Scarica il Documento IN PDF

(Seminario Regionale, Molfetta 17 gennaio 2015)

 

  1. Punti salienti della Traccia

 1.1. Le caratteristiche del “nuovo” umanesimo a partire dalle esperienze in atto

«Quale figura dell’umano scaturisce dunque dalla narrazione del cammino delle comunità? Essa è disegnata da linee comuni, preziose per precisare il tema del Convegno e orientarne i lavori. È possibile riconoscerne quattro: un umanesimo che è in ascolto; concreto; plurale e integrale; d’interiorità e trascendenza» (Traccia, p. 13).

1.2. Lo scenario culturale: Un uomo senza senso? Un uomo solo un prodotto? L’autoreferenzialità (Traccia, pp. 24-27). Uomo in relazione che riconosce la propria condizione di figliolanza. «La difficoltà a vivere le relazioni è determinata dalla difficoltà a riconoscersi donati a se stessi. Una vera relazione s’intesse a partire dal riconoscersi generati, cioè figli, cifra più propria della nostra umanità» (Traccia, p. 30).

1.3. La ragione della nostra speranza: l’umanità di Cristo, centralità, esemplarità e criterio ermeneutico. «Se l’umano e il divino sono uno in Gesù Cristo, è da Lui che l’essere umano riceve piena luce e senso. […] Per queste ragioni sappiamo di dover cercare l’autenticamente umano non sul piano delle idee, talmente alte e nobili da rischiare di restare astratte o, peggio, degenerare in ideologie, bensì in Cristo Gesù, nel suo esser-uomo» (Traccia, pp. 31- 32).

1.4. La persona e la vita quotidiana: luoghi, frontiere, periferie. «La ricerca dell’umanità nuova che cresce anche nel nostro tempo richiede di affinare l’attitudine del discernimento […]. Fare del discernimento il nostro stile ecclesiale non è impossibile, benché impegnativo» (Traccia, pp. 42-43).

«Una Chiesa in uscita, che abita il quotidiano delle persone e, grazie allo stile povero e solidale, rinnova la storia di ciascuno, ridà speranza e riapre le nostre vite morte alla gioia della resurrezione» (Traccia, p. 44).

«Al Convegno di Verona la Chiesa italiana scelse di mettere al centro della propria pastorale la persona, con gli ambiti che ne costituiscono l’identità. Già allora si parlò di «Chiesa missionaria»: per non rimanere chiusi a ragionare della cura pastorale in termini produttivi ed efficientistici, la Chiesa italiana decise di mettere al centro della missione la persona umana. In questi anni si è cercato di pensare a ciò che la caratterizza e la sfida, toccando gli ambiti della cittadinanza, della fragilità, degli affetti, del lavoro, della festa, dell’educazione e della trasmissione della fede» (Traccia, p. 44).

1.5. Le cinque vie: uscire, annunciare, abitare, educare, trasfigurare. «Un simile discernimento può realizzarsi lungo 5 vie, suggeriteci da Papa Francesco nella Evangelii gaudium […]. Cinque verbi che non si accostano semplicemente l’uno all’altro, ma si intrecciano tra loro e percorrono trasversalmente gli ambiti che quotidianamente abitiamo» (Traccia pp. 45-46).

 

  1. Il cammino dei Convegni Ecclesiali Nazionali

 

2.1. Il principio generatore

 a) Il cammino pastorale: la recezione del Concilio Vaticano II

«Dal Concilio, la Chiesa in Italia ha imparato a fissare il suo guardo nel mondo contemporaneo, nella società italiana: uno sguardo critico e fiducioso ad un tempo, sempre carico di quello stesso amore con cui Dio ama il mondo (Gv 3,16). […] Riconoscersi, stare e testimoniare dentro la storia: questa la prima scelta fatta dalla Chiesa in Italia in questi vent’anni dopo il Concilio Vaticano II» (CEI, Rilievi e proposte della Chiesa italiana di fronte alla seconda assemblea generale straordinaria del Sinodo dei Vescovi (25 novembre – 8 dicembre 1985), Contributo della Conferenza Episcopale Italiana inviato alla Segreteria Generale del Sinodo sulla base delle «Quaestiones generales et particulares » proposte dalla medesima Segreteria del Sinodo, 31 dicembre 1985, IV, 2).

