Conferenza Episcopale Pugliese
ISTITUTO PASTORALE PUGLIESE
Molfetta
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Alla luce degli Orientamenti Pastorali dell’Episcopato Italiano per il decennio 2010-2020 “Educare alla vita buona del vangelo”e della Traccia per il Cammino verso il 5° Convegno Ecclesiale Nazionale, l’Istituto Pastorale, su mandato della Conferenza Episcopale Pugliese ha elaborato un percorso di formazione e di preparazione che ha cercato di coinvolgere non solo i delegati diocesani, ma i presbiteri, i diaconi, i religiosi e le religiose, i docenti e gli studenti della Facoltà Teologica Pugliese, i laici e quanti potevano essere interessati alle tematiche proposte.
Il suddetto percorso si inaugurava il 17 gennaio 2015, presso l’Aula Magna del Pontificio Seminario Regionale “Pio XI” di Molfetta, con un’ampia cornice di presentazione, affidata a Mons. Angiuli che sintetizzava i punti salienti della Traccia del Convegno, attraverso il più opportuno filtro della realtà delle comunità locali in cammino. Premesse le attuali difficoltà relazionali che sembrano caratterizzare l’odierno umano, la Chiesa è chiamata a sviluppare una particolare attitudine al discernimento, metodo ereditato dal Concilio Vaticano II. È conveniente uscire, per abitare il quotidiano delle persone, sul presupposto che l’autenticamente umano va ricercato sul piano della concretezza di un incontro: quello con Cristo Gesù. È in questa prospettiva che il Convegno di Firenze prosegue il percorso inaugurato dal precedente di Verona. Le cinque vie proposte da Papa Francesco nella Evangelii Gaudium (uscire, annunciare, abitare, educare e trasfigurare) rappresentano strumenti indispensabili per operare un simile discernimento in quanto, intrecciandosi fra di esse, consentono di percorrere trasversalmente gli ambiti che quotidianamente abitiamo. D’altra parte, tutti i Convegni Ecclesiali, da Roma (1976) a Firenze (2015) – passando per Loreto (1985), Palermo (1995) e Verona (2006) – rappresentano altrettante tappe attraverso le quali la Chiesa si propone, secondo una significativa intuizione del Card. Tettamanzi, di tradurre il Concilio in italiano. La celebrazione dei Convegni, unitamente all’elaborazione di piani pastorali nei quali, al primato dell’evangelizzazione si accompagna lo stretto legame tra Parola, sacramento e vita, sono stati la scelta per operare la ricezione del Concilio, nell’ottica di una osmosi concreta e necessaria tra azione pastorale e vita parrocchiale. Dalla Parola, per mezzo del Sacramento, si giunge alla vita nuova; vita in cui la realizzazione dei nostri desideri è frutto dell’incontro con una Persona viva; nella quale carità e verità si coniugano nella direzione della veritas in caritate (S. Paolo) ma anche in quella della caritas in veritate, che libera da sterili sentimentalismi.
Sulla scorta di tali premesse, nella stessa sessione, trovavano voce le esperienze delle Chiese di Puglia sintetizzate nell’intervento di d. Francesco Zaccaria, parroco e docente di Teologia Pastorale presso la Facoltà Teologica Pugliese. Emergeva l’immagine di Chiese vive, capaci di impegnarsi concretamente e quotidianamente, in più ambiti, per realizzare percorsi di incontro con Cristo, senza trascurare le nuove sfide e i nuovi luoghi dei tempi moderni.
L’itinerario pugliese proseguiva, a questo punto, riflettendo sul tema Coltivare e custodire il creato. Educare al lavoro e alla salvaguardia del creato, nella giornata del 21 febbraio 2015, presso il salone della LUMSA in Taranto. Il saluto di mons. Santoro, Arcivescovo Metropolita di Taranto, introduceva il tema con un prezioso e doveroso richiamo alla necessità di guardare al più ampio contesto regionale e a volgere uno sguardo attento ed amorevole a tutto ciò che accade, rispondendo attivamente alle interpellanze del territorio e delle persone coinvolte. Siamo chiamati, sullo stile di Gesù, ad uscire dai recinti rassicuranti di sacrestie e aule liturgiche per andare incontro al mondo, rifuggendo la globalizzazione dell’indifferenza e praticando la globalizzazione della solidarietà e della speranza.
