Si concludono questa sera, 9 settembre, nella comunità parrocchiale di San Sabino in Lecce, i festeggiamenti per il venticinquesimo anniversario di ordinazione presbiterale del parroco don Sandro Quarta. Stasera la messa giubilare sarà presieduta dall’arcivescovo Angelo Raffaele Panzetta.

 

 

 

Sfogliando l’album dei ricordi si scopre che è nato a Lecce 51 anni fa e che è stato battezzato presso la parrocchia di San Guido da don Pasquale De Luca, che lo ha accompagnato nella formazione fino alla sua morte nel 1996, seguendolo sino all’ammissione agli ordini. Il parroco successivo, don Gino Sergio lo ha seguito fino all’ordinazione. 

Don Sandro è entrato in seminario in seconda media e ha frequentato per sei anni il Seminario Maggiore di Molfetta. Esperienze che hanno lasciato il segno nella sua vita di chiamato al sacerdozio? Il diaconato nella parrocchia di Mater Ecclesiae in Castromediano e, appena ordinato, per i primi sei anni viceparroco presso la parrocchia del Sacro Cuore a LeccePoi, per due anni viceparroco presso la comunità di San Giovanni Vienney e per altri due anni a San GuidoIn seguito, dal 2010 al 2019, è stato parroco presso Maria Regina Squinzano e dal settembre 2019 è la guida spirituale e pastorale della comunità di San Sabino. Altri incarichi: assistente diocesano di Azione cattolica dal 2006 al 2011 nel settore giovani e dal 2011 al 2020 nel Movimento studenti, che in quel periodo riprendeva la propria attività. Contemporaneamente dal 2014 al 2021 assistente regionale per il movimento studenti di Azione cattolica. 

 

Don Sandro, come è nata la tua vocazione?

Quasi per caso, ma non per caso. Sono entrato in seminario insieme ad un mio compagno di parrocchia. Lui inizialmente più convinto di me, io quasi per una sfida con me stesso. Sono di quella generazione che usciva dalla scuola e finiti i compiti a casa andava in parrocchia per giocare a biliardino e don Pasquale ci faceva giocare, recitare il rosario, andare a messa e, poi, giocare per un altro po’ di tempo. Ho percorso questi cammini a 11-12 anni, vivendo anche l’esperienza del ministrante e, oltre il catechismo, il lunedì pomeriggio frequentando l’Acr con i miei compagni.

 

Quanto è stata determinante per la tua vocazione la figura di don Pasquale?

È stato un secondo padre. Di lui ricordo tanto, dalla presenza ai rimproveri anche perentori fino all’ultima sorpresa che mi fece quando ormai stava già male: un mese e mezzo prima di morire venne in cattedrale quel mercoledì santo del 1996 al momento dell’ammissione al diaconato. Fu la sua ultima uscita, quella messa crismale con l’arcivescovo Cosmo Francesco Ruppi. Ma don Pasquale era un riferimento per tutto il quartiere.

 

E i tuoi genitori?

Mio padre è morto quando avevo nove anni, mia madre, Carmela, dopo cinque anni di ordinazione. Vengo dalla classica famiglia cristiana, soprattutto per merito di mia madre, donna di grande preghiera, vita molto semplice nella parrocchia, ma sempre presente. È stata certamente un riferimento importante, come per tutti i sacerdoti la propria mamma. Mio padre diceva che se mi avesse visto fare un cammino in seminario non mi avrebbe ostacolato.

 

Qualche aneddoto di questi 25 anni di sacerdozio?

In 25 anni esperienze ne ho fatte tante. In queste occasioni ti guardi indietro e vedi tante situazioni belle, qualche gaffe che hai combinato, persone che hai avuto la possibilità di conoscere, ascoltare, grandi personalità come nel corso di campi scuola nazionali o in altre circostanze, quali ad esempio la visita di San Giovanni Paolo II a Lecce, l’udienza di Papa Francesco, don Ciotti, incontrato in segretezza in parrocchia a San Sabino. Ma anche la consuetudine con i ragazzi. In effetti, i primi quattro anni dopo il diaconato ho insegnato religione presso la scuola media “Dante Alighieri” e poi in vari licei e scuole superiori. Ma, con dispiacere, ho dovuto lasciare l’insegnamento. Ad oggi non ho sogni nel cassetto, ma per me “age quod agis”, cioè “fare bene quello che fai” è la cosa più importante.

 

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