Carissimi fratelli e sorelle,

oggi è una giornata importante per questa nostra comunità parrocchiale di Gesù Risorto in Ginosa, perché il Signore gli dona, quale segno concreto del suo amore e della sua premurosa fedeltà, un nuovo pastore: il caro don Giovanni Nigro, che saluto con affetto.

Amore e fedeltà… virtù per le quali abbiamo voluto da subito ringraziare il Signore con la preghiera del salmista, perché: «Il Signore continua a ricordarsi di noi, ci benedice… e tutto ciò che vuole Egli lo compie… e come per Israele è nostro aiuto e nostro scudo… motivo per cui dobbiamo confidare sempre in Lui» (Cf. Sal 115).

Saluto i familiari di don Giovanni, il papà e la mamma, il Vicario generale e tutti i confratelli presbiteri intervenuti, sia da questa città che dal resto della diocesi, i diaconi, i seminaristi, il coro, le autorità civili presenti, a partire dai Signori Sindaci di Ginosa (il dott. Vito Parisi) e di Laterza (il Prof. Franco Frigiola), città di origine di don Giovanni, così come le autorità militari.

Un saluto speciale a tutti voi, cari fedeli di questa comunità di Gesù Risorto, che avete preparato con cura e diligenza questo momento.

Prima di addentrarmi nella riflessione sulla Parola di Dio, non posso non ricordare e ringraziare anche pubblicamente (dopo averlo già fatto in privato) il caro don Giuseppe Bernalda, che per ben 11 anni (dal 6 settembre 2013), dopo i 24 anni del compianto p. Gilberto Magni, ha amorevolmente servito questa comunità. Sono certo che il ministero da lui compiuto sarà di aiuto nell’aprirvi a questo tempo nuovo (tempo di grazia) che da oggi inizia. L’arrivo di un nuovo Parroco, per l’intera comunità, è un’occasione privilegiata per accogliere le novità che sempre caratterizzano l’opera che Dio compie in noi e attraverso di noi.

Ho lasciato a don Giovanni l’opportunità di scegliere la Parola di Dio per questa eucarestia, nel giorno in cui la Chiesa ci invita a fare memoria del SS.mo Nome della Beata Vergine Maria, a cui fin d’ora affidiamo il suo nuovo ministero di Parroco.

Il profeta Geremia, nella prima lettura, ci presenta una delle sue confessioni. Quest’uomo di Dio, senza cessare di esortare i suoi interlocutori alla conversione e alla fedeltà, dinanzi all’amarezza dell’insuccesso nel servizio profetico e all’esperienza della solitudine, si ribella a Dio e non accetta il compito e le conseguenze di questa difficile missione. Ma è il Signore stesso che, rassicurandolo, lo accompagna e lo plasma alla novità che lo attende.

Geremia, che «ha divorato con avidità la Parola… fonte di gioia e di letizia per il cuore» (Ger 15,16), è chiamato dal Signore a superare i limiti della razionalità umana del suo progetto per apprendere ad amare in un modo nuovo: solo con il cuore, al fine di ricomprendere l’ineffabile mistero dell’Altissimo. È così, confermato nella sua vocazione e missione, che deve ritornare sempre all’origine della sua personale relazione di vita con il Signore, allorquando si sentiva pensato ed amato da Lui. Perché è proprio dalla notte della vita che scaturisce la luce nuova della fede e, nel far memoria, si percepisce la novità per una nuova testimonianza accompagnata dalle parole rassicuranti del Signore stesso: «perché io sarò con te per salvarti e liberarti» (Ger 15,20).

Il profeta non è un semplice amministratore, ma un “rivoluzionario”, nel senso che gli è chiesto di suscitare la buona rivoluzione dell’amore per la vita della gente che il Signore gli ha affidato. La forza stessa della Parola suscita la novità del cuore e della mente, così che la missione profetica diventi un’esperienza di trasformazione e di crescita nell’amore, per risvegliare il cuore di quanti gli sono affidati dal torpore di una fede insipiente e recettiva, con un nuovo protagonismo missionario, frutto dell’incontro con l’amore di Dio in Cristo Gesù, che – come i primi discepoli – ci rende “discepoli-missionari” (Cf. Evangelii gaudium, 120), «solleciti nel testimoniare prima con la vita e poi ,se fosse necessario, anche con le parole» (Cf. San Francesco, Regola non bollata XVI=FF.FF 43).

Nella seconda lettura l’Apostolo delle Genti sperimenta nell’intimo del suo cuore la bellezza di un’autentica comunione fraterna e per questo suggerisce ai Filippesi, e di riflesso a tutti noi questa sera, alcuni comportamenti essenziali «che renderanno piena la sua gioia» (Fil 2,2):

  • non fare nulla per rivalità o vanagloria;
  • avere l’umiltà in forza della quale ciascuno considera gli altri superiori a sé stesso;
  • ricercare non l’interesse proprio, ma sempre quello degli altri.

È un autentico programma di vita, da incarnare nei nostri stili di vita, che ci richiama ad una continua conversione personale e soprattutto pastorale. Tutto ciò si riassume «nell’avere gli stessi sentimenti che furono di Cristo Gesù» (Fil 2,6), il quale «non ritenne un privilegio l’essere come Dio» (ivi).

