Omelia nella Messa esequiale della mamma di P. Gino Buccarello
chiesa san Rocco Gagliano, 25 novembre 2024.
Caro P. Gino e famigliari,
cari sacerdoti,
cari fratelli e sorelle,
lo sappiamo tutti: la morte della mamma procura un immenso dolore. Con la sua dipartita, si perde la sua indimenticabile presenza terrena, ricca di tenero affetto e di sollecitudine. È questo il primo aspetto del mistero della morte, il più evidente, il più doloroso: tutti i legami sembrano improvvisamente dissolversi come la rugiada al primo chiarore del mattino. La nostra vita è fin dal principio un intreccio di relazioni, di vincoli di sangue, di sentimenti di amicizia e di affettuosi rapporti. Quando a morire è la mamma ci si rende conto che muore anche una parte di noi stessi.
Certo, rimangono i ricordi. La vostra casa parla ancora di lei. È stato il luogo dove la vostra famiglia hanno vissuto con semplicità le relazioni interpersonali. Quanti ricordi riaffiorano alla mente. Quanti gesti d’amore e di reciproca tenerezza, ripetuti nel tempo, riemergono dai più intimi e nascosti rivoli del cuore. Quanta nostalgia invade l’anima al pensiero che tutta la propria vita ha avuto inizio nel grembo materno. Per questo la morte della mamma non avviene mai nella solitudine. Una mamma muore sempre in compagnia dei suoi figli. Essi sono scolpiti indelebilmente nel suo cuore, nelle più segrete fibre del suo essere, fin nell’intimità del suo pensiero. E voi, cari P. Gino e famigliari, soprattutto in questo ultimo periodo della sua sofferenza, l’avete circondata del vostro affetto nella convinzione che il suo cuore di madre, alle soglie dell’eternità, sarebbe rimasto in attesa di potervi riabbracciare.
È lo stesso sentimento che ha ispirato il poeta Giuseppe Ungaretti, nella sua celebre poesia dedicata alla madre dopo la sua morte, a cantare il valore eterno dell’amore del figlio per la madre e dell’amore della madre verso il figlio. L’immagine è carica di una soffusa e delicata dolcezza. La madre, in ginocchio quasi fosse una statua davanti all’eterno amore di Dio, trema con le braccia alzate, protese a intercedere e a desiderare per il figlio il bene più grande.
La convinzione che la morte non ha il potere di spezzare il legame viscerale tra madre e figlio permette al poeta di non aver paura della morte, convinto che l’incontro oltre la morte con la madre sarà il momento nel quale il loro amore troverà nuova linfa vitale. La madre, infatti, anche dopo la sua morte, rimarrà in attesa che il figlio la raggiunga in paradiso per offrirgli la sua mano come quando era bambino. Rimarrà vigile e in silenzio davanti al trono di Dio in attesa che egli pronunci su di lui il suo giudizio di misericordia. Allora i suoi occhi brilleranno di gioia. Riascoltiamo gli struggenti versi della poesia: «E il cuore quando d’un ultimo battito / avrà fatto cadere il muro d’ombra / per condurmi, madre, sino al Signore, / come una volta mi darai la mano […]. E solo quando m’avrà perdonato, / ti verrà desiderio di guardarmi. / Ricorderai d’avermi atteso tanto, / e avrai negli occhi un rapido sospiro»[1].
D’altra parte, la fede ti spinge a pensarla morente con Cristo, sapendola già risorta con lui. Rimarrà così per sempre una presenza invisibile, sempre colma d’amore e di trepidazione. Vivente in Cristo, vostra madre ha ulteriormente reso stabile il suo affetto materno. Lo suggerisce, con delicata attenzione, sant’Agostino, a una vergine che piange la morte del fratello. Così egli scrive: «È motivo di lagrime il fatto che non vedi più tuo fratello, che t’amava e ti venerava moltissimo per la tua vita […]. Quando il pensiero corre a questi particolari e ricorre la forza prepotente dell’abitudine, si riceve una fitta al cuore e ne sgorga il pianto, quasi fosse sangue. Il tuo cuore però sia in alto e i tuoi occhi saranno asciutti. Se ti addolora la perdita di questi diletti, che sono passati secondo il corso del tempo, non per questo si è spento l’amore […]; esso invece rimane custodito nel suo prezioso scrigno ed è nascosto con Cristo nel Signore»[2].
