È uscito da poche settimane il libro postumo “Il mio San Francesco”. Un volume che raccoglie i dialoghi che negli ultimi mesi Papa Francesco ha avuto con il cardinale leccese (di Monteroni), don Marcello Semeraro e che contiene anche una lettera di Leone XIV.
L’idea di questo libro “nacque all’inizio dello scorso anno – racconta il porporato leccese, prefetto del Dicastero delle cause dei santi, in un’intervista (LEGGI) pubblicata ieri dal Nuovo Quotidiano di Puglia a firma del ‘nostro’ Matteo Caione -, in vista dell’ottavo centenario della morte del santo di Assisi, che comincia proprio in questi giorni e che culminerà nel 2026. Ci siamo incontrati più volte tra l’autunno e l’inverno”.
“Io ascoltavo, trascrivevo, poi rileggevamo insieme – aggiunge Semeraro -. L’ultimo incontro, il 14 aprile scorso, il giorno del lunedì santo, è stato anche l’ultimo in assoluto. Gli chiesi se volesse rivedere le bozze e mi rispose sorridendo: ‘Questo è compito tuo’. Una settimana dopo ci ha lasciati. È diventato, suo malgrado, un testamento spirituale”.
Non immaginava, don Marcello, che dì lì a pochi giorni, dopo l’ultima Pasqua vissuta in mezzo al suo popolo, Papa Francesco avrebbe celebrato la sua Pasqua eterna: “Non c’era in me – ricorda nell’intervista – alcuna percezione di fine. Eppure, rileggendolo oggi, il testo rivela una consapevolezza profonda del tempo che passa. Papa Francesco parlava dell’età avanzata come di un momento in cui riconciliare i legami e prepararsi all’incontro con Dio. Diceva che non si può pensare di essere in pace con Dio se non si è in pace con le persone. La pace si prepara quaggiù”.
“Diremmo – osserva il prefetto – che l’incontro con Dio in qualche maniera è preparato dagli incontri, dalle relazioni che stabiliamo noi sulla terra: non posso essere un uomo che odia e immaginare di essere in pace con Dio. La scelta del nome di Francesco diventò una via spirituale. Lo si vede nella Laudato si’ e nella Fratelli tutti: il povero e il creato sono i due volti di Francesco che hanno segnato il magistero di Bergoglio. Il libro è come l’ultimo sguardo del Santo Padre sul mondo, visto attraverso gli occhi di San Francesco. Un invito alla pace, alla semplicità, alla fraternità, alla sacralità della vita”.
Non manca nell’intervista nella quale si ferma a lungo sulla tragedia di Gaza sui temi della pace “disarmata e disarmante”, il riferimento a don Tonino Bello, profeta di pace, che Semeraro ha conosciuto e frequentato soprattutto negli anni in cui il “profeta della pace” era vescovo di Molfetta, la città dove si trova il seminario regionale pugliese e dove l’attuale cardinale ha insegnato teologia per lunghi anni. Come si ricorderà, per don Tonino è in corso la causa di beatificazione proprio presso il Dicastero che Semeraro presiede: “don Tonino – afferma il prefetto rispondendo ad una specifica domanda di Caione – costruiva la pace con i gesti, con il potere dei segni. Era un uomo in cammino verso la pace. Anche da presidente di Pax Christi non si chiuse mai in un ufficio: andava tra la gente, disarmato e disarmante. La sua forza nasceva da una vita spirituale profonda, da una fede che lo spingeva a vedere nel volto dell’altro il volto di Dio. Ecco perché la pace, per lui, non era un’idea: era una vocazione. Per costruire la pace dobbiamo scorgere nell’altro il volto di Dio”.