A ciò si riallacciano immediatamente le riflessioni del Sac. Prof Antonio Panico, Vicario episcopale per i problemi sociali e la custodia del creato, sociologo e Docente presso la stessa LUMSA. La prolusione, premessa l’affermazione della vocazione alla custodia del dono meraviglioso del creato quale vocazione di tutti, invitava innanzitutto a prendere consapevolezza delle condizioni dell’ambiente nel quale viviamo. Seguivano riflessioni e proposte sul ruolo del cristiano, anche attraverso il conveniente rinvio a documenti di matrice internazionale e del magistero pontificio. Paradigmatica è la condizione di Taranto, cui fa da sfondo il caso ILVA; campo nel quale s’intrecciano istanze umane differenti che non devono indurre il cristiano né al disinteresse, né alla disperazione. In senso propositivo, il cristiano è chiamato a contagiare il mondo con la propria speranza e a credere nel dialogo tra istituzioni e popolazione, alla ricerca di soluzioni ecocompatibili. Il cristiano ama e custodisce il creato in virtù di un particolare amore divino per il pianeta e per l’umanità secondo l’invito di Papa Francesco (Evangelii gaudium, n. 183). Se infatti fino agli anni ’60 non si poteva affermare l’esistenza di una coscienza ecologica, questa ha cominciato a prendere forma a partire dai primi anni ’70, in seguito alla presentazione degli studi del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ed alla elaborazione di una Dichiarazione (in seno alla Prima conferenza Internazionale delle Nazioni Unite) di 26 principi su diritti e responsabilità umane sull’ambiente e l’istituzione del programma UNEP. Ad esse corrispondeva la convinta adesione del magistero Pontificio espressa nell’Enciclica programmatica Redemptor Hominis (1979). È diventato necessario pensare che le conseguenze determinate dall’insufficiente salvaguardia del creato producono effetti economicamente deleteri, ai quali si sommano i tempi lunghissimi di intervento della burocrazia. Benedetto XVI già richiamava coraggiosamente ciascuno alla consapevolezza che l’attuale situazione di crisi pone improrogabilmente di fronte a scelte che riguardano il destino stesso dell’uomo. Questa la situazione dalla quale partire per riscoprire la chiamata alla custodia del creato, in un disegno d’amore che Dio ha pensato per l’uomo sin dall’inizio. Non una signoria sull’universo ma nell’universo. Affermava Giovanni Paolo II nella Sollecitudo rei socialis (1987) che è conveniente prendere consapevolezza che non si può impunemente fare uso delle diverse categorie di esseri viventi o inanimati a seconda delle proprie ragioni economiche.
Nella stessa giornata di lavori, il dott. Giuseppe Gigante, direttore regionale vicario di Inail, presentava la propria testimonianza giusto a partire da quest’ultimo contesto e dall’impegno, profuso dall’Istituzione Pubblica rappresentata, nel campo della sicurezza sui luoghi di lavoro; una sfida nella quale il tema della dignità del lavoratore e della sua sicurezza si lega a doppio filo con quello della produzione agricola e industriale. L’esperienza maturata registra purtroppo, quasi come eco alle osservazioni del precedente relatore, il drammatico primato di Taranto nel numero percentuale delle malattie professionali riscontrate a carico dei lavoratori e della popolazione residente nelle zone limitrofe agli insediamenti industriali. Contemporaneamente però si osserva un positivo aumento della consapevolezza della questione ambientale. Sul piano dell’integrazione delle esigenze di tutela ambientale con il sistema produttivo, si auspica il superamento di quella prospettiva negativa per la quale l’ambiente era visto come limite allo sviluppo industriale e la sicurezza sui luoghi di lavoro come impaccio alla produzione. Le attuali rilevazioni statistiche consentono, in questo senso, una valutazione, seppure indiretta, anche del contesto abitativo circostante, evidenziando l’urgenza di promuovere uno sviluppo che contemperi le esigenze della crescita economica, della tutela dell’ambiente e dell’uomo. Come sollecitava San Giovanni Paolo II nella Centesimus Annus, l’uomo è chiamato alla propria realizzazione per mezzo del lavoro, della propria creatività, costruendo un sistema giuridico-economico orientato al bene comune. Ciò non significa arrestare il progresso ma affrontare l’emergenza antropologica in atto con obiettivo di una produzione che sappia conciliare ambiente e salute umana.