Al IV Convegno di Verona Benedetto XVI ha detto: «Questo IV Convegno nazionale è una nuova tappa del cammino di attuazione del Vaticano II, che la Chiesa italiana ha intrapreso fin dagli anni immediatamente successivi al grande Concilio» (Benedetto XVI, Discorso al IV Convengo nazionale della Chiesa italiana, Fiera di Verona, 19 ottobre 2006).

Anche il card. Tettamanzi nella sua prolusione ha esordito affermando che «il nostro Convegno prosegue i precedenti di Roma (1976), Loreto (1985) e Palermo (1995), quali momenti importanti nei quali la Chiesa in Italia ha ricevuto e vissuto il messaggio di rinnovamento venuto dal Concilio. Era proprio questa l’intenzione originaria del primo Convegno: ”tradurre il Concilio in italiano”. Ritengo che una simile intuizione debba essere ripresa e riproposta con forza come criterio anche per questo nostro Convegno» (D. Tettamanzi, Il Signore doni alla Chiesa italiana umili e coraggiosi testimoni di Gesù risorto, speranza del mondo, Arena di Verona, 16 ottobre 2006).

 b) La Chiesa “popolo di Dio” e “comunità”

Il riferimento al Concilio si è espresso, tra l’altro, con la ripresa della categoria di Chiesa “popolo di Dio” e con il conseguente impegno a mantenere viva la dimensione “popolare” del cattolicesimo italiano. La Chiesa è nello stesso tempo “popolo di Dio” e “comunità di testimoni”.

2.2. L’esperienza del convenire

La ricezione del Concilio da parte della Chiesa italiana è avvenuta, in modo particolare, attraverso l’elaborazione dei Piani pastorali e la celebrazione dei Convegni ecclesiali. Questa scelta si è rivelata particolarmente felice per due ordini di motivi. Il primo è di carattere metodologico. La decisione di “camminare insieme” ha consentito di attuare la riforma conciliare senza incorrere in scelte parziali e laceranti per le comunità ecclesiali e ha consentito di definire una coscienza unitaria di tutta Chiesa italiana. Il secondo motivo è di carattere programmatico. La scelta di partire dal primato dell’evangelizzazione, sottolineando il legame tra Parola, sacramento e vita cristiana, ha aiutato a mantenere uno stretto legame tra l’azione liturgica e l’impegno nella storia e ha arginato una possibile “deriva sociologica” dell’impegno pastorale. Rimanendo fedeli all’idea conciliare della Chiesa “popolo di Dio”, è possibile agganciare l’azione pastorale alla vita parrocchiale, evitando una possibile trasformazione della parrocchia in una “comunità di tipo elitario” e recuperando la legittima aspirazione dei laici alla partecipazione e alla corresponsabilità nella vita della comunità parrocchiale.

 2.3. Il metodo del discernimento

“Discernimento” è il metodo che Concilio Vaticano II ha lasciato in eredità alla Chiesa e che la Chiesa italiana ha fatto suo e riproposto nella maggior parte dei suoi documenti pastorali. In particolare, al Convegno ecclesiale di Loreto è stato precisato che si tratta di “discernimento spirituale e pastorale”[1]. Al Convegno di Palermo si è parlato di stato “discernimento comunitario”[2]. Il tema è stato riproposto nella Traccia di riflessione in preparazione al convengo di Verona[3].

Nel discorso conclusivo al Convegno di Verona, il card. Ruini ha fatto un bilancio e ha rilanciato il tema distinguendo tra discernimento politico e discernimento culturale: «La parola “discernimento” ci richiama ad un obiettivo che ci eravamo dati nel Convegno di Palermo, anche con l’impulso di Giovanni Paolo II, specialmente in rapporto al discernimento comunitario che consenta ai fratelli nella fede, collocati in formazioni politiche diverse, di dialogare e di aiutarsi reciprocamente ad operare in maniera coerente con i comuni valori a cui aderiscono. È diffusa l’impressione che questo obiettivo sia stato mancato in larga misura nel decennio scorso, anche se una valutazione più attenta potrebbe suggerire che esso ha avuto pure delle realizzazioni non piccole, principalmente, ma non esclusivamente, in occasione della legge sulla procreazione assistita e del successivo referendum. Per fare meglio in futuro può essere utile tener accuratamente presente la differenza tra il discernimento rivolto direttamente all’azione politica o invece all’elaborazione culturale e alla formazione delle coscienze» (C. Ruini, Intervento conclusivo, n. 9, Fiera di Verona, 20 ottobre 2006).

