Nell’omelia dell’arcivescovo metropolita di Leccemons. Angelo Raffaele Panzetta, l’11 luglio scorso in occasione della inaugurazione del suo ministero episcopale nella gremita Piazza Duomo, è emersa tutta la potenza del suo programma per la diocesi di Lecce.

 

 

Potenza efficace della Parola, Sapienza che viene dall’Alto, densità spirituale, preziosità della vita, umiltà, responsabilità educativa, prudenza, giustizia, autorevolezza nell’esempio, niente sconti alla preghiera, valenza educativa del magistero dei santi: sono solo alcuni passaggi della sua narrazione biblica di forte impatto umano, in risposta all’interrogativo “Come si fa a costruire una vita buona?”.

Il concetto di bene, fondamento dell’orientamento di ogni iniziativa umana, per il cristiano autentico diventa valore assoluto relativo all’oggetto dell’atto morale.

Ma cosa si intende per valore? Tutta l’omelia del presule conduce nell’unica direzione possibile per chi crede: una vita di valore consiste nello scoprirne il senso. E questo avverrà solo quando c’è esemplarità nella coerenza con la fede in Dio, che non è solo sulle labbra ma nelle opere.

La preghiera e l’affidamento aiutano a rispettare l’ordine naturale delle diverse funzioni della vita umana: il piacere e la soddisfazione sono cose buone per sé, ma non come valore ultimo, che è il bene e il fine a cui devono essere connesse e ordinate. 

Ecco, allora, la necessità di fondare il concetto stesso di persona, che è uomo completo in tutte le sue componenti legate alla natura umana.

Bene della persona è quello che promuove la sua integrità; ogni riduzione del suo sviluppo personale è moralmente negativo. Già per Kant l’uomo deve essere considerato sempre come fine e mai come mezzo; per il Vaticano II “tutto ciò che vi è sulla terra è ordinato all’uomo come al suo centro e al suo culmine” (Gaudium et Spes, 12). 

La unicità di ogni uomo ne determina il valore proprio e incalcolabile, nella misura in cui si scopre che la sua umanità si sviluppa quando non rimane in sé stesso ma si trascende. Il primo dei compiti morali è, quindi, l’amore che realizza l’uomo in relazione, e la relazione assoluta è quella con Dio

Ma allora quale gerarchia seguire nella vita cristiana? 

Oggi la radicata mentalità edonista ha commesso un errore in contraddizione dei termini: promette la felicità ma non riesce a spiegare cosa sia; incita alla negazione della fatica e dell’impegno, appiattendo le potenzialità individuali. Conduce semplicemente alla banalità dell’agire umano, al quale non viene consentito di esprimere le differenze in un’ottica di valori assoluti. Soltanto il superamento di sé, invece, consente all’uomo di sviluppare le sue piene facoltà, elevando la soglia del valore personale. 

Il modello di Cristo offre sia al credente che al non credente un esempio che non deve far paura. Il confronto con i grandi (anche santi) crea inadeguatezza e timore. Ma “la misura alta della vita cristiana ordinaria”, di cui parla Giovanni Paolo II (Novo millennio ineunte, 31), è la cifra dell’esistenza. Un ideale di perfezione così elevato come quello del cristianesimo è alla portata di tutti, nelle condizioni ordinarie della vita di ciascuno di noi. Chiunque può aspirare alla santità.  

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