Dal piano dell’ambiente ci si è mossi, nel terzo incontro del 27 febbraio 2015, tenutosi presso l’Aula Magna del Pontificio Seminario Regionale di Molfetta, verso un piano più strettamente antropologico, sviluppando la riflessione sul tema dell’Educare ad una nuova umanità. Dialogo e confronto con le prospettive antropologiche della cultura contemporanea. La relazione affidata al prof. Duccio Demetrio, fondatore e direttore scientifico della libera Università dell’autobiografia di Anghiari (AR) e già ordinario di filosofia dell’educazione nell’Università degli Studi di Milano Bicocca si è svolta nella prospettiva di un incontro utile ed auspicabile fra pensiero laico, non credente, e cultura religiosa, in particolare cristiana, a partire dalla crisi attuale dinanzi ai fallimenti e ai disagi dell’educazione. Premessa l’esigenza di parlare di culture piuttosto che di cultura si sottolinea il bisogno di privilegiare la relazione fra presente e passato, riconoscendo nella memoria uno strumento che fertilizza il presente, nonché un mezzo per conoscere il proprio interlocutore e creare con lui, un patto di reciproca fiducia. L’educazione, d’altra parte, appartiene al flusso della vita; occorre orientarla nel senso dello sviluppo delle potenzialità, scongiurando il predominio della stagnazione del pensiero. La complicazione può venire dalla sua natura ambivalente, per la quale si scontrano sempre un’educazione intenzionale e progettuale ed un’educazione accidentale e casuale; un’educazione che arricchisce ed una che impoverisce. Tutto questo però non deve scoraggiare ma impegnare maggiormente nella ricerca di un’educazione che sia soprattutto valoriale. E in questo senso la prospettiva laica può trovare in quella religiosa dei preziosi spunti di progresso, riprendendo da essa quei profili educativi ispirati alle tradizioni dell’eremitismo e del monachesimo. Il comune interesse, d’altra parte, risiede in un’educazione coniugata nei verbi curare, sviluppare, coinvolgere, mostrare orizzonti, offrire possibilità, e ispirata ad un lessico comune nel quale trovino spazio i verbi proteggere, custodire, curare e progredire, frequentemente ripresi, nei suoi discorsi, da Papa Francesco.
Le successive riflessioni del Sac. Prof. Jean Paul Lieggi (docente presso la Facoltà Teologica Pugliese) prendono il testimone da quelle del prof. Demetrio, per addentrarsi lungo un percorso che propone alle comunità ecclesiali una vita secondo lo stile di Gesù. Nella prima parte, si trae spunto dalla parafrasi di un’espressione utilizzata da d. Tonino Bello: com’è umano quell’uomo; un complimento del quale ricercare il fondamento teologico e cristologico per un nuovo umanesimo.
La ricerca parte dalla parabola raccontata nel cap. 11 di Matteo, lì dove si racconta di quei bambini che, sulla piazza, ammoniscono i loro compagni (quelli riottosi e guastafeste) per non aver udito il suono del loro flauto, né il canto del loro lamento così come, venuto Giovanni, che non mangia e che non beve, è stato detto indemoniato e, venuto Gesù, che mangia e beve, è stato accusato di essere un mangione e un beone, amico dei pubblicani e dei peccatori. Secondo Ulrich Luz, si riconoscerebbero, nei bambini che interpellano, le figure di Giovanni e di Gesù: Giovanni innalza il lamento di un funerale, Gesù canta la gioia di una festa di matrimonio. È l’occasione per domandarsi quale sia lo stile seguito dalle nostre comunità ecclesiali, se cantiamo anche noi la gioia di un matrimonio e se i “bambini” che abbiamo davanti sono davvero riottosi e guastafeste o non siamo piuttosto noi ad etichettarli così, nel tentativo estremo di autodifenderci. Per Giuliano Zanchi l’umanità è come un immenso laboratorio carico di euforia per i successi ottenuti; uno scenario nel quale l’uomo si guarda allo specchio per scoprire, narcisisticamente, il nuovo volto che l’avvenire gli riserva, dissimulando un forte senso di perdita interiore. L’immagine, innestata nelle riflessioni precedenti, invita i cristiani, in un’ottica propositiva, a specchiarsi in Gesù, ricordando che “specchiarsi”, per loro, è fare i conti con la Croce. Lo stile delle nostre comunità dovrebbe divenire il riflesso dello stile di vita di Gesù; Colui che rivela l’umanità di Dio (non la Sua umanizzazione). L’affermazione forte del teologo belga Adolphe Gesché, per la quale in Dio, per Sua stessa natura, c’è la capacità di diventare uomo, può essere intesa come invito a recuperare l’audacia della Scrittura sull’esempio dei mistici che non temevano di mettersi in una prospettiva in cui Dio si “completa” nell’uomo. Nella traccia di Firenze v’è la stessa audacia, quando si afferma coraggiosamente che è Dio ad uscire incontro all’uomo fino a raggiungerlo nella precarietà della sua vita, richiamandolo a cercare l’autenticamente umano, non sul piano delle idee ma in Cristo Gesù. Ciò consente alla Chiesa di essere esperta nell’umanità (Paolo VI – Populorum progressio). Il vero discepolo vive una disinteressata fedeltà alla storia umana, ed in questa cornice prospettica il cristiano è chiamato a imitare lo stile di Gesù. Secondo lo spunto del cristocentrismo cristomorfico, che Dario Balocco propone nella sua tesi di dottorato, il Signore, come il donatore felice del quadro di Magritte, è Colui che permette la visione della realtà e che dalla realtà viene mostrato.
