All’indomani della partenza dell delegazione moldava per Chisinau dopo aver trascorso alcuni giorni a Lecce per celebrare con la Chiesa guidata dall’arcivescovo Angelo Raffaele Panzetta, la Giornata missionaria mondiale e per festeggiare i 25 anni di cooperazione tra la diocesi leccese e quella moldava (LEGGI), don Cesare Lodeserto ha concesso a Portalecce un’intervista esclusiva sulla situazione politica della Moldavia che da oltre tre anni vive l’angoscia della vicina guerra tra Russia e Ucraina.

 

 

 

 

Don Cesare Lodeserto dal 2007 è missionario “Fidei Donum” inviato dall’arcivescovo di Lecce presso la diocesi di Chisinau, nella Repubblica di Moldova, dove attualmente ricopre l’incarico di vicario generale del vescovo Anton Cosa, parroco di due comunità e presidente della Fondazione Regina Pacis.

Dal 24 febbraio 2022, a seguito dell’invasione russa in Ucraina, la vita in Moldavia – già terra povera e sottoposta ad una costante emigrazione – è diventata ancora più difficile, perché molti ucraini (specie donne e bambini) attraversando il confine, vi hanno trovato rifugio. Naturalmente la Chiesa cattolica e la Fondazione Regina Pacis si sono trovate impegnate in prima linea a fornire assistenza a chi arrivava privo di tutto.

La diocesi di Chisinau comprende tutto il territorio della Moldavia ed anche il territorio separatista della Transnistria: si tratta di una lunga striscia di terra a ridosso del confine ucraino, popolata da circa 400mila abitanti, di cui un migliaio circa è di fede cattolica.

La Transnistria, pur facendo parte di fatto della Repubblica della Moldova (2 milioni e mezzo di abitanti), dal 1992 ha tracciato uno pseudo-confine ed ha dichiarato la sua autonomia, chiedendo con un referendum popolare di essere annessa alla Russia. Di fatto le forze armate russe sono presenti con una armata a difesa dei ben venticinque milioni di tonnellate di armi presenti nei bunker del Paese, che rappresentano il più grande deposito di armi dell’Europa. La Russia considera questo territorio di sua proprietà e lo difende con oltre 1500 soldati, facendolo diventare una vera polveriera alle spalle dell’Ucraina e quindi nel cuore dell’Europa.

Da un punto di vista pastorale – come dicevamo – la Transnistria è parte integrante della diocesi di Chisinau: qui vi sono sei parrocchie rette da religiosi dehoniani polacchi e 3 comunità religiose.

 

 

Don Cesare, lei, per motivi di ordine pastorale, si reca spesso oltre il “confine” interno fra Moldova e Transnistria, qual è la situazione delle parrocchie e della comunità cattolica dopo quasi quattro anni di guerra nella confinante Ucraina?

In Transnistria sono presenti sei parrocchie, sparse su tutto il territorio, da nord a sud. Sono impegnati sette religiosi dehoniani ed alcune suore. Certamente il contesto è sempre molto delicato e richiede prudenza. Ma l’attività delle nostre comunità è unicamente di carattere religioso e di impegno nella carità. I fedeli cattolici sono molti uniti tra di loro ed anche vicini alle parrocchie, dove possono trovare sostegno spirituale ed anche solidarietà umana, soprattutto lì dove la povertà è tanta. Il conflitto in Ucraina ha isolato in parte il territorio della Transnistria, perché non è possibile andare verso est, dove ogni passaggio di frontiera è chiuso. Rimangono aperti i valichi che vanno verso la Moldavia. È un clima di grande incertezza e timore, anche a motivo delle fonti energetiche che spesso vengono a mancare, allora il disagio è per tutti. La guerra ha reso più intenso il disagio, oltre alle difficoltà.

 

 

Gli abitanti della Transnistria si sentono più russi che rumeni, come invece i vicini moldavi?

Gli abitanti della Transnistria sono fortemente legati alla cultura russa, come una gran parte della popolazione moldava. Per nulla in sintonia con la realtà rumena. Questa popolazione non è mai uscita dal sistema socio-culturale russo. Chi si reca in Transnistria avverte la chiara sensazione di essere in un territorio russo. Le stesse liturgie cattoliche, ma non di meno quelle ortodosse, sono in lingua russa, che è la lingua dei fedeli, dei sacerdoti, dei chierichetti e dei bambini che si recano alla catechesi. La Transnistria non è mai uscita dal controllo politico della Russia, al contrario della Moldavia, per cui la popolazione si sente russa.

 

 

È vero che in Transnistria resistono ancora le vestigia e il simbolismo dell’Urss.: statue di Stalin, stelle rosse sui pinnacoli degli edifici pubblici (come del resto al Cremlino), immagini di falce e martello e così via?

Certo. Ritorno a dire che questo territorio è rimasto in tutto russo, per cui simbolismi ed altro sono rimasti tali. Le segnaletiche stradali o pubblicitarie sono in cirillico, che è la lingua ufficiale della popolazione. C’è una storia passata che continua ad essere una storia presente, senza alcun cambiamento.