2.4. L’orientamento pastorale: la “conversione pastorale” ovvero la “Chiesa in uscita”

a) Pastorale missionaria: aliena dall’autoreferenzialità e dalla burocratizzazione della vita ecclesiale.

b) Spiritualità rinnovata: «In questa stagione difficile e complessa, occorre ritrovare l’essenziale della nostra vita nel cuore della fede, dove c’è il primato di Dio e del suo amore. Appartenere a Lui è l’altro nome della santità, misura alta e possibile del nostro essere cristiani. La vita di Dio già circola in noi, e nello Spirito ci dona la pienezza di un’umanità vissuta come Gesù: amando, pensando, operando, pregando, scegliendo come lui» (CEI, Rigenerati per una speranza viva, 2007, 6).

c) Scelta della vita come ambito privilegiato della missione: «Il linguaggio della testimonianza è quello della vita quotidiana. Nelle esperienze ordinarie tutti possiamo trovare l’alfabeto con cui comporre parole che dicano l’amore infinito di Dio. Abbiamo declinato pertanto la testimonianza della Chiesa secondo gli ambiti fondamentali dell’esistenza umana. […] la scelta della vita come luogo di ascolto, di condivisione, di annuncio, di carità e di servizio costituisce un segnale decisivo in una stagione attratta dalle esperienze virtuali e propensa a privilegiare le emozioni sui legami interpersonali stabili» (CEI, Rigenerati per una speranza viva, 2007, 12).

d) Centralità della persona: «Mettere la persona al centro costituisce una chiave preziosa per rinnovare in senso missionario la pastorale e superare il rischio del ripiegamento, che può colpire le nostre comunità» (CEI, Rigenerati per una speranza viva, 2007, 22).

3. Lo sviluppo dei Piani pastorali decennali

 A livello tematico, il cammino pastorale della Chiesa italiana è segnato da una parola centrale evangelizzazione (’70), e da quattro parole esplicative: comunione/riconciliazione (’80), testimonianza (’90) comunicazione (2000) educazione (2010).

Alla triade proposta dal primo piano pastorale Evangelizzazione e sacramenti (Parola, sacramenti, vita) fa riscontro la triade del piano pastorale per gli anni ‘90 Evangelizzazione e testimonianza della carità (annuncio, celebrazione, testimonianza)[4].

Si può così dire che la Chiesa italiana declina il primato dell’evangelizzazione con il primato della testimonianza, della comunicazione e dell’educazione (cfr. i cinque verbi della Traccia, pp. 46-54).

L’evangelizzazione «non è fine a se stessa; essa tende al sacramento, non solo nel senso che lo precede, ma anche perché entra nella vera e propria celebrazione sacramentale, e nel sacramento raggiunge la sua pienezza»[5]. Inoltre, occorre mettere in evidenza il circolo virtuoso che esiste tra evangelizzazione, sacramento e vita: «L’evangelizzazione prepara il sacramento e ne accompagna la celebrazione: l’evangelizzazione e il sacramento sfociano poi nella testimonianza cristiana della vita. Di qui l’importanza grandissima che il sacramento sia debitamente preparato: non tanto né soprattutto nel suo svolgimento esteriore, quanto piuttosto nella sua significazione ecclesiale (…). Né ci si può accontentare, dopo il sacramento, della celebrazione ormai avvenuta. C’è una forma di evangelizzazione o di catechesi, che prolungando nel tempo l’interesse psicologico sul sacramento ricevuto, non solo ne facilita l’approfondimento biblico-liturgico, ma concorre assai a ravvivarne la grazia e a richiamare l’impegno per la vita. Era la prassi illuminata dei Padri della Chiesa, e potrebbe e dovrebbe ridiventare anche la nostra prassi, in vista soprattutto della progressiva formazione “apostolica” e “missionaria” di una comunità cristiana veramente consapevole e viva»[6].

Evangelizzazione e sacramenti sono «due fasi di un unico processo salvifico»[7]. Tra di loro vi è un rapporto circolare dal momento che «non solo la Parola precede e accompagna il sacramento, ma lo segue pure nella “vita nuova” suscitata dal sacramento stesso. Il cristiano, in virtù della sua comunione col Cristo, avvenuta nell’accoglienza della Parola e del sacramento, viene costituito suo testimone. Egli è tenuto a manifestare nella vita quella “novità” di cui è stato reso partecipe; novità che non può limitarsi al compimento di gesti singolari, ma deve esprimersi nel vivere “altrimenti”, in modo diverso, la propria vita, perché ispirata a regole e criteri radicalmente nuovi. Dalla Parola, al sacramento, alla vita nuova: questa la dinamica dell’esistenza cristiana, la quale per conservarsi e svilupparsi, ha bisogno di rifarsi di continuo alle sorgenti stesse da cui è scaturita, muovendosi ancora dalla vita, al sacramento, alla Parola»[8].

