I giovani della Chiesa di Lecce sono ancora a L’Aquila (LEGGI) prima di raggiungere Roma per vivere la splendida esperienza del loro Giubileo con tutti i ragazzi del mondo.

 

 

In testa alla “carovana” l’arcivescovo Angelo Raffaele Panzetta che dopo aver tenuto in mattinata la catechesi a tutto il gruppo (LEGGI), ieri pomeriggio ha presieduto la concelebrazione eucaristica presso il monastero delle Clarisse di Paganica, nella memoria liturgica dei Santi Marta, Maria e Lazzaro.

Nell’omelia del presule (IL TESTO INTEGRALE) tre sono stati i punti focali in grado di orientare il cammino tanto di questi giorni, quanto dell’intera esistenza: la speranza, l’identità di Dio, l’amicizia.

 

LA SPERANZA

Dopo aver ascoltato, prima della messa, la testimonianza di una sorella povera di Santa Chiara, l’arcivescovo Panzetta ha parlato della consacrazione non come qualcosa di eroico ma come una anticipazione del futuro che vivono quanti hanno letteralmente perso la testa per il Signore e sono disposti a mettersi totalmente in gioco per lui.

Così Panzetta: “La vita consacrata, la vita degli uomini e delle donne che perdono totalmente la testa per il Signore e che decidono di vivere solo per lui e per il bene della Chiesa è un grande segno di speranza. La vita consacrata è uno dei grandi segni della speranza cristiana. […] Loro sono un segno del futuro nel tempo. Di quale futuro? Il futuro che noi sappiamo. Dio sarà tutto in tutti. Loro già vivono questa dimensione. Dio è per loro già tutto, non desiderano altro”.

 

L’IDENTITÀ DI DIO

Quasi a mò di appendice del momento catechetico della mattinata l’arcivescovo ha affermato che quanto dice l’apostolo Paolo dei cristiani di Tessalonica – che, cioè, sono amati da Dio – vale per tutta la Chiesa. Al dir del pastore della Chiesa di Lecce, infatti, l’ecclesiogenesi che è il processo attraverso cui nasce e si struttura una Chiesa avviene per iniziativa di Dio che ama un popolo, un Dio che ha inviato per amore il suo Cristo, un Dio che domanda all’uomo di essere amato nei suoi simili.

Provocatorie le parole di mons. Panzetta: “Dio è amore. Questa non è una definizione filosofica di Dio, potrebbe anche diventarlo, ma nel testo è semplicemente una descrizione storico-salvifica. Dio si è mostrato benevolente nei confronti degli uomini e questo è avvenuto in Gesù. In Gesù, Dio si è definitivamente disvelato. Guardando la sua morte e la sua resurrezione noi abbiamo capito che Dio è amore. Gesù è venuto proprio per farci capire chi è Dio: Dio è amore. Ancora il brano ci ricorda che, se Dio è amore noi siamo amati da lui. […]. Fratelli e sorelle, se noi prendessimo ciò sul serio, la nostra vita cambierebbe. […] Dio ha dato la sua prova di amore per te, per me, per tutti noi, perché ha mandato il suo Figlio per noi. Quindi noi siamo stati amati a caro prezzo, non all’acqua di rose o in modo sentimentale. Dio come Abramo ha consegnato il suo figlio per te, per noi, per ciascuno di noi. Dio è amore. Che cosa dobbiamo fare? E la risposta è sorprendente, perché tutti penseremmo che siccome Dio ci ha amati, poiché Dio è amore, noi dovremmo amarlo. San Giovanni non risponde così, dice amiamoci. Noi siamo stati amati. Noi rispondiamo all’amore verso Dio amandoci tra di noi”.

 

L’AMICIZIA

La memoria celebrata (Lazzaro, Marta e Maria, ndr) è stata occasione propizia per guardare con occhi approfonditi il tema delle relazioni amicali. I tre di Betania hanno un rapporto di affettuosa amicizia con Gesù, Egli vive con loro questa profonda comunione che, soprattutto nei momenti di fatica, diventava balsamo per la sua storia.

Per Panzetta questa dinamica ha bisogno di attualizzarsi nella vita di un giovane, in modo particolare di un giovane che vive il cammino giubilare. Cosi l’arcivescovo metropolita di Lecce: “Nel Vangelo si vede che Gesù quando è in crisi va a casa di questi amici. Il Signore ha cercato gli amici. È bello avere amici. È bello avere spalle su cui appoggiarsi nei momenti di prova e della difficoltà. […]. Quindi questa amicizia ha fatto bene a Gesù, ma ha fatto bene anche a Marta, a Maria e a Lazzaro. […] Come sarebbe bello se questa esperienza iscrivesse nel nostro cuore il desiderio profondo di un’amicizia particolare con il Signore Gesù ma anche di un’amicizia particolare tra di noi, perché proprio volendoci bene tra di noi rispondiamo all’amore grande che il Signore ha dato a ciascuno di noi”

Tre pilastri, dunque, utili a far sì che i giovani possano arrivare al clou di questa esperienza con tutti gli ingredienti utili a vivere questo kairòs, questo tempo privilegiato che il Signore dona loro, affinché, rientrati nelle loro comunità possano riscoprirsi pellegrini di speranza.

 

 

Photogallery di don Emanuele Tramacere.

 

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