Omelia nella Messa nella festa di sant’Antonio di Padova
chiesa sant’Antonio di Padova – Tricase, 12 giugno 2025.
Cari fratelli e sorelle,
le letture che abbiamo ascoltato ci aiutano a comprendere la Colletta cioè la preghiera in onore di sant’Antonio che abbiamo rivolto al Signore all’inizio della Messa. Quella invocazione indicava le caratteristiche fondamentali della sua santità. Egli è stato un insigne predicatore e un padre per i poveri. Ha tenuto insieme verità e carità: verità nella carità e carità nella verità.
Nell’omelia dell’anno scorso mi sono soffermato a riflettere sul rapporto tra sant’Antonio e la pace. Dovremmo continuare ancora a richiamare questo tema per la sua indiscutibile attualità. I venti di guerra soffiano in modo ancora più potente.
Quest’anno, però desidero trattare il tema della contemplazione secondo sant’Antonio. Nel brano evangelico Gesù invia gli apostoli a liberare dal male con la potenza della sua parola, mentre la prima lettura fa l‘elogio della Sapienza. Bisogna, pertanto, non solo essere attenti ai segni e ai prodigi compiuti dai santi, ma anche ascoltare i loro insegnamenti. In loro dobbiamo lodare la potenza di Dio, ma anche ammirare la sapienza che traspare dalle loro parole.
Sant’Antonio richiama più volte nei suoi scritti il tema della contemplazione. D’altra parte, all’inizio del suo ministero di vescovo nella diocesi di Milano il cardinal Martini emanò un documento da titolo: la dimensione contemplativa della vita. In una città moderna, caotica, centro industriale ed economico dell’Itala, Martini rivendicò il primato della contemplazione.
Il tema non è passato di moda, né ci estranea dalle dinamiche della storia. Al contrario, ci inserisce dentro le coordinate del nostro tempo. CI sono, infatti, aspetti negativi che necessitano di un radicale cambio di passo.
Il primo aspetto negativo della nostra vita attuale è la forte invadenza di una forma di esasperato individualismo, Ci importa poco del destino degli altri, interessati come siamo solo a mettere ordine nella nostra vita. Occorre invece ricuperare la virtù della fraternità. Dovremmo privilegiare il desiderio di sentirci parte di una comunità.
Il secondo aspetto negativo riguarda l’eccessivo rumore e chiasso di cui è costellata la vita quotidiana. Ci parliamo addosso, non siamo prepensi ad ascoltare gli altri. Tutto è coperto dai suoni e si dà poco spazio al silenzio. È un continuo rincorrersi di rumori assordanti che riempiono la mente e devastano l’anima. Essa, invece, ha bisogno di rientrare in sé stessa, di ascoltare la sua voce silenziosa, di cercare il fondo del proprio essere oltrepassando il puro e semplice rimanere in superficie. C’è troppo esteriorità e molto estroversione. Siamo così avvolti da una sorta di vuoto che produce insoddisfazione, genera rancore e odio che scarica in forme di violenza gratuite, insensate ed inaudite.
Così, l‘anima geme, soffre, si addolora. Chiede ascolto e dialogo profondo. Esige essere custodita e avvolta dal silenzio e dal reciproco riconoscimento nell’amore. Cosa che non potrà mai generarsi senza un’attitudine alla contemplazione. Da qui la necessità di richiamare questa esigenza spirituale fondamentale. È quanto ha proposto Papa Francesco nella sua prima enciclica: «È urgente – egli scrive – ricuperare uno spirito contemplativo, che ci permetta di riscoprire ogni giorno che siamo depositari di un bene che umanizza, che aiuta a condurre una vita nuova»[1]. La contemplazione cristiana non è altro se non mettere Gesù al centro della vita mistica. Tutto cambia mediante l’incontro personale con lui. Nulla è più “la stessa cosa”[2]. Contemplare non vuol dire andare in mondo astratto e fuori dalla realtà, ma entrare più profondamente in essa recuperando la parte migliore di noi stessi.
Chi è, dunque, l’uomo contemplativo? Per sant’Antonio è l’uomo «morto al mondo, appartato dall’agitazione degli uomini, è come sepolto […]: soffiata via la paglia delle cose temporali, la sua mente si rinchiude nel granaio della pienezza celeste, così rinchiusa, si sazia della sua dolcezza»[3]. La spiritualità cristiana è dunque inizialmente ‘passiva’: si lascia amare e guardare da Dio. La fede è un “videri a Deo”, un lasciarsi vedere da Dio. Non cercare di sfuggire al suo sguardo. Solo allora la fede manifesterà la sua vitalità e attività mediante la carità che da essa sgorgherà.
