È calato il sipario sui festeggiamenti in onore dei santi patroni della città e della Chiesa di Lecce, Oronzo, Giusto e Fortunato ed è calato con una solenne concelebrazione eucaristica presieduta ieri nella chiesa cattedrale dall’arcivescovo metropolita di Lecce mons. Angelo Raffaele Panzetta nella memoria liturgica di Santa Monica.

 

 

La celebrazione di ieri è stata occasione propizia per elevare l’inno di ringraziamento e di lode per un tempo che spiritualmente ha portato numerosi benefici a tutta la comunità diocesana leccese.

L’omelia del presule (IL TESTO INTEGRALE), almeno nelle battute iniziali, è stata un volgere lo sguardo grato e stupito alla propria vita toccata da un passaggio importante del Signore nella sua storia personale – ricorre oggi, 28 agosto, il primo anniversario del trasferimento di Panzetta a Lecce inizialmente come arcivescovo coadiutore –  e un lodare e benedire il Datore di ogni bene per una mattinata di fraternità vissuta con il proprio presbiterio  presso l’oratorio “Santa Maria del Popolo” di Surbo (LEGGI).

Belle, dunque le parole di Panzetta a riguardo: “Sono particolarmente grato a Dio per la giornata che abbiamo vissuto oggi. Questa mattina ci siamo recati in una parrocchia di Surbo, Santa Maria del Popolo. E lì, nell’oratorio, abbiamo vissuto un incontro in cui al centro c’erano i preti anziani, i preti maturi, quelli che vanno dai settant’anni in poi […]. Si è radunata una bella famiglia sacerdotale. C’erano anche i preti giovani e i seminaristi della nostra diocesi. È stata una bellissima giornata perché, voi sapete, il presbiterio nella comunità cristiana, l’unione dei presbiteri insieme al vescovo, è un elemento fondamentale della vita della Chiesa. […] Abbiamo vissuto una giornata di comunione profonda e ce ne siamo tornati a casa con il desiderio di servire il Signore ancora con più vigore, ancora con più decisione, ancora con più totalità nel cuore”. 

“A questa gratitudine aggiungo ancora un’altra caratteristica – così ha continuato il presule -, ricordo l’anno scorso come oggi per me era una giornata tragica e bella nello stesso tempo.[…] Il giorno successivo, il 28, a Crotone avrei annunciato il mio trasferimento a Lecce e non vi nascondo che non ho dormito per tutta la notte del 27 agosto dell’anno scorso; non ho chiuso occhio, perché i cambiamenti nella vita non sono mai facili: tanti interrogativi, anche il dispiacere di lasciare una realtà alla quale mi ero profondamente legato. Però, ricordo, ancora all’alba, la preghiera di affidamento al Signore: mi sono messo nelle mani sue e a distanza di un anno non sono pentito di questo, sono contento che il Signore mi abbia dato la grazia di dire sì, mi abbia dato la grazia di venire qui a Lecce con gioia”.

È stata poi la Parola, la bussola in grado di permettere ai presenti di riflettere sul proprio modo di vivere il discepolato.

Chi è, dunque, il credente? Non semplicemente un collezionatore di riti ma una persona che si è lasciata incontrare dalla Parola del Signore e ha riscontrato in quella Parola vitalità e una performatività che hanno permesso ad essa di realizzare ciò che significa e di portare la luce di Dio.

Ecco le parole dell’arcivescovo di Lecce: “La Parola di Dio opera all’interno dei cuori, è una realtà che ha una potenza, un’efficacia tale da farla penetrare nel nostro intimo e di operare. Quando noi ascoltiamo con il cuore disponibile, quando noi spalanchiamo il cuore alla Parola, la parola non solo entra ma ci cambia, la parola opera nella nostra vita, chirurgicamente toglie il male, toglie le scorie delle esperienze negative e porta la luce di Dio”.

L’avventura del battezzato, tuttavia, è molto esigente come testimoniato dalla prima lettura del giorno tratta dalla Lettera di San Paolo ai Tessalonicesi, perché va a toccare un aspetto peculiare e notevole dell’essere credenti e cioè fare sul serio con il Signore, avere una vita che non sia superficialmente cristiana ma una vita nella quale Dio sia il perno, dunque, una vita che piaccia a Dio.

Ecco le parole di Panzetta: “Il cristiano non può essere un educatore disinteressato, proprio perché porta la Parola di Dio, porta Dio, deve essere un riflesso vivo della sua paternità. E Paolo proprio perché si sente padre di queste persone (i Tessalonicesi, ndr) che gli sono affidate, ha offerto loro un criterio di vita molto esigente. Paolo ha scongiurato quelli di Tessalonica perché vivano una vita che piaccia a Dio”.

Proprio all’interno di questo itinerario, allora, la pericope evangelica giornaliera ha suggerito un ulteriore step per il cristiano: il rischio da evitare nella vita credente è la dualità di chi propone di sé un’immagine che poi non è quella corrispondente alla realtà, una immagine in grado di generare nella vita del battezzato una sorta di dualità tra ciò che si é e ciò che si fa.

Panzetta, a tal proposito, mette in guardia l’assemblea da lui presieduta con queste parole: “Non si può essere ipocriti con Dio, perché Dio ci conosce da dentro. Egli conosce il nostro cuore, legge nella nostra anima. Addirittura, Egli ci conosce meglio di quanto noi ci conosciamo, per questo è inutile provare a imbrogliare Dio; provare a mentire a Lui; provare a proiettare dinanzi a Dio un’immagine di perbenismo che non corrisponde alla verità della nostra vita. Davanti a Dio siamo un libro aperto. E quando siamo davanti a Lui dobbiamo essere quello che siamo”.

L’ultimo accenno omiletico del presule ha posato lo sguardo si è posato su Santa Monica, una donna in grado di portare il marito alla conversione ma, soprattutto, di portare il figlio, Sant’Agostino, ad un passaggio decisivo della propria storia: da una vita dissoluta e dedita ai piaceri ad una vita col Signore.

Ecco le parole conclusive di mons. Panzetta: “Guardando a Santa Monica pensavo quanto è opportuno aiutarsi soprattutto nelle nostre famiglie a scoprire la verità e il vero. Quanto è importante che i genitori accompagnino i figli anche nei momenti drammatici della vita, soprattutto nella giovinezza, nell’adolescenza, quando sembrano mettere tutto in discussione. Noi dobbiamo continuare ad amarli, dobbiamo accompagnarli con la nostra preghiera e soprattutto offrire loro una buona testimonianza. La testimonianza vale più di tutte le parole e incide nei cuori anche delle nuove generazioni”.

Numerosi, allora, gli spunti di riflessione, unico l’obiettivo: portare la Chiesa di Lecce di cui l’arcivescovo Angelo Raffaele Panzetta è pastore e padre a compiere un passo decisivo e consapevole verso il Signore, meta e segreto della vita di ogni battezzato.

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