Occorre una carità politica che abbia il compito di far amare la città, il territorio e la gente. Uno sprone, dunque, a “sentirsi responsabili” della casa comune.

 

 

È questo il fulcro del messaggio (IL TESTO INTEGRALE) che l’arcivescovo metropolita di LecceAngelo Raffaele Panzetta, ha donato alla città e alla Chiesa leccese ieri sera al termine della processione in onore dei santi patroni Oronzo, Giusto e Fortunato e seguito in diretta in una lunga maratona tv da Portalecce (RIVEDI).

Un momento, quello di Piazza Duomo, nel quale il presule ha parlato alla comunità ecclesiale e a quella civile, nel giorno che, tradizionalmente, segna l’inizio dei festeggiamenti che identificano il popolo leccese.

Ma quello di ieri è stato anche il primo discorso che l’arcivescovo ha rivolto ai suoi fedeli subito dopo aver preso possesso della cattedra leccese (LEGGI), rimarcando di sentire forte e chiara “tutta la responsabilità del ministero pastorale che Dio mi ha affidato” e “la consistenza del legame profondo che mi unisce a voi nell’amore disinteressato per il bene di tutta la nostra comunità ecclesiale e civile”.

Per l’arcivescovo Panzetta, dunque, la festa patronale è “una splendida occasione per ripensare alle origini cristiane del nostro territorio che hanno trovato una peculiare espressione popolare nel culto dei Santi Oronzo, Giusto e Fortunato e hanno generato una saldatura unitaria del nostro vissuto cittadino”.

Anche i monumenti architettonici e iconografici della città sono, nel pensiero di Panzetta, testimonianze inequivocabili della fede in Cristo, matrice di cultura e di “cosmo-visione di inestimabile valore”.

Un “patrimonio di bellezza” che “non smette di essere energia vitale che può illuminare e dare significato anche al presente”, seppur “stordito da messaggi superficiali”.

Quindi, l’arcivescovo di Lecce ha sottolineato il connubio esistente tra Chiesa e territorio che dovrebbe portare a “una vera responsabilità per la comunità ecclesiale” che si traduce in un “essere parte attiva capace di offrire un contributo, insieme con tutti gli uomini e le donne di buona volontà, per lo sviluppo umano e civile del nostro popolo”.

“La Chiesa di Lecce – ha incalzato il presule – è certamente impegnata da sempre ad annunciare e celebrare la sua fede, ma anche a trarre da essa impulsi e iniziative concrete che sono finalizzate alla promozione umana e all’umanizzazione del nostro territorio” e, ancora, “l’attualità di quello che oggi avvertiamo come responsabilità del nostro tempo, ci fa sentire con chiarezza l’esigenza di essere una comunità a servizio della gente, a servizio della nostra città e della nostra comunità”.

Continua mons. Panzetta: “Il nostro bellissimo territorio e ancor più il nostro ambiente umano, è oggi diventato complesso perché porta con sé, chiaramente visibili, i segnali di un cambiamento d’epoca che ha rapidamente messo in discussione i punti di riferimento tradizionali e che richiede una rinnovamento capace di costruire una nuova comprensione della vicenda umana e della struttura sociale”. 

“Non si tratta – ha aggiunto – di pensare o di immaginare un’altra umanità ma di elaborare un’antropologia diversa, capace di restare ancorata al valore imprescindibile della persona e della sua unica dignità”.

In questo passaggio, l’arcivescovo Panzetta ha sottolineato come la Chiesa affidata alle sue premure di padre e pastore non intenda “rimanere al balcone della storia” né “con lo sguardo rivolto al passato”, perché questo “significherebbe essere una chiesa-museo”, ma deve risultare “forza motrice di civiltà e segno efficace di unità per tutta la nostra gente” oltre che un “fattore di sviluppo umano che attinge la sua vitalità al valore permanente del Vangelo di Gesù”.

Da qui, l’idea che la festa patronale consenta di “rinnovare il nostro impegno per una autentica carità politica che  chiede di amare la nostra città, il nostro territorio e la nostra gente”.

Ancora Panzetta: “Dobbiamo amare la pólis, di essa ci dobbiamo sentire tutti corresponsabili offrendo il nostro contributo perché essa sia quello che merita di essere: una comunità moderna e civile, laboriosa ed onesta, accogliente e magnanime; una comunità che guarda al futuro con speranza, perché è popolata da uomini e donne che intendono vivere con dignità e lavorare con rettitudine”.

L’arcivescovo ha ammesso di iniziare a toccare con mano la “consistenza” delle matrici culturali e spirituali del popolo leccese sentendo una “fondata fiducia” che il territorio saprà affrontare con successo “le sfide della stagione culturale e spirituale che sono generate dal cambiamento epocale in corso”.

“Invito tutti – ha precisato pertanto – soprattutto gli educatori, a non cadere nel disfattismo ma a lavorare con abnegazione perché i valori della tradizione umanistica, dei quali siamo eredi e portatori, arricchiti dalla tradizione cristiana, possano continuare ad essere, sia pure con una necessaria nuova ermeneutica e con nuovi linguaggi, un punto di riferimento certo che consenta a tutti gli uomini e le donne di buona volontà di non smarrire il senso profondo della vita umana, la mistica gioiosa della fraternità e di affrontare con un rinnovato impegno sociale, vissuto con uno stile pacifico e coraggioso”.

Quindi, in conclusione, rivolgendo uno sguardo ai patroni, l’arcivescovo Panzetta ha ricordato come anche loro abbiano vissuto un grande cambiamento d’epoca e in quel contesto abbiano lasciato un messaggio gravido di umanità e di fede.

Ancora il presule: “Oggi io, insieme a voi, mi chiedo: come mai la loro scia luminosa brilla ancora? Come mai il loro vissuto ci interroga? Penso che la chiave di tutto risieda nel contenuto di quanto hanno insegnato e nello stile educativo che ha segnato il loro ministero e la loro vita: essi hanno insegnato valori perenni attinti dal Vangelo e lo hanno fatto con una dedizione e una autorevolezza tale da culminare nella marturìa, nella testimonianza più grande, quella di chi è disposto a dare la vita per la verità e il bene”.

Ha concluso, allora, Panzetta: “I nostri patroni sono stati uomini autorevoli, cristiani affidabili, ministri degni di fede perché hanno educato attraverso la testimonianza della vita che, in fondo, è la semplice irradiazione di ciò che i cristiani vivono alla scuola del Vangelo. Questo modo di stare al mondo, segnato dalla serietà della testimonianza, costituisce una salutare pro-vocazione che si compone di domande che chiamano in causa il cuore, il bisogno di verità e del Vangelo”.

Da qui, dunque, ha rivolto ad ogni leccese l’invito a vivere pienamente la festa e a incarnare con gioia e gratitudine l’esempio dei santi, perché siano giorni “non di pura evasione, ma un vero tempo di gioia caratterizzato dalla preghiera, dalla fraternità e dalla pace”.

 

Photogallery di Arturo e Gianmaria Caprioli.

 

 

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