 

 

Il prof. Dell’Asta, docente alla Cattolica e vice-presidente della Fondazione Russia Cristiana, in un suo recente libro intitolato “La ‘pace russa’. La teologia politica di Putin”, scrive che negli ultimi anni a Mosca si è materializzata una sorta di “teologia politica”, secondo la quale la presenza russa “dovrà” necessariamente estendersi in ogni luogo dove siano presenti elementi russofoni. Ciò sicuramente avverte già in Transnistria, ma costituisce un pericolo anche per la Repubblica di Moldova che, come noto, guarda invece all’integrazione nell’Ue?

Quanto affermato dal prof. Dell’Asta è vero: c’è la chiara volontà di ricomporre la vecchia Unione Sovietica e ristabilire i confini che furono al momento storico della caduta del muro di Berlino. All’interno di questi confini oltre alla Transnistria, che non è mai politicamente uscita, c’è la Moldavia. Lo conferma la “guerra ibrida” in atto contro la Moldavia per ristabilire una dominanza politica filo-russa, nel mentre l’attuale governance è proiettata verso l’Europa, meta che si intende raggiungere entro il 2030. Ma c’è di più. Non si tratta solo di un piano politico messo in atto da parte del leader di quel paese, ma anche di una scelta “pastorale” della Chiesa ortodossa legata al Patriarcato di Mosca, che intende porre un chiaro ostacolo a quella che loro definiscono “la deriva morale dell’Europa”. Il piano è una vera “teologia” ed una vera “politica”. Va detto per correttezza storica che il primo a parlare di questa ricomposizione della vecchia Unione Sovietica è stato il Patrircatto di Mosca, negli anni successivi al 2010. Ha fatto seguito la leadership russa, con l’intento, a loro dire, di tutelare la famiglia ed ogni altro valore cristiano.

 

Come sono oggi i rapporti della comunità cattolica in Transnistria con le locali autorità ortodosse?

I rapporti tra le comunità cattoliche ed ortodosse sono di grande rispetto. Certamente non ci sono eventi liturgici o ecumenici, come avviene in Europa ed in Italia, ma le relazioni sono sempre molto serene. Null’altro oltre le relazioni buone.

 

 

Nella Repubblica di Moldova si vota più o meno regolarmente. Oggi è possibile il dissenso in Transnistria?

Anche in Transnistria si vota ed il consenso elettorale a favore dell’attuale regime supera l’80%, quindi una situazione stabile ed un buon spirito di sopportazione. La realtà presenta situazione difficili e con una povertà dilagante. Eppure, siamo nel cuore dell’Europa ed ancora sono in molti a non conoscere questa drammatica realtà. Il “dissenso” è un cammino lungo, perché bisogna maturare il senso della democrazia. Non è certamente un bene vedere questa porzione del popolo moldavo isolato in un contesto non facile, dove mancano le opportunità per i giovani, dove la povertà incide, dove tutto è complesso. È un popolo che non ha una identità, ma il più delle volte voglia di andare via.

 

 

Lei per ragioni pastorali si è trovato a visitare comunità cattoliche anche nella vicina Ucraina. Come singoli e come comunità di fedeli, cosa possiamo fare per i nostri fratelli ucraini, martellati dai missili russi nelle loro case e nei loro condomini?

Certo, le relazioni con le comunità della vicina Ucraina sono frequenti, soprattutto per consegnare aiuti, portare solidarietà, trasmettere del denaro. Ci vogliono aiuti concreti, oltre al fatto che noi siamo impegnati in Moldavia nella accoglienza dei profughi ucraini, che sono soprattutto donne e bambini. Prima di tutto bisogna pregare e credere che la preghiera apre i cuori dei potenti per una scelta di pace. Dobbiamo noi per primi credere ed essere promotori di speranza. Il popolo ucraino è stanco ed è sempre più in una condizione sociale di depressione. Tutto questo non è giusto ed allora noi dobbiamo portare il coraggio della fede, la forza della speranza, l’azione della carità. Certamente abbiamo bisogno di sostegni materiali ed economici per servire e ci affidiamo come sempre alla Divina Provvidenza.

 

 

Padre Livio dai microfoni di Radio Maria invita a ricordare l’estrema attualità di uno dei messaggi portanti di Fatima: la conversione della Russia. Premesso che la conversione riguarda tutti, ritiene di poter condividere questo pensiero?

Fatima è la porta aperta verso la pace. Lo ha detto Papa Leone XIV sabato 11 ottobre, quando ha invitato tutti a pregare con lui il santo rosario, dinanzi alla immagine della Vergine di Fatima. Il messaggio della Vergine Maria a Fatima è anche un messaggio di conversione ed è un messaggio da condividere, senza paura e senza incertezze. La Madonna ci invita ogni giorno a percorrere la strada della fede, lungo la quale comprendere quello che il buon Dio ci chiede e metterlo in pratica. Però se io mi converto e credo, anche per altri ci sarà la conversione ed anche la Russia arriverà a questa meta. Non dimentichiamo che in Russia ci sono diverse comunità cattoliche, con preti e suore stupendi, vescovi che con vigore guidano le loro comunità, soffrendo e sperando. Il seme della conversione c’è già in Russia.

 

clic qui per l’articolo sul sito del giornale della Diocesi