Propositivamente, le comunità ecclesiali devono muoversi sull’esempio della vita di Gesù, nei Suoi primi trent’anni e nei primi miracoli di Cafarnao. Nella dinamica della crescita e del nascondimento, Nazareth è la vita di Gesù che insegna a noi a costruire comunità come presenze discrete nella logica del seme che muore e del lievito che fermenta la massa. Quando poi Gesù opera i primi miracoli, liberando un indemoniato urlante e un paralitico portato a Lui da altri, non si ferma alla contingenza ma guarisce superando il rifiuto del primo e la mancanza di consapevolezza del secondo. Da ciò l’invito ad essere accoglienti e attenti ascoltatori delle tacite invocazioni di aiuto dei fratelli.
L’itinerario pugliese si conclude il 18 aprile 2015 a San Giovanni Rotondo con lo sguardo ancora rivolto all’emergenza educativa, sul tema: La forza della debolezza. Educare nel tempo della fragilità e della liquidità. In una incisiva presentazione, mons. Castoro richiama la figura di San Pio e sottolinea l’altissimo valore della fragilità umana quale cifra antropologica per incarnare una fede e una carità […] capaci di guarire le molte piaghe sia dell’anima che del corpo di una moltitudine di persone spesso senza più speranza e senza più orizzonti certi. Occorre partire dalla consapevolezza che esistono delle fragilità invisibili, indecifrabili per la scienza medica ma visibili nell’interiorità, che esigono un’autentica conversione pastorale, umana e sociale, come chiesa in uscita, missionaria e in dialogo, per essere, come afferma Papa Francesco, sempre più chiesa-locanda e non chiesa-dogana. E proprio la crisi attuale della società occidentale, una crisi di credibilità e di crescita, è punto di partenza del successivo intervento del P. Giovanni Cucci (S.I.), Professore di filosofia e psicologia presso la Pontificia Università gregoriana di Roma e membro del collegio degli scrittori di Civiltà Cattolica. P. Cucci si sofferma sugli elementi contemporanei del disagio; in primo luogo la scomparsa del padre dalla scena educativa, familiare e culturale dalla II metà del XX secolo, in favore di un progressivo esautoramento dei ruoli tradizionali, e di una famiglia, perversa, nella quale tutti sono posti sullo stesso piano. Segue l’instaurarsi di una relazione possessiva, a senso unico, tra madre e figlio, ed una successiva crisi di maschilità. Il terzo elemento di disagio sta nell’approccio emotivo all’esistenza; un approccio senza radici, fondato sulla stessa precarietà ed instabilità delle emozioni che, se non adeguatamente educate ed integrate con gli altri aspetti della personalità, rendono problematico lo sviluppo del processo valutativo e decisionale. Tutto rischia di procedere per etichette estreme (il bianco o il nero o il nulla). Prioritaria, nel processo vitale, è invece l’accoglienza della propria fragilità e del proprio limite. Il quarto elemento di disagio sta nell’attrattiva della morte, tristemente confermata dall’incremento del numero dei suicidi fra i giovanissimi; anche conseguenza di una società cosiddetta liquida nella quale tutto è visto nell’ottica della “provvisorietà”, persino la morte. Altri elementi del disagio contemporaneo stanno nel trionfo del narcisismo (secondo un modello umano che non tollera sconfitte, difetti o incapacità) e in un cosiddetto scambio delle parti: il modello adulto, lascia il campo al teenager in un pericoloso intrecciarsi di ruoli. L’emergenza educativa, sotto questo profilo, fu segnalata chiaramente da Papa Benedetto XVI e, non a caso, l’episcopato italiano ha scelto la questione educativa come tema di fondo per la pastorale negli anni 2010-2020. Tra gli elementi di disagio si richiama ancora l’attenzione sull’abbandono dei cosiddetti riti di passaggio; riti che gli stessi genitori hanno il compito di attuare per spezzare la diade genitori/figli e facilitare l’ingresso di questi nel mondo della vita. Sono riti determinanti per la crescita, che significa rinunciare alle caratteristiche dell’età precedente e superare serenamente ogni punto di passaggio e di non ritorno.
