Nella gioia dell’imminente festa dei Santi Oronzo, Giusto e Fortunato, patroni della città e della Chiesa di Lecce che già inizia a pregustarsi, l’arcivescovo metropolita di LecceAngelo Raffaele Panzetta ha presieduto ieri sera nella chiesa cattedrale la solenne concelebrazione eucaristica nei primi vespri della XXI Domenica del Tempo Odinario durante la quale ha conferito il sacramento della confermazione ad alcuni giovani adulti provenienti dalle comunità parrocchiali della diocesi.

 

 

Accanto al presule, il parroco della cattedrale e delegato arcivescovile ad omnia don Vito Caputo. 

Panzetta, nella sua omelia (IL TESTO INTEGRALE) ha subito avuto un pensiero per chi si accingeva ad accostarsi alla cresima, evento che segna per il cristiano una adultità nella e per la fede. Al dir dell’arcivescovo di Lecce, infatti, la confermazione non è soltanto il portare a compimento l’itinerario della iniziazione cristiana quanto la capacità di saper stare dinanzi al Signore per essere suoi testimoni.

Così il pastore leccese: “Questi giovani, attraverso il dono del Sacramento della cresima, portano a compimento la prima formazione. Adesso sono in grado di essere annunciatori del Signore Gesù. Sono in grado di essere testimoni del suo amore. E questa abilitazione non viene solo dalla formazione che hanno ricevuto, non solo dalle loro energie umane e culturali, ma viene dall’alto. È lo Spirito che renderà questi giovani testimoni nel mondo”.

Per rendere, allora, attuale questo itinerario che nella vita cristiana è essenziale, la Parola del giorno ha donato alcuni fasci di luce utili ad illuminare il cammino dei presenti.

Nella prima lettura, tratta dal Libro del profeta Isaia, è stato plasticamente svelato il sogno del Signore per ogni uomo: che tutti possano avere accesso alla salvezza. Pertanto, emerge la figura di un Dio che è Padre e che ha a cuore la sorte di ognuno dei suoi figli.

Suggestive, a tal proposito, le parole di Panzetta: “Dio ha in mente di radunare tutti i popoli, a qualsiasi nazione appartengano, qualsiasi sia la loro lingua, Dio ha in mente di radunare tutti. Dio vuole la salvezza di tutti e in quei ‘tutti’ c’è ciascuno di noi. Dio ha in mente un disegno salvifico, Dio vuole che nessuno di noi manchi al banchetto del suo regno.

Quindi i posti non sono contati”.

“Ogni tanto – osserva – bussano alle porte delle nostre case per dirci che bisogna stare nel novero del piccolo numero dei salvati, non è così. Il cuore di Dio è grande e nel cuore di Dio c’è posto per ciascuno di noi. Tutti noi siamo chiamati a partecipare a questo banchetto di feste e questa immagine è molto bella. Quando pensiamo alla vita eterna, al futuro che ci attende, dovremmo pensare alle belle feste che facciamo a casa alle quali v’è posto per tutti”.

Scaturisce da qui il modo per accedere a tale salvezza a portata di mano: il Vangelo di Luca, infatti, parla di una vita da discepoli come cammino per cercare di entrare nel mistero di Cristo attraverso una porta stretta, una porta che chiede a chi ha in mente di varcarla la capacità di saper emulare il Maestro Gesù per la possibilità di sapersi fare piccoli.

Incalza il pastore: “Quando una porta è stretta uno si impegna ad entrare. Non si entra a caso in una porta stretta, c’è bisogno di volerlo fare. E la porta stretta è la sequela. La porta stretta per entrare nel banchetto definitivo, quello escatologico, è proprio la via della sequela, la via della croce. Ma la porta è stretta anche perché bisogna farsi piccoli per entrare. Si entra nel banchetto di Dio non da presuntuosi, non come persone che guardano gli altri dall’alto in basso, ma per entrare nel banchetto della vita bisogna farsi piccoli con una vita sobria che assomiglia a quella di Gesù”.

Da ultimo il presule, provocato dalla seconda lettura tratta dalla Lettera agli Ebrei, ha inteso rispondere ad un quesito che è basilare per il cristiano che sceglie di vivere in Dio: quale è il senso delle prove che ci sono durante il cammino esistenziale?

Nel pensiero dell’arcivescovo di Lecce, quindi, le prove non sono un qualcosa di accidentale ma fanno parte dell’itinerario esistenziale durante il quale bisogna impegnarsi a crescere, a migliorare e a vivere secondo il pensiero di Dio.

Ancora il pastore della Chiesa di Lecce: “Le prove della vita nessuno deve andarsele a cercare, ma siccome per la nostra fragilità e quella fragilità degli altri prima o poi le prove bussano alle porte di tutti noi. Queste prove, se accolte e vissute con maturità, possono aiutare le persone a diventare migliori. Può sembrare paradossale questo messaggio, ma i più adulti presenti nella comunità, ad uno ad uno, potrebbero venire qui al microfono e a dirci ho passato questo guaio ma sono diventato migliore, ho passato questo disagio ma ho capito meglio la vita degli altri. Le prove della vita possono diventare un’occasione per accogliere la nostra fragilità e diventare migliori”.

Un piccolo vademecum è stato consegnato dall’arcivescovo di Lecce a tutta l’assemblea radunata nella cattedrale e, per suo tramite, a tutta la comunità diocesana a lui affidata: si tratta, pertanto, di accogliere tali indicazioni nella luce dello Spirito per permettere al Signore di portare a compimento l’opera che ha iniziato in ogni credente nel giorno del Battesimo e che deve vedere il battezzato quale creatura capace di tradurre in opere il Vangelo della Grazia.

 

 

Racconto per immagini di Valeria Marrella.

 

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