In questi ultimi anni, segnati anche dalla malattia, la vostra casa è diventata quasi una Chiesa domestica dove la scansione del tempo invece di essere monotona ripetizione, ha mostrato la perenne novità che scaturisce in ogni istante, quando il pensiero e il cuore sono pieni della coscienza che Dio, come Padre buono, non farà mancare nulla e donerà quanto è necessario per continuare a vivere. Allora si scopre che il dolore è la premessa di una promessa. Se è duro da accettare il distacco da vostra madre, una grande consolazione pervadere il cuore: la certezza che la sua anima e tutta la sua vita sono nelle mani di Dio. Mentre, con tristezza, affidiamo alla terra il suo corpo nell’attesa della beata risurrezione, rinnoviamo la speranza che ogni faticoso dolore troverà smisurata ricompensa nella gioia di Dio.
Si verifica così un singolare mistero: noi che siamo stati accompagnati da lei nell’ingresso alla vita terrena, ora, in forma tutta speciale e sommamente vera, la accompagniamo alla porta d’ingresso della vita eterna. Apparentemente è come se quel flusso di amore, garantito dalla sua presenza, si interrompesse. In realtà esso si rafforza.
Tutta la vita chiede eternità. E ancora di più la esige la morte. Tutto è per l’eterno. Ogni piccolo o grande dolore. Niente va perduto. Non c’è lacrima che non viene asciugata e raccolta nell’otre divino. Anche la morte, nascosta nel suo impenetrabile manto, lo sa. La sua oscurità serve solo a velare e a svelare la luce dell’’eternità. Eterno, infatti, è l’amore ricevuto dal mistero della nascita. Fin dal primo istante, il mistero ha assunto il volto dolce e tenero, attento e premuroso di vostra madre.
Caro P. Gino, il suo sorriso di ieri ti ha svegliato alla vita, il suo silenzio di oggi spalanca davanti a te e a noi la porta del cielo. Così anche noi possiamo intravedere la comunità dei santi, raccolta nella nuova Gerusalemme, a cantare con gioia le lodi alla santissima Trinità. Riunita attorno a Colui che è seduto sul trono, la schiera degli angeli e dei santi intona l’inno di ringraziamento: «Tu sei degno, Signore Dio nostro, di ricevere la gloria, l’onore e la potenza, perché tu hai creato tutte le cose, e per la tua volontà furono create e sussistono». Anche tua madre, rivolta verso all’Agnello, proclama a gran voce con l’assemblea celeste: «Tu sei degno di prendere il libro e di aprirne i sigilli, perché sei stato immolato e hai riscattato per Dio con il tuo sangue uomini di ogni tribù, lingua, popolo e nazione». Con questa celebrazione ci uniamo anche noi, pellegrini nella speranza, e insieme a questo immenso coro osiamo dire: «A Colui che siede sul trono e all’Agnello lode, onore, gloria e potenza, nei secoli dei secoli» (Ap 4,11- 5, 9. 13-14). Prostrati in adorazione del mistero ineffabile della Trinità, esclamiamo con fede: «Amen, alleluia» (cf. Ap 5, 14).
[1] G. Ungaretti, La madre (1930) in Id., Il sentimento del tempo, Vallecchi, Firenze, 1933.
[2] Agostino, Lettera, 263, 2.
clic qui per l’articolo sul sito della Diocesi di Ugento – S. Maria di Leuca
