono tre: passato, presente e futuro. Forse sarebbe esatto dire che i tempi sono tre: presente del passato, presente del presente, presente del futuro. Queste tre specie di tempi esistono in qualche modo nell’animo e non le vedo altrove: il presente del passato è la memoria, il presente del presente la visione, il presente del futuro l’attesa»,Agostino, Le Confessioni, XI, 20, 26.
[5] Agostino, Le Confessioni, XI, 29, 39.
[6] Francesco, Il Padrone del tempo, omelia in Santa Marta, 26 novembre 2013, in “L’Osservatore Romano”, CLIII, 272, merc. 27/11/2013.
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