È stata una giornata di festa quella vissuta ieri nel monastero benedettino ‘San Giovanni Evangelista’ di Lecce.
Don Vito Caputo, parroco della cattedrale e delegato arcivescovile ad omnia, ha portato a compimento un desiderio che da sempre ha serbato nel cuore: si è offerto a Dio con l’oblazione benedettina appartenendo spiritualmente alla comunità benedettina leccese.
Il rito si è celebrato all’interno della santa eucaristia presieduta dall’arcivescovo Angelo Raffaele Panzetta. A fare da corona a don Vito, oltre alla comunità monastica e ai concelebranti don Andrea Gelardo e don Mattia Murra, c’erano gli oblati e le oblate del monastero, tanti amici e amiche che per il sacerdote 55enne, originario di Lequile, nutrono stima e affetto sinceri.
Intensa è stata l’omelia del presule che ha spezzato il pane della Parola per un banchetto che il Signore stesso ha voluto ricco e festoso. Al centro le figure di Marta e Maria: “Per la cultura orientale non è importante l’ospitalità quale elemento teorico ma l’ospite, la concretezza della sua vita e della sua identità”. L’ospitalità, ha infatti rimarcato mons. Panzetta, è dimensione costituiva dell’Incarnazione che raggiunge la vita di ciascuno: “Come sarebbe bello se nelle nostre famiglie accadesse ciò che Marta e Maria hanno vissuto con Gesù. Non si accoglie soltanto l’ospite che viene da fuori ma prima di tutto l’ospitalità è da vivere all’interno dei nostri legami parentali e amicali. Ospitarsi a vicenda significa fare spazio in noi alla vita dell’altro così com’è”.
Come Abramo alle Querce di Mamre l’incontro umano diviene sempre divina epifania: “Scopriremo che ospitare e ospitarsi a vicenda significa fare posto al Signore, scorgerne e riconoscerne la presenza nel volto e nella vita degli altri”.
Dio, però, che in Gesù ha un volto umano è il primo ad ospitarci in Sé. La santità di Gesù è, infatti, una santità ospitale, è uno stile che chiede di essere assunto e fatto proprio: “Sì, ospitare anche chi non vorremmo, anche chi bussa alla porta della nostra vita in ore e giornate non opportune. Questo significa ospitare: lasciarsi scomodare per accogliere la sorprendente novità e bellezza di Dio”.
Riconoscere la presenza del Signore nella propria vita non è esercizio da farsi, infatti, unicamente nel presente della vita ma è esercizio di grata speranza così come ricorda l’esperienza di Paolo. Ha chiosato l’arcivescovo metropolita: “Anche l’apostolo san Paolo ci ricorda che accogliere significa fare un atto forte di speranza. Egli stesso che nell’ora più buia della sua vita avrebbe potuto disperare della bontà di Dio riesce a dire di essere lieto nella tribolazione che ha sofferto per Cristo. Lo fa perché non ha dimenticato quanto il Signore ha compiuto per lui, con lui ed in lui. Soltanto così ha potuto vivere nella letizia anche se in catene e prossimo ad essere martirizzato. Anche noi possiamo accogliere il futuro con speranza perché il passato della nostra storia con Dio dice la bellezza della sua amicizia, del suo sostegno”.
Dopo l’omelia, don Vito, che ha scelto il nome di Benedetto come nome di oblazione, davanti all’arcivescovo, alla Madre Abbadessa Benedetta Grasso e a tutta l’assemblea ha dato lettura del documento della sua oblazione (GUARDA) che ha confermato davanti a Dio, alla Beata Vergine Maria e ai suoi santi promettendo di conformare la sua vita e il suo ministero sacerdotale allo spirito e alla Regola del Santo Padre Benedetto da Norcia. Sono seguiti la firma sull’altare della scheda di oblazione e il canto del Suscipe, ripetuto dall’assemblea, col quale don Vito Benedetto si è offerto a Dio per il monastero chiedendogli di sostenere il dono di sé che ha compiuto e di non deludere la propria speranza. La consegna a don Vito della Regola e della Medaglia di San Benedetto e l’abbraccio da parte della Madre che in nome della Chiesa ha ricevuto la sua oblazione e con l’arcivescovo che con la preghiera finale ha invocato su di lui il dono dello Spirito, sono stati il sigillo dell’emozionante rito.
Prima della benedizione finale, don Vito Benedetto, non celando la commozione, ha preso la parola pronunciando parole di grande intensità spirituale: “Quello che ho vissuto oggi insieme a voi è il compimento e il nuovo punto di partenza. Ho un unico desiderio nel cuore: come Benedetto, anch’io vorrei fare sul serio con Dio mettendo Cristo e il suo Vangelo al primo posto, l’Opera di Dio che è la preghiera alla quale nulla deve essere anteposto. Se finora non ho fatto abbastanza nella mia vita presbiterale e spirituale, da questo momento desidero impegnarmi per mettere finalmente Dio al primo posto”. Non sono mancati, infine, i ringraziamenti all’arcivescovo per la sua presenza, alla Madre, alla comunità monastica, ai presenti e in particolare agli oblati e alle oblate del monastero coi quali don Vito Benedetto d’ora in poi condividerà l’esperienza della fraternità e della vita cristiana secondo lo spirito benedettino. L’augurio a don Vito Benedetto da parte dell’arcivescovo ha concluso la felice giornata: “D’ora in poi don Vito si metterà a servizio della Chiesa locale con ancor più intensità perché vive della vita contemplativa che un così grande santo padre di monaci propone da secoli”.
D’ora in poi don Vito Benedetto sarà per il presbiterio leccese e per l’intera arcidiocesi fermento evangelico di contemplazione, unità e umiltà pur nella diuturna fatica dell’esperienza umana.