Dio «pone l’occhio sul cuore, quando dal cuore effonde nell’obbediente la luce della contemplazione»[4]. L’uomo contemplativo vive oltre l’agitazione del cuore, si rinchiude dentro il “granaio celeste” e sperimenta la dolcezza dell’anima. Occorre vedere la realtà non solo con gli occhi fisici, ma soprattutto con gli occhi del cuore. Così si riesce a vedere quello che non è presente nel mondo superficiale, si comprendono i sentimenti nascosti, le sfumature dell’anima, i sussurri dello Spirito.
Secondo sant’Antonio, ci sono «due categorie di contemplativi. Ce ne sono alcuni che si dedicano agli altri e si prodigano per essi. Ce ne sono altri che non si dedicano né al prossimo né a sé stessi e si privano perfino delle cose necessarie»[5]. Questa intuizione vale ancora oggi. In riferimento alla prima categoria Papa Francesco afferma che bisogna «scoprire e trasmettere la “mistica” di vivere insieme, di mescolarci, di incontrarci, di prenderci in braccio, di appoggiarci, di partecipare a questa marea un po’ caotica che può trasformarsi in una vera esperienza di fraternità, in una carovana solidale, in un santo pellegrinaggio. In questo modo, le maggiori possibilità di comunicazione si tradurranno in maggiori possibilità di incontro e di solidarietà tra tutti…Uscire da sé stessi per unirsi agli altri fa bene»[6].
Che bella prospettiva! Invece di essere persone che camminano senza sapere dove andare, vivendo questa forma di contemplazione ci riconosciamo come una carovana di persone che camminano insieme verso una meta comune. Il bene che si ricava da questo atteggiamento contemplativo è grande per gli altri e per noi stessi. Infatti «quando viviamo la mistica di avvicinarci agli altri con l’intento di cercare il loro bene, allarghiamo la nostra interiorità per ricevere i più bei regali del Signore. Ogni volta che ci incontriamo con un essere umano nell’amore, ci mettiamo nella condizione di scoprire qualcosa di nuovo riguardo a Dio. Ogni volta che apriamo gli occhi per riconoscere l’altro, viene maggiormente illuminata la fede per riconoscere Dio»[7].
Impariamo soprattutto a sperimentare la dolcezza della contemplazione. L’anima «vien scossa in sé stessa da un certo plauso interiore della sua gioia, quando viene spinta a superare sé stessa con l’elevazione della mente, quando è totalmente assorbita dalle cose celesti, quado è totalmente immersa nelle visioni angeliche, sembra proprio che abbia oltrepassato i confini delle sue possibilità naturali»[8].
Sant’Antonio sottolinea che c’è una «duplice dolcezza nella contemplazione: la prima è nel sentimentoe appartiene alla vita. La seconda è nell’intelletto e appartiene al sapere. Questa seconda avviene con l’elevazione della mente, mentre la prima si verifica in una specie di alienazione della mente […]. L’alienazione della mente si ha quando la memoria (il ricordo) dele cose presenti abbandona la mente e, trasfigurata dall’intervento divino, passa in un certo stato d’animo straordinario e inaccessibile all’umana capacità»[9].
Impegniamoci allora a non disperderci nei segni esteriori. Impariamo da sant’Antonio a ritrovare la nostra anima per entrare nelle “vene della storia” e contribuire alla sua trasformazione e al suo cambiamento. Custodiamo la nostra interiorità. Viviamo non fuori, da dentro di noi per trovare Dio e, al tempo stesso, amare gli altri come nostri fratelli.
[1] Francesco, Evangeli gaudium, 264.
[2] Cfr. ibidem, 266.
[3] Sant’Antonio di Padova, I sermoni, traduzione di p. Giordano Tollardo, Edizioni Messaggero, Padova 1994, p. 27.
[4] Ibidem, p. 623.
[5] Ibidem, pp. 700.
[6] Francesco, Evangelii gaudium 87.
[7] Ibidem, 272.
[8] Sant’Antonio di Padova, I sermoni, cit., pp. 220-221.
[9] Ibidem, p. 1156.
clic qui per l’articolo sul sito della Diocesi di Ugento – S. Maria di Leuca