Propositivamente, si auspica il recupero della figura del padre all’insegna di tre funzioni specifiche: esprimere la norma, proteggere, rendere possibile la sconfitta edipica. L’incontro con il padre, per un bambino, è l’incontro con l’autorità; un incontro che lo aiuta a vincere le proprie paure, influendo sulla formazione delle future relazioni e sulla gestione della propria debolezza e fragilità. La sua importanza è nella stessa lettura della vita di Gesù proposta da Giovanni Paolo II nell’esortazione apostolica Redemptoris custos dedicata a San Giuseppe. La presenza di un padre, seppure putativo, è promossa da Dio. Giuseppe incarna quel compito, da sempre affidato al padre, di introdurre il figlio nel mondo. Tutta la vita, cosiddetta nascosta, di Gesù è affidata alla custodia di San Giuseppe.
Ancora nell’ottica della propositività sta la generatività: concetto sul quale è necessario insistere. Il generare richiede il lasciar andare; il trasmettere al figlio autonomia e responsabilità a fronte dell’attuale incapacità di lasciare spazio, alla base di forti ed evidenti crisi in ogni campo.
Le Chiese di Puglia
al Convegno Ecclesiale Nazionale di Firenze
Nel discorso programmatico pronunciato da Papa Francesco, in occasione dell’incontro con i partecipanti al V Convegno Nazionale di Firenze, il 10 novembre scorso, si possono significativamente cogliere tratti riflessivi comuni a quelli emersi nel corso dell’itinerario di preparazione pugliese. La rappresentazione del Giudizio universale, sulla cupola della Cattedrale fiorentina, dava subito spazio a considerare la bellezza del volto di Gesù, Giudice misericordioso, per scoprire in Lui il volto autentico dell’uomo; per mettersi cioè alla ricerca di quell’autenticamente umano più volte ricordato e ripreso nel percorso pugliese. Il cristiano, sull’esempio di Gesù, è chiamato a mettersi concretamente in cammino nella propria comunità, pronto a venie incontro a tutti i fratelli dei quali Gesù ha assunto il medesimo volto, ricordando che non sarà mai possibile capire nulla dell’umanesimo cristiano se non accettando che Dio si è fatto sempre più grande abbassandosi; non vedremo nulla della Sua pienezza se non accettiamo che Dio si è svuotato. Il Santo Padre, nella prospettiva di presentare alcuni tratti dell’umanesimo cristiano, sottolinea l’importanza di tre sentimenti che sono di Cristo Gesù. Il primo è l’umiltà, quale invito, per ciascuno a considerare gli altri superiori a se stessi. Il secondo è quello del disinteresse con il quale, nella relazione di Molfetta del prof. Lieggi si richiamava l’attenzione sulla vita del vero discepolo, come ricerca della felicità di chi ci sta accanto, secondo un modello (anche ripreso nelle altre relazioni pugliesi) che non è narcistico e neppure autoreferenziale. È l’impegno a lavorare per rendere il mondo un posto migliore. Il terzo sentimento coincide con la beatitudine, quella che si sperimenta nella vera povertà di spirito. Questi tratti dicono di una Chiesa che sa riconoscere il Signore nella concretezza della quotidianità che non sopravvaluti la forza di strutture perfette e rigide norme rassicuranti ma sappia essere viva, inquietare e animare; che non abbia volto rigido ma un corpo che si muove e si sviluppa, nella consapevolezza che la dottrina cristiana si chiama Gesù Cristo. Rifugga così la tentazione del pelagianesimo ma anche il pericolo di un affascinante gnosticismo che, fondando su una fede chiusa nel soggettivismo e promuovendo il ragionamento logico, perde di vista la carne del fratello. A conforto dei contenuti fatti propri nel percorso pugliese, Papa Francesco ricorda ancora la necessità del dialogo e dell’incontro, che non è il negoziare per la propria parte ma l’impegno alla costruzione del bene comune; non parlando e discutendo ma facendo qualcosa insieme.