Per l’apostolo Paolo, la vita cristiana di una comunità è fatta di intensi rapporti affettivi: c’è gioia, desiderio, amore, amicizia, cordialità. Rapporti, questi, che superano lo schema stereotipato di un cristianesimo intellettualistico e anaffettivo, ridotto a idee da credere, norme etiche da osservare, riti freddi e senza coinvolgimento partecipativo.

Accogliamo e facciamo nostra la riscoperta della dimensione affettiva della fede. Essa non è un’ideologia a cui aderire, ma un’esperienza personale e coinvolgente, fatta dall’annuncio di gioia che «riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù e che, lasciandosi salvare da Lui, sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento» (Evangelii gaudium, 1).

Come i Filippesi riscopriamo sempre e di nuovo la gioia:

  • di essere amati da Dio;
  • di credere e celebrare insieme per «uscire dalla propria comodità e avere il coraggio di raggiungere tutte le periferie che hanno bisogno della luce del Vangelo» (Evangelii gaudium, 20);
  • di sperimentare che il Vangelo corrisponde ai desideri più profondi ed autentici del cuore umano.

Infine, nella pagina del Vangelo, abbiamo contemplato il ritorno di Gesù nel luogo della sua infanzia e dell’origine della sua fede: nella piccola borgata di Nazaret, dove la Parola si è fatta carne grazie alla disponibilità di una fanciulla, Maria, che si è sottomessa al piano di Dio.

Nazaret, però, per Gesù, si manifesterà anche come il luogo dell’incredulità, dell’incapacità – per i suoi concittadini – di vedere oltre le apparenze. Questi uomini sono rimasti fermi ad una “vecchia foto di famiglia” e non riescono a cogliere la novità del presente.  Si manifestano increduli e scandalizzati perché Gesù – il nuovo profeta rivoluzionario – rompe l’immagine della beata famiglia dell’antico falegname di Nazaret.

Le nostre relazioni, il nostro lavoro, le qualità e i talenti, le nostre amicizie e le nostre storie personali, non bastano a spiegare ciò che siamo se non sono proiettate dal piano orizzontale (che spesso o quasi sempre prevale nelle nostre dinamiche di vita) a quello verticale, che ci sollecita a vivere per ciò che siamo realmente: Figli di Dio. È proprio in questo modo – rivestiti fin dal battesimo «degli stessi sentimenti di Cristo» (Fil 2,5) – che avremo la gioia e la credibilità di testimoniare con la vita la presenza del Signore, perché siamo una sua opera meravigliosa, capace di «allargare lo sguardo – uno sguardo di speranza – riconoscendo un bene più grande che porterà benefici all’intera comunità» (Cf. Evangelii gaudium, 235).

Provocati da questa Parola e incoraggiati a cogliere la bellezza del manifestarsi della novità, in un tempo segnato da “individualismo ed indifferenza” e da continui cambiamenti, sforziamoci di rendere la comunità parrocchiale sempre più come

«la casa di tante persone (“Famiglia di famiglie”) che dedicano il loro tempo alla costruzione del bene comune, attraverso l’impegno e la passione educativa per le nuove generazioni e l’accompagnamento di tante fragilità e povertà presenti nel territorio. Continuiamo ad essere un punto di sosta e nutrimento spirituale per chi cerca Dio nell’incontro con la sua Parola e nella celebrazione Eucaristica, soprattutto nel Giorno del Signore: la Domenica. Vinciamo i pregiudizi di un pessimismo di morte riscoprendo una comunità fatta di tanti volti, certamente diversi, ma uniti dall’amore di Cristo. Riscopriamo l’importanza della vocazionale battesimale, dalla quale scaturisce la diversità dei doni e dei ministeri. Valorizziamo la corresponsabilità dei laici, riconoscendo i loro carismi e le loro competenze, mettendoli al servizio dell’annuncio del Vangelo. Impegniamoci a creare comunità parrocchiali capaci di costruire ponti con le altre Parrocchie presenti sul territorio e con le altre realtà che animano la città, perché dinanzi alle sfide del nostro tempo dobbiamo ricordarci sempre delle parole di Papa Francesco nel buio della pandemia: siamo tutti sulla stessa barca! E sulla barca, con noi c’è sempre il Signore, la cui presenza ci salva dalla paura e con la sua Parola illumina il cammino da percorrere, trasformando ogni parrocchia in oasi di spiritualità e fraternità» (Cf. Riconsegna del Progetto “Parrocchie sinodali e missionarie, Cara Parrocchia, ti scrivo… S. Cesarea Terme, luglio 2024).

Carissimo don Giovanni, l’augurio che faccio a te, insieme alla tua nuova famiglia parrocchiale, è che in questo tuo nuovo servizio possa sperimentare, come il profeta Geremia e l’apostolo Paolo, la rivoluzione dell’amore e della gioia, per testimoniare l’opera meravigliosa del Signore, con la consapevolezza che, come insegnava don Tonino Bello: «La parrocchia non è fatta per autocostruirsi e autocontemplarsi: è fatta per “andare”. Non per crogiolarsi nel cenacolismo, ma per aprirsi sul territorio intero. Non può rassegnarsi a celebrare l’Eucarestia senza tenere la porta aperta sulla pubblica piazza».

Non dimentichiamo mai che solo «camminando s’apre il cammino» (A. Paoli).

Amen!

 

+ Sabino Iannuzzi

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