 

  1. Il contesto culturale ed ecclesiale

4.1 La questione antropologica e la questione della verità

«Spiccano due filoni particolarmente evidenti. […] Il primo filone riguarda la “questione antropologica”. […] La “questione antropologica si inserisce nella più ampia “questione della verità” con cui tutti – credenti o meno – devono confrontarsi» (CEI, Rigenerati per un speranza viva, 2007, 15).

a) La “svolta antropologica”

I vescovi italiani, nel 1970, suggerivano: «La parola di Dio deve apparire ad ognuno come un’apertura ai propri problemi, una risposta alle proprie domande, un allargamento ai propri valori ed insieme una soddisfazione alle proprie aspirazioni» (RdC 52). Lo schema della rilevazione infatti é: domanda-risposta, desiderio esaudimento, promessa-compimento.

Rimane il problema di definire meglio il rapporto tra domanda e risposta: Chi domanda e chi risponde? Chi desidera e chi esaudisce? Chi promette e chi realizza? Qual è l’essenza del cristianesimo? La salvezza ossia “la soddisfazione delle proprie aspirazioni” autenticamente umane, la realizzazione dei nostri desideri è frutto dell’’incontro con una Persona viva, non è né una dottrina né una morale (cfr. Deus Caritas est, 1).

Nel piccolo ma significativo libro di Solo l’amore è credibile (1963)[9], il teologo svizzero Hans Urs von Balthasar ricorda che la teologia dell’età patristica, medievale e rinascimentale ha battuto la via cosmologica, presentando il cristianesimo come il compimento dell’interpretazione del mondo data dall’antichità. La teologia dell’epoca moderna ha operato uno spostamento e ha praticato la via antropologica: il cristianesimo si presenta come la più profonda interpretazione dell’uomo. Ma, per von Balthasar, sia la via cosmologica sia la via antropologica sono delle interpretazioni riduttive, in quanto assumono il cosmo e l’esistenza umana come criteri di giustificazione del cristianesimo, che invece ha in sé ed esibisce da sé la sua giustificazione. La terza via (la via balthasariana), è la via dell’amore assoluto di Dio, che in Cristo da sé si fa incontro all’uomo .

b) Questione della verità: la verità della carità

Bisogna «coniugare la carità con la verità non solo nella direzione, segnata da san Paolo, della “veritas in caritate” (Ef 4,15), ma anche in quella, inversa e complementare, della “caritas in veritate. […] Solo nella verità la carità risplende e può essere autenticamente vissuta. La verità è luce che dà senso e valore alla carità. Questa luce è, a un tempo, quella della ragione e della fede, attraverso cui l’intelligenza perviene alla verità naturale e soprannaturale della carità: ne coglie il significato di donazione, di accoglienza e di comunione. Senza verità, la carità scivola nel sentimentalismo. L’amore diventa un guscio vuoto, da riempire arbitrariamente. È il fatale rischio dell’amore in una cultura senza verità. Esso è preda delle emozioni e delle opinioni contingenti dei soggetti, una parola abusata e distorta, fino a significare il contrario. La verità libera la carità dalle strettoie di un emotivismo che la priva di contenuti relazionali e sociali, e di un fideismo che la priva di respiro umano ed universale. Nella verità la carità riflette la dimensione personale e nello stesso tempo pubblica della fede nel Dio biblico, che è insieme «Agápe » e « Lógos »: Carità e Verità, Amore e Parola. Perché piena di verità, la carità può essere dall’uomo compresa nella sua ricchezza di valori, condivisa e comunicata. La verità, infatti, è “lógos” che crea “diá-logos” e quindi comunicazione e comunione. La verità, facendo uscire gli uomini dalle opinioni e dalle sensazioni soggettive, consente loro di portarsi al di là delle determinazioni culturali e storiche e di incontrarsi nella valutazione del valore e della sostanza delle cose. La verità apre e unisce le intelligenze nel lógos dell’amore: è, questo, l’annuncio e la testimonianza cristiana della carità. Nell’attuale contesto sociale e culturale, in cui è diffusa la tendenza a relativizzare il vero, vivere la carità nella verità porta a comprendere che l’adesione ai valori del Cristianesimo è elemento non solo utile, ma indispensabile per la costruzione di una buona società e di un vero sviluppo umano integrale. Un Cristianesimo di carità senza verità può venire facilmente scambiato per una riserva di buoni sentimenti, utili per la convivenza sociale, ma marginali. In questo modo non ci sarebbe più un vero e proprio posto per Dio nel mondo. Senza la verità, la carità viene relegata in un ambito ristretto e privato di relazioni. È esclusa dai progetti e dai processi di costruzione di uno sviluppo umano di portata universale, nel dialogo tra i saperi e le operatività»[10].