I lavori di gruppo dei giorni successivi hanno ben raccolto e accolto gli stimoli e le provocazioni del Papa, secondo un itinerario sinteticamente riproposto da ciascun referente. Nel contesto dell’uscire è stato fondamentale partire dall’esigenza di non fuggire dinanzi alle nuove sfide del tempo presente ma, nell’atteggiamento cristiano, andare incontro ad esse affrontandole con speranza e con la certezza che il Signore è attivo e opera nel mondo. In questo senso, uscire non rappresenta soltanto un movimento ma uno stile di vita; quello che segue l’esempio di Gesù, come ampiamente ricordato dalle comunità pugliesi. Le comunità cristiane hanno bisogno di mettere in pratica un cammino di conversione all’essenziale, di maturazione del senso autentico della povertà evangelica, motivato dall’ascolto della Parola di Dio. Un cammino che conduca all’accoglienza dei più deboli, non prima di aver fatto di Cristo il proprio centro e, sul Suo esempio, di aver costruito comunità che sappiano fare rete e sappiano promuovere validi organismi di partecipazione, secondo un prezioso stile di ascolto e confronto. Non si tratta di disperare ma, per collegarci ai risultati del secondo gruppo di lavoro, annunciare la gioia del Vangelo. Si può annunciare e testimoniare soltanto dopo aver fatto esperienza concreta di Gesù, secondo un filo conduttore che riporta, anche qui e ancora una volta, a spingere la nostra vita sull’esempio di Cristo, conoscendolo attraverso la Parola, la Scrittura, la Sua vita; consapevoli che “specchiarsi” in Lui è, per i cristiani, fare i conti con la Croce, morire a se stessi, fuggendo autoreferenzialità, devozionismo, clericalismo e povertà formativa. La speranza è legata alla progettualità. E alla certezza che Cristo è già risorto, fonte della gioia, in un sempre maggiore coinvolgimento di tutti, secondo uno spirito di fiducia reciproca. Il lievito madre, offerto dai lavori del gruppo abitare è quello, ampiamente condiviso in Puglia, del prendersi cura dei propri territori, e muoversi secondo il percorso di cinque significativi verbi: ascoltare, lasciare spazio, accogliere, accompagnare e fare alleanza secondo il modello di Gesù; ripensando la politica in chiave comunitaria e rilanciando un efficace stile sinodale. La sfida dell’educare è sentita come centrale. L’educazione è questione decisiva che, scevra da rigidi metodi e strutture, si deve conformare all’educare di Cristo. Si tratta di una sfida che deve appassionare, come traspariva dalle stesse relazioni pugliesi di p. Cucci e del prof. Demetrio; una opportunità per ripensare e rivedere alcune prassi e per sollecitare un cambiamento vero o meglio quella conversione pastorale a cui il Papa ha fortemente invitato. La Chiesa è, per vocazione, comunità che educa e ciò va fatto sviluppando sempre nuove sinergie, in un contesto ampiamente relazionale, accettando e valorizzando anche le nuove sfide digitali. Trasfigurare, infine, ma non da ultimo, è cogliere la bellezza che il Signore non si stanca di suscitare nella quotidianità. Significa fare propria la vita di Gesù, conformandoci ad essa ogni giorno, nella propositività di esperienze significative di preghiera, formazione liturgica e accompagnamento spirituale; superando il divario tra liturgia e vita ed una certa frammentarietà della proposta pastorale. La lectio divina va recuperata e promossa; la domenica pienamente valorizzata. Ogni luogo deve essere vissuto come pienamente abitato dall’azione dello Spirito Santo; la pietà popolare dovrà essere vissuta come opportunità e non come problema pastorale. Le consegne di fine lavori sono proprio quelle fatte proprie dall’itinerario pugliese: riaffermare il posto centrale della liturgia, della preghiera e dei sacramenti nella vita ordinaria delle comunità, non considerando la Chiesa che prega e la Chiesa che esce in un rapporto dicotomico ma la preghiera come primo atto della Chiesa in uscita; una Chiesa in cui la luce del progetto di Dio sulle creature passi necessariamente attraverso l’ascolto della Parola e la celebrazione dei sacramenti. Tutto questo, però, non come semplice parlare ma come impegno del vivere concreto, perché la liturgia della Chiesa si possa dire all’altezza del Vangelo di Cristo.
La conclusione dei lavori del Convegno, affidata al Card. Bagnasco, riprende le fila dei diversi interventi a partire dal discorso programmatico del Santo Padre. In una efficace sintesi dei contenuti, nella quale anche in questo caso trovano conforto le prospettive pugliesi, il Cardinale prende le mosse dalla bellezza di sentirsi responsabili gli uni degli altri, anche oltre la sola comunità cristiana; in questa prospettiva si devono rileggere gli obiettivi della Chiesa italiana. Le povertà che caratterizzano il contesto sociale sono tante ed incidono sul vissuto concreto delle persone. Sono queste che provocano un profondo senso di solitudine e di vuoto interiore che può trovare conforto soltanto nella via di un nuovo umanesimo orientato a costruire forti alleanze nella vita quotidiana: con il creato, con le persone, fra le generazioni, fra popoli, culture, religioni, singoli e istituzioni.
Per continuare a riflettere per il futuro delle nostre Chiese
Come in più occasioni è stato osservato durante l’itinerario di preparazione delle Chiese di Puglia e durante i lavori del Convegno Ecclesiale, bisogna sentirsi provocati ad un umanesimo della concretezza; quello che s’incarna ogni giorno anche nelle realtà associative e di volontariato, a beneficio dei più deboli e dei più poveri. Questo umanesimo è possibile soltanto se si fa, della Persona di Cristo, la nostra più grande ricchezza, diventando ogni giorno testimoni di Lui come ragione della nostra vita. I risultati dei lavori di gruppo, svoltisi durante il Convegno sulla linea delle cinque vie indicate da Papa Francesco, rappresentano, in questo senso, un insieme di contenuti estremamente preziosi per la missione verso la quale dobbiamo quotidianamente orientare i nostri passi. È necessario innanzitutto uscire, muoversi verso l’altro, creare ponti con tutti e con Cristo. Come sottolineato nei lavori pugliesi, occorre costruire comunità accoglienti e pronte a lasciare la sicurezza delle sacrestie e delle aule liturgiche, per vivere la premura verso l’altro, con particolare attenzione alle invocazioni di aiuto anche silenziose. Occorre annunciare, non come maestri o dottori di fede ma come uomini e donne di fede; pronti a guardare la realtà con lo stesso sguardo di Gesù. Per il conseguimento di questo fine potrà essere utile la valorizzazione del progetto sperimentale di evangelizzazione degli adulti, “Secondo Annuncio”, che l’Istituto Pastorale sta sostenendo in collaborazione con alcune diocesi del triveneto. Bisogna poi abitare, essere presenti e radicati sul territorio secondo un impegno concreto di cittadinanza. Quello stesso impegno sul quale si richiamava l’attenzione nel contesto Pugliese, quando, seppure con uno sguardo sempre comprensivo dell’intero territorio, ci si soffermava sulla situazione paradigmatica di Taranto, ove si legano, senza opporsi, interessi ed istanze alle quali occorre prestare attenzione concreta; non per fermare il progresso ma per orientarlo al bene comune. Siamo ancora chiamati a educare; un tema che è stato oggetto di ampie riflessioni nella Chiesa di Puglia, a partire dalla crisi che esso attraversa. L’invito, anche a Firenze, è stato quello di sentirsi impegnati a risvegliare la libertà di ciascuno, portare la verità a risplendere, condurre e pensare in grande; obiettivi oggi purtroppo in gran parte compromessi. Occorre infine trasfigurare, perché tutti gli sforzi conducano a trasfigurare le persone, scardinando strutture di peccato e di oppressione e conducendo ciascuno a riscoprire la centralità di Dio nella propria vita: non come idea ma come Persona sull’esempio della quale modellare e uniformare se stessi, con precisi atteggiamenti che non siano soltanto una questione di metodo ma di essere interiore.
Ora bisognerà continuare il cammino intrapreso nel segno della sinodalità e fare discernimento per individuare modi e tempi per capire ed attuare quanto lo Spirito, dopo l’esperienza del Convegno Nazionale di Firenze, vorrà ancora dire alle Chiese di Puglia affinchè il nuovo umanesimo sia promosso e sostenuto tra la nostra gente.
Sac. Piero De Santis