Omelia nella Messa della professione solenne di suor Orsola di Cristo Re
Chiesa Cattedrale di Ugento, 26 gennaio 2025.
Cara suor Orsola di Cristo Re,
circondata dall’affetto e dalla preghiera delle tue consorelle, davanti alla comunità ecclesiale riunita in questa Chiesa Cattedrale per la celebrazione domenicale emetterai la tua professione solenne nell’Ordine delle Clarisse Cappuccine. Ti affiderai con tutto il cuore a questa famiglia religiosa perché con l’aiuto delle tue consorelle porti a compimento la tua totale donazione a Cristo e alla Chiesa. Come l’episodio di Nazaret rappresenta l’inizio della vita pubblica di Gesù, così questo rito liturgico segna la definitiva aggregazione alla comunità monastica di Alessano.
Il Nazareno ossia il Germoglio
Secondo il vangelo di Luca, la vita pubblica di Gesù inizia con queste parole: «Venne a Nàzaret, dove era cresciuto e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga» (Lc 4, 16). Il nome del paese di origine qualificherà anche la persona di Gesù. Sarà chiamato, infatti, “Gesù il Nazareno”, il “rabbi di Nazareth”. Sulla croce Pilato farà scrivere: «Gesù, il Nazareno, il re dei giudei» (Gv 19,19). Anche i suoi primissimi seguaci, prima di essere chiamati cristiani (cfr. At 11,26), saranno definiti nazareni.
Il nome ebraico “Nazareth” riveste, pertanto, una certa importanza nella definizione dell’identità di Gesù. Mai citato dall’Antico Testamento, Nazaret, paese da cui non sarebbe venuto mai niente di buono (cfr. Gv1,46), deriva dalla radice verbale “naszar”, che significa “germoglio”. Secondo il famoso storico e papirologo neotestamentarista Carsten Peter Thiede, il nome deriverebbe da un clan dei naszar[1] (“discendenti”) del re Davide, di ritorno dall’esilio babilonese. Al tempo dei Maccabei, essi quasi fossero una sola famiglia patriarcale, ripopolarono la collina dove c’era l’antico villaggio abbandonato da secoli e pertanto chiamarono Nazareth il borgo che rifondarono.
Di questa famiglia, Gesù è il “naszar”, il germoglio, il virgulto, il rampollo, il fiore di Davide. La comparsa di questo mirabile germoglio è rivelazione e culmine dell’amore di Dio. Il vento che lo muove non è una semplice brezza, ma l’energia dello stesso Spirito Santo. I suoi sette doni (cfr. Is 11,2) sono i volti di quell’amore divino la cui tenerezza, intensità e totalità può essere paragonata all’amore materno.
La mistica inglese Giuliana di Norwich (8 novembre 1342 – Norwich 1416) ci dà una splendida conferma dell’ineffabile amore con cui Dio ci circonda: «Vidi con assoluta sicurezza […] che Dio prima ancora di crearci ci ha amati, di un amore che non è mai venuto meno, né mai svanirà. Ed in questo amore egli ha fatto tutte le sue opere, e in questo amore egli ha fatto in modo che tutte le cose risultino utili per noi, e in questo amore la nostra vita dura per sempre. Nella nostra creazione abbiamo avuto un inizio, ma l’amore nel quale ci ha creati era in lui da sempre, senza principio. In questo amore noi abbiamo il nostro principio, e tutto questo noi lo vedremo in Dio senza fine»[2].
Un germoglio nel monastero della Trinità
La parola “germoglio” è particolarmente significativa. Fa venire alla mente l’immagine dell’Eden, il giardino delle delizie, della riconoscenza, della gratitudine e della convivenza con Dio (cfr. Gen 2,9-10). Richiama anche gli altri giardini presenti nella Bibbia: il giardino d’amore del Cantico dei cantici, quello delle brame verso la casta Susanna, il giardino di solitudine del Getsemani, il giardino della gioia dove Maria Maddalena, nel giorno di Pasqua, davanti al sepolcro vuoto, non avendo riconosciuto Gesù, si rivolge a lui, «pensando che fosse il giardiniere» (Gv 20, 15).
La Chiesa è “giardino di Dio” nel quale il divino giardiniere[3] custodisce, corregge e consola il suo popolo. Nonostante la diversità dei terreni, l’efficacia del seme, che cade sulla terra buona, è garantita da un risultato straordinario. Per bocca del profeta Isaia, il Signore stesso ci assicura che la sua parola «non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata» (Is 55,11). Affascina il lavoro di questo esperto giardiniere che taglia senza ferire, cura senza prevaricare, attende senza disperare.
Care sorelle, anche il monastero di Alessano può essere paragonato al “giardino della Trinità”, nel quale è spuntato un nuovo germoglio, una nuova vocazione. Il grande maestro spirituale, Jean-Pierre de Caussade (1675-1751), nel suo libro L’abbandono alla Provvidenza divina, scrive: «Niente può sfuggire al divino sguardo; esso si posa sui più piccoli fili d’erba come sopra i cedri. I granelli di sabbia sono sotto i suoi piedi così come le montagne; ovunque voi posiate il piede, lui è passato».
Cara suor Orsola di Cristo Re, come un esperto giardiniere, Dio ti ha guardata, ti ha chiamata e ha gettato il seme della sua parola nel terreno della tua vita. Tu hai ascoltato la sua voce, hai seguito la sua persona e, questa sera, rispondi affermativamente alla sua parola. Il tuo canto di gioia penetra nel nostro cuore con i versi del poeta Tagore: «Quando il mio diletto giunge e si siede al mio fianco, / quando il mio corpo freme e le mie palpebre s’abbassano, / la notte s’oscura, il vento spegne la lampada, / e le nubi stendono veli sopra le stelle. / Allora il gioiello sul mio seno brilla e risplende. / E io non so come nasconderlo»[4].
La tua vocazione monastica è come un fulgido gioiello che illumina il tuo cuore; una luce soffusa e non abbagliante; un piccolo seme immerso nel terreno; una storia che arricchisce la comunità monastica di Alessano e diventa germe di speranza per la nostra Chiesa particolare. A chi va in cerca dei segni grandiosi e convincenti, Dio risponde con l’umiltà dei suoi interventi. Il regno di Dio è il più piccolo di tutti semi, è solo come un granellino di senape o una quantità insignificante di lievito. Dio comincia sempre dal basso, non ama i gesti eclatanti e clamorosi, gli basta soltanto un semplice “sì” per farsi vicino.
Ora, cara suor Orsola di Cristo Re, il dono divino piantato nel tuo giardino deve germogliare, fiorire e fruttificare. Conosci gli elementi essenziali della vita monastica[5]. Essi si condensano nella contemplazione del volto di Cristo: l’amore appassionato per il Signore deve, giorno per giorno, sostenere la ricerca del suo volto e la relazione personale con lui; la consegna e l’abbandono della tua persona a lui nella solitudine abitata del chiostro deve far fiorire la vita fraterna in comunità; lo sguardo, trasfigurato dallo Spirito, in cui fiorisce lo stupore per Dio e per le sue meraviglie deve intravedere e accogliere ogni giorno, con rinnovato stupore, il Signore, la sola cosa necessaria l’unum necessarium (cfr. Lc 10,42), che ridimensiona ogni cosa e dona al tempo una nuova luce.
Germogliare, fiorire e fruttificare vuol dire far risplendere la vita fraterna. La vita consacrata non vuole attirare l’attenzione su di sé, ma sulla comunità. Nel monastero si celebra la spiritualità dell’appartenenza, l’avventura dell’affidamento, la profezia della convivenza fraterna. In esso, deve risplendere non l’unità della simpatia, ma la comunione nella docilità allo Spirito; non l’uniformità dei pensieri e degli affetti, ma la varietà delle relazioni e dei sentimenti. La mistica della comunità è offerta come profezia, provocazione e chiamata alla conversione. La vita fraterna consiste nella decisione di costruire legami, di praticare l’obbedienza come forma di amore nella mirabile e armonica polifonia di voci che si accordano insieme. Sarà questo, cara suor Orsola e voi tutte consorelle, il vostro modo per svegliare il mondo: essere testimoni di comunione. La vostra presenza nella diocesi sarà connotata dal dialogo e dall’apertura, dall’ascolto e dal consiglio, dalla preghiera e dal silenzio.
Ascoltate allora l’esortazione di santa Chiara e vivete conformando la vostra vita alla sua. Con le parole rivolte a sant’Agnese di Praga, ella esorta dolcemente ognuna di voi: «Contemplando le indicibili sue (di Cristo) delizie, ricchezze e onori perpetui e sospirando per l’eccessivo desiderio e amore del cuore, proclami: “Trascinami dietro a te, corriamo seguendo l’odore dei tuoi unguenti, sposo celeste! Correrò e non verrò meno, finché tu non m’introduca nella cella del vino, finché la tua sinistra non sia sotto il mio capo e la tua destra non mi abbracci felicemente, e tu mi baci con il più felice bacio della tua bocca”»[6].
La gioia del Signore sia la vostra forza!
[1] Innumerevoli sono i passi di Isaia in cui Gesù è profetizzato come “il naszar” di Dio e del suo popolo, “il germoglio” di Davide, il più bel “fiore” della sua stirpe. «Un ramoscello (khòter, “ramo”) uscirà dal tronco di Jesse e un germoglio (nètser)] spunterà dalle sue radici, su di lui si poserà lo Spirito del Signore» (Is 11,1); «una cosa nuova proprio ora mette germoglio» (Is 43,19); «è cresciuto come un virgulto davanti a lui» (Is 5,2). In Ger 23,5 e Zc 3,8; 6,12 il termine è tsèmakh.
[2] Giuliana di Norwich, Il libro delle rivelazioni, Edizioni Àncora, Milano 1984, cap. 86, p. 320.
[3] Cfr. C. Boureux, Dio è anche il giardiniere. La creazione come ecologia compiuta, Queriniana, Brescia 2016.
[4] R. Tagore, Il giardiniere, Newton Compton, Roma 2010, IX.
[5] Cfr. Francesco, Vultum Dei quaerere, 9-11.
[6] Chiara d’Assisi, Quarta lettera alla beata Agnese di Praga, 28-32.
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