4.2. Ai nostri giorni il rapporto ragione/fede è diventato rapporto tra amore (eros-agape)/fede. «Nel mondo attuale non mancano tendenze culturali che sembrano imporre una affettività senza limiti di cui si vogliono esplorare tutti i versanti, anche quelli più complessi. Di fatto, la questione della fragilità affettiva è di grande attualità: una affettività narcisistica, instabile e mutevole che non aiuta sempre i soggetti a raggiungere una maggiore maturità» (Lineamenta XIV Sinodo 10; cfr. l’amore liquido di Z. Bauman).

 

  1. 5. Il cammino pastorale regionale

I convegni regionali

“Crescere insieme in Puglia” (Bari 1993): dalla disgregazione alla comunione.

 La vita consacrata in Puglia (Taranto- Marina Franca 1998): la profezia dei consacrati (2015 anno della vita consacrata).

I laici nella Chiesa e nella società pugliese oggi” (San Giovanni Rotondo 2011): la corresponsabilità (vocazione e la missione) dei laici nella Chiesa e nel mondo.

 

  1. Cosa fare prima e dopo il Convegno? 

6.1. Dinamica “quasi sinodale”

«Auspichiamo che si promuovano in ogni Regione ecclesiastica incontri con i delegati delle Diocesi e delle realtà ecclesiali per studiare la traccia e approfondire il tema del Convegno. Si consolida così quella dinamica “quasi sinodale” che caratterizza il nostro percorso» (Traccia, p. 60).

6.2. Elaborazione di un “libro bianco”

«Chiediamo che i delegati raccolgano e sintetizzino le riflessioni maturate nelle rispettive Chiese locali. Sarebbe bello che tutte le iniziative promosse fossero raccolte in una sorta “libro bianco”, materiale prezioso sia per la celebrazione del Convegno, sia per la sua recezione. Invitiamo i delegati a lavorare a livello regionale, così da far giungere al Comitato preparatorio e al sito web apposito questo materiale. Al Comitato spetterà il compito di rielaborarlo e portarlo al Convegno, per nutrire la riflessione dei delegati» (Traccia, p. 61).

6.3. Recezione a livello regionale, diocesano e parrocchiale

«Già fin d’ora, peraltro, il Comitato ha auspicato che dopo l’assise di Firenze si continui a sostenerne i risultati e a incoraggiarne le possibili ricadute, collaborando insieme, facilitati dal sito e dalle occasioni che sapremo creare, per promuovere la sua accoglienza e messa in atto» (Traccia, p. 61).

+ Vito Angiuli
Vescovo di Ugento S. Maria di Leuca
Presidente dell’Istituto Pastorale Pugliese
Membro del Comitato nazionale preparatorio del Convegno di Firenze

 


 

[1] Conferenza Episcopale Italiana, La Chiesa in Italia dopo Loreto, nn. 17; 32-33.

[2] Conferenza Episcopale Italiana, Con il dono della carità dentro la storia, n. 21.

[3] Conferenza Episcopale Italiana, Testimoni di Gesù Risorto, speranza del mondo, n. 16.

[4] «Ogni pratico distacco o incoerenza tra parola, sacramento e testimonianza impoverisce e rischia di deturpare il volto dell’amore di Cristo» (Conferenza episcopale italiana, Evangelizzazione testimonianza della carità, 28; ECEI 4/2747)

[5] Conferenza episcopale italiana, Evangelizzazione sacramenti, 48; ECEI II/435.

[6] Ivi, 63-65; ECEI II/451-455.

[7] Ivi, 27; ECEI II/ 414.

[8] Ivi, 50-51; ECEI II/438-439.

[9] Hans Urs von Balthasar, Glaubhaft ist nur Liebe, 1963, trad. it. di Mario Rettori, Solo l’amore è credibile, Borla, Torino 1965, 11-13.

[10] Benedetto XVI, Caritas in veritate